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Anche la revisione di ALLHAT conferma: diuretici di prima scelta nell'ipertensione


Categoria : cardiovascolare
Data : 28 febbraio 2010
Autore : admin

Intestazione :

Nessun farmaco tra CA, ACE-I e alfa bloccanti supera i benefici dei diuretici tiazidici (su outcome cardiovascolari e renali) nel trattamento iniziale dell’ipertensione in pazienti ad alto rischio cardiovascolare.



Testo :

Lo studio ALLHAT (Antihypertensive and Lipid-Lowering Treatment to Prevent Heart Attack Trial) ha valutato l’insorgenza di patologie cardiovascolari (PCV) in 42418 pazienti ipertesi ed ad alto rischio cardiovascolare, comparando l’efficacia di 4 classi di farmaci antipertensivi utilizzati nel trattamento iniziale dell’ipertensione (ALLHAT Officers and Coordinators for the ALLHAT Collaborative Research Group. JAMA 2002;288:2981-2997).

Alcuni risultati di questo studio erano del tutto inaspettati ed hanno generato un acceso dibattito scientifico (Antihypertensive and Lipid-Lowering Treatment to Prevent Heart Attack Trial Collaborative Research Group. Hypertension 2003;42:239-246; Davis BR et al. Ann Intern Med 2004;141:39-46).

Lo studio ALLHAT è un trial multicentrico randomizzato in doppio cieco disegnato per determinare se l’incidenza di eventi coronarici maggiori (CHD) (end point primari: infarto del miocardio non fatale e morte per CHD) si riduceva nei pazienti ipertesi ad alto rischio cardiovascolare (di età >55 anni con almeno un fattore di rischio aggiuntivo per patologie CV [es ipertrofia ventricolare sinistra, diabete mellito (DM), fumo, livelli di colesterolo HDL <35 mg/dL o <0.91 mmol/L, storia positiva e documentata di malattia aterosclerotica)] in cui veniva iniziata per la prima volta la terapia antipertensiva con calcio antagonisti (CA, amlodipina), ACE-Inibitori (ACE-I, lisinopril) ed alfa-bloccanti (doxazosina) rispetto al trattamento con diuretici (clortalidone).

Complessivamente, lo studio non ha mostrato nessuna superiorità dei tre antiipertensivi rispetto al clortalidone. Di contro il clortalidone si è dimostrato superiore a:

doxazosina: PCV combinate (PCVC), in particolare stroke e scompenso cardiaco (SC);

lisinopril: PCVC, inclusi stroke (solo negli afroamericani), SC, angina, rivascolarizzazione coronarica.

amlodipina: SC, sia in generale (riduzione del 28%) che per le ospedalizzazioni o la mortalità per SC (riduzione del 26%).

Amlodipina e lisinopril non mostravano nessuna superiorità al clortalidone nella prevenzione dell’insufficienza renale all’ultimo stadio (IRUS), sia complessivamente che dopo stratificazione per DM o per tasso di filtrazione glomerulare all’inclusione nel trial (Rahman M et al. Arch Intern Med 2005;165:936-46; Wright JT Jr et al. Arch Intern Med 2008;168:207-17).

ALLHAT è ad oggi lo studio più esaustivo per quel che riguarda l’uso di antipertensivi in pazienti adulti con DM (n=13101) o con alterata glicemia a digiuno (n=1399). Lo studio non ha mostrato nessuna superiorità per alfa-bloccanti, CA ed ACE-I in confronto al diuretico in nessuno dei differenti livelli glicemici analizzati.

Sia nei pazienti con che in quelli senza DM lo SC è stato significativamente meno frequente nei pazienti trattati con diuretico rispetto a tutti gli altri farmaci (range di p values: <0.001-0.01). Inoltre, rispetto al diuretico, CA ed ACE-I hanno fallito nel dimostrare una superiorità nella prevenzione di PCV ed IRUS nei pazienti con DM.

Lo studio ALLHAT è stato il primo grande studio che ha effettuato una comparazione diretta delle differenti classi di antipertensivi nella popolazione afroamericana (n=15.094) e nei pazienti con più di 65 anni (n=24.330). In entrambi i sottogruppi non si è rilevata alcuna superiorità di alfa-bloccanti, CA e ACE-I rispetto al diuretico per gli outcome primari e per i principali outcome secondari. Di contro, rispetto agli ACE-I la terapia con diuretici è sembrata superiore nel ridurre la pressione arteriosa (PA) (4 mm Hg di differenza a 4 anni), incidenza di stroke e PCVC nella popolazione afroamericana. Inoltre, in tale popolazione i CA sono stati più efficaci degli ACE-I nel ridurre la PA e nel prevenire lo stroke.

L’obiettivo di ridurre la PA al di sotto dei 140/90 mm Hg è stato raggiunto in tutti e 4 i gruppi. Il protocollo prevedeva un’intensificazione della terapia se la PA non era ben controllata. Tra i gruppi si sono comunque riscontrate differenze. In particolare, rispetto al clortalidone, la PA era più alta nel gruppo doxazosina (2-3 mm Hg; p<0.001 in tutte le visite annuali), lisinopril (2 mm Hg, p <0.001; 4 mm Hg negli afroamericani, p<0.001) ed amlodipina (<1 mm Hg; p <0.01-0.03). In base alle più recenti evidenze in cui tutti gli outcome, ad eccezione dello SC, sono stati correlati alla riduzione della PA (Turnbull F et al. Lancet 2003; 362:1527-35), si può affermare che le differenze pressorie riscontrate, possono spiegare solo alcuni, ma non tutti i benefici clinici osservati nei pazienti trattati con clortalidone.

Uno dei punti più critici dell’ALLHAT era la scarsa utilizzazione del clortalidone in pratica clinica. Una metanalisi dei trial clinici che utilizzavano tutti gli altri diuretici, ha mostrato una sostanziale comparabilità sugli outcome cardiovascolari (Psaty BM et al. JAMA 2004; 292:43-4). Alle dosi utilizzate nello studio ALLHAT (20 mg/die) è plausibile estendere i risultati del clortalidone anche agli altri diuretici della sua stessa classe.

Anche i risultati sullo SC hanno creato ampie discussioni scientifiche (Davis BR. Ann Intern Med 2004; 141: 39-46), in particolare per quel che riguarda la validità esterna dei risultati, vista la superiorità del clortalidone rispetto a tutti e tre gli altri farmaci. Dopo una rigorosa rivalutazione dei dati, eseguita da revisori indipendenti che valutavano in cieco gli outcome secondo diversi algoritmi clinici (SHEP/ALLHAT e Framingham), lo studio di validazione dei risultati sullo SC ha confermato i risultati dello studio originale (Einhorn PT et al. Am Heart J 2007; 153:42-53).

Usando questi differenti criteri diagnostici, è risultato che, rispetto al clortalidone, il rischio relativo variava da: 1.41 a 1.46 per l’amlodipina, 1.12-1.21 per il lisinopril, 1.71-1.80 per la doxazosina. Dunque, i diuretici tiazidici sembrano essere associati ad una migliore protezione contro la nuova insorgenza di SC rispetto agli altri farmaci utilizzati nello studio in pazienti ipertesi ad alto rischio cardiovascolare. Nonostante ciò, in pazienti con SC già manifesto, il trattamento dovrebbe seguire le linee guida più appropriate (Hunt SA et al. Circulation 2005; 112:e154-e235; Heart Failure Society Of America. J Card Fail 2006;12:10-38).

Altro punto importante è la proprietà dei diuretici tiazidici di aumentare i livelli di glucosio a digiuno. Nei pazienti senza DM inclusi nello studio ALLHAT, i livelli di glucosio aumentavano nel gruppo clortalidone fino a 104 mg/dL a 4 anni. Tale aumento era intermedio per l’amlodipina (102 mg/dL a 4 anni) e ancora minore per il lisinopril (100 mg/dL a 4 anni) e la doxazosina (99 mg/dL a 4 anni). La percentuale di pazienti che ha manifestato un aumento del glucosio a digiuno a 4 anni era del 11,6% nel gruppo clortalidone, 9,8% nel gruppo amlodipina (p=0,1) e 7,8% nel gruppo lisinopril (p<0,001). Nel gruppo doxazosina era dell’8,8%, ma il dato era disponibile per meno del 10% dei pazienti a 4 anni.

Assumendo che i CA abbiano un effetto metabolico neutro, la comparazione di clortalidone ed amlodipina a 4 anni mostra come il 17% dei nuovi casi di DM nei pazienti trattati con diuretico sia dovuto effettivamente all’azione del farmaco (Cutler JA. Hypertension. 2006; 48: 198-200).

Un’analisi di regressione dei dati ALLHAT ha mostrato che, mentre il rischio di avere un evento CHD in pazienti con nuova diagnosi di DM a 2 anni era aumentato del 64%, un incremento di 10 mg/dL di glucosio durante questi primi due anni non si associava a un rischio significativo di PCV (Barzilay JI et al. Arch Intern Med 2006;166:2191-201).

Inoltre, l’aumento delle PCVC in soggetti sia con DM che con un aumento dei livelli di glucosio di 10 mg/dL era il più basso nel gruppo clortalidone ed il più alto nel gruppo lisinopril, e comparabile al gruppo CA. Tali dati sono confermati da uno studio dopo un follow-up di 16 anni che, nonostante abbia dimostrato l’incremento di 3 volte del rischio PCV in pazienti ipertesi con nuova diagnosi di DM, non ha mostrato correlazioni tra l’uso di diuretici e l’insorgenza di eventi PCV (Verdecchia P et al. Hypertension 2004; 43:963-9). Dunque, l’incremento del glucosio causato dai diuretici non sembra essere un fattore prognostico negativo.

Nello studio ALLHAT, circa il 55% dei pazienti era affetto da sindrome metabolica (MetS). L’uso di farmaci con profilo metabolico meno favorevole (come beta-bloccanti o diuretici) è stato successivamente sconsigliato (Giles TD, Sander GE. J Clin Hypertens 2005; 7:669-78). Una sottoanalisi nei pazienti con MetS ha mostrato come i pazienti trattati con gli alfa-bloccanti erano associati a livelli più bassi di glucosio e di colesterolo rispetto ai pazienti trattati con diuretici (10 mg/L e 9 mg/L, rispettivamente) od ACE-I (6mg/L e 2 mg/L). I livelli di HDL erano di 0,9 mg/L più alti nei pazienti con alfa-bloccanti che in quelli con diuretici. Nonostante queste differenze, non si è riscontrata nessuna differenza clinicamente rilevante sugli outcome PCV o renali. Nella popolazione afroamericana con MetS, la protezione verso stroke, SC, PCVC ed ERSD era inferiore nei pazienti trattati con alfa bloccanti e ACE-I rispetto a quelli con diuretici.

Due studi clinici, con disegno simile a quello dello studio ALLHAT, supportano i suoi risultati (Black HR et al. JAMA 2003; 289: 2073-82; Brown MJ et al. Lancet 2000; 356: 366-72). Altri due sembrano contraddirlo (Dahlöf B et al. Lancet 2005; 366: 895-906; Jamerson K. N Eng J Med 2008; 359: 2417-28).

La più ampia metanalisi al riguardo, che raggruppa 29 studi, tra i quali lo stesso ALLHAT, conclude che il trattamento basato sulle più importanti classi di antipertensivi riduce l’incidenza di eventi PCV maggiori, con l’effetto principale legato alla riduzione della PA (Turnbull F et al. Lancet 2003; 362:1527-35). Ciò nonostante, i CA sono risultati meno efficaci nel prevenire lo SC rispetto ad ACE-I o diuretici o beta-bloccanti (BB): il rischio relativo raggruppato di CA verso diuretici/BB è risultato di 1.33 (95%CI 1.21-1.47). Di contro, i dati sullo stroke erano suggestivi, ma non significativi, di un effetto favorevole dei CA: rischio relativo 0.93 (95%CI 0.86-1.00), analisi effettuata su solo 9 trial con risultati praticamente identici allo studio ALLHAT. Inoltre, dalla comparazione diuretici/BB verso ACE-I, il trend era meno chiaro, anche se favoriva i primi rispetto ai secondi. Questo risultato può essere spiegato dalla riduzione della PA maggiore di 2 mmHg nel gruppo diuretici/BB ed è in particolare correlato con la riduzione di stroke il cui rischio relativo nei pazienti trattati con ACE-I è di 1.09 (95%CI 1.00-1.18) rispetto all’associazione diuretici/BB. Anche i dati sullo SC e sul rischio di PCV in pazienti con DM, sono risultati simili allo studio ALLHAT.

In conclusione, sia l’analisi più accurata dei risultati dello studio, che i dati provenienti da recenti metanalisi confermano i risultati dello studio ALLHAT che dimostra come nessun farmaco tra CA, ACE-I e alfa bloccanti supera i benefici dei diuretici tiazidici (su outcome cardiovascolari e renali) nel trattamento iniziale dell’ipertensione in pazienti ad alto rischio cardiovascolare.

I dubbi iniziali sui risultati di questo studio sono stati fugati sia da successive sub-analisi dello studio ALLHAT che da altri studi clinici. Dunque, i diuretici tiazidici restano i farmaci di scelta per iniziare un trattamento nella maggior parte dei pazienti affetti da ipertensione. Inoltre, è in corso un follow-up passivo dei pazienti inclusi nello studio ALLHAT che, utilizzando dati amministrativi indicativi di morbilità e mortalità, potrebbe fornire ulteriori evidenze cliniche.


Conflitto di interesse

Gli autori dichiarano di avere ricevuto finanziamenti da diverse ditte farmaceutiche.

Dottor Francesco Salvo

Riferimento bibliografico

Wright JT et al. ALLHAT findings revisited in the context of subsequent analyses, other trials, and meta-analyses. Arch Intern Med 2009; 169: 832-42.

Contributo gentilmente concesso dal Centro di Informazione sul Farmaco della Società Italiana di Farmacologia - http://www.sifweb.org/farmaci/info_farmaci.php/



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