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Valsartan inefficace nella prevenzione della fibrillazione atriale ricorrente

Categoria : cardiovascolare
Data : 13 febbraio 2010
Autore : admin

Intestazione :

Dopo un anno di trattamento con 320 mg/die di valsartan, non è stata riscontrata alcuna riduzione di fibrillazione atriale ricorrente nei pazienti trattati con valsartan rispetto a quelli che assumevano placebo.



Testo :

La fibrillazione atriale è la più comune tra le aritmie cardiache (Kannel WB et al. N Engl J Med 1982;306:1018-22). I farmaci antiaritmici hanno solo una moderata efficacia nel prevenirne la ricorrenza e possono causare anche delle gravi reazioni avverse (Køber L et al. N Engl J Med 2008;358:2678-87).
Alcuni studi hanno supportato l’idea che la fibrillazione atriale ricorrente sia almeno in parte causata dal rimodellamento della componente elettrica, meccanica e strutturale del tessuto atriale che, di conseguenza, diventa progressivamente ed irreversibilmente alterato (Wijffels MC et al. Circulation 1995;92:1954-68). Recenti evidenze mostrano come il sistema renina-angiotensina-aldosterone possa giocare un ruolo in tale rimodellamento (Shi Y et al. Cardiovasc Res 2002;54:456-61).
Alcuni studi clinici indicano che gli ACE-inibitori o gli inibitori recettoriali dell’angiotensina II (ARB) potrebbero avere degli effetti favorevoli sia in prevenzione primaria (fibrillazione atriale) che in prevenzione secondaria (fibrillazione atriale ricorrente) (Wijffels MC et al. Circulation 1995;92:1954-68; Nattel S Li D. Circ Res 2000;87:440-7). Tali studi comunque non sono riusciti a dimostrare effettivamente l’efficacia di questi farmaci sia sull’incidenza che sulla ricorrenza di questa patologia.

L’obiettivo principale di questo studio è valutare se l’aggiunta di valsartan allo schema terapeutico convenzionale riduce il tasso di ricorrenze di fibrillazione atriale in pazienti con storia positiva per questa aritmia.

Il GISSI-AF (Gruppo Italiano per lo Studio della Sopravvivenza nell’Infarto Miocardico-Atrial Fibrillation) è uno studio prospettico, randomizzato, in doppio-cieco e controllato con placebo.

Sono stati inclusi nello studio i pazienti di entrambi i sessi con almeno 40 anni con >=2 episodi precedenti di fibrillazione atriale sintomatica documentata da un esame elettrocardiografico nei 6 mesi precedenti all’inclusione o pazienti sottoposti con successo a cardioversione (elettrica o farmacologica) per fibrillazione atriale entro 14 giorni e 48 ore prima della randomizzazione. Inoltre, i pazienti dovevano presentare una delle seguenti condizioni concomitanti: insufficienza cardiaca o disfunzione ventricolare sinistra; ipertensione da almeno sei mesi, con o senza ipertrofia ventricolare sinistra; diabete di tipo 2; stroke pregresso o arteriopatia periferica; malattie coronariche; fibrillazione atriale senza altre patologie cardiovascolari, ma con una dilatazione atriale sinistra. Inoltre, i pazienti dovevano essere in trattamento per fibrillazione atriale e per qualsiasi delle malattie cardiovascolari concomitanti da almeno un mese prima dell’arruolamento. Sono stati esclusi dallo studio tutti i pazienti: in terapia con ARB per altre indicazioni; in cui l’uso di ARB era controindicato; con un infarto del miocardio recente o che avevano subito un intervento di rivascolarizzazione cardiaca nelle 6 settimane precedenti all’inclusione; con valvulopatie clinicamente significative, con disfunzioni tiroidee; che sono stati precedentemente selezionati per catheter ablation o impianto di un defibrillatore o di un pacemaker.

La terapia con il valsartan è iniziata alla dose di 80 mg/die per 2 settimane. Dalla seconda alla quarta settimana il dosaggio è stato raddoppiato (160 mg/die). Dalla quarta dalla cinquantaduesima settimana la dose somministrata è stata aumentata a 320 mg/die. Qualora il paziente non avesse tollerato la dose di 160 mg entro 2 mesi dall’arruolamento, l’assunzione veniva sospesa. I pazienti sono stati visitati alla seconda, quarta, ottava, ventiquattresima e cinquantaduesima settimana.
Il follow-up è durato per 1 anno dall’inclusione nello studio.
Per aumentare la possibilità che la fibrillazione fosse realmente accaduta, ogni paziente ha ricevuto un’apparecchiatura elettronica per il suo monitoraggio (Cardiobios 1, Telbios). I pazienti hanno inviato le informazioni tutte le volte che hanno accusato la fibrillazione atriale, ed almeno una volta a settimana nei periodi in cui non hanno accusato nessun sintomo.

Due gli end point primari: 1) il tempo per la prima ricorrenza della fibrillazione atriale; 2) la percentuale dei pazienti che ha manifestato =1episodio di fibrillazione durante l’anno di follow-up. Tra gli end point secondari sono stato valutati: numero totale di episodi di fibrillazione atriale per paziente, ricoveri ospedalieri da tutte le cause e per eventi cardiovascolari, morte associata ad eventi tromboembolici, numero di pazienti con ritmo sinusale durante ogni visita ed il profilo di sicurezza del farmaco.
È stata inoltre effettuata un analisi predefinita dell’effetto del valsartan rispetto al placebo nei pazienti a ritmo sinusale per almeno 15 giorni dopo l’inclusione nello studio allo scopo di analizzare l’effetto del farmaco escludendo quei pazienti con ricorrenza precoce di fibrillazione atriale.
Così come disegnato, gli autori hanno calcolato che lo studio aveva una potenza dell’88% di trovare una differenza relativa del 17,6% tra valsartan e placebo.

Dal novembre 2004 al Gennaio 2007, sono stati arruolati 1442 pazienti in 144 differenti centri; 722 sono stati randomizzati al valsartan e 720 a placebo. Ad eccezione della malattia coronarica e dell’arteriopatia periferica, più rappresentate nel gruppo valsartan, non esistevano differenze in termini di patologie concomitanti tra i pazienti arruolati nei due gruppi. L’85,4% dei pazienti era iperteso, il 14,6% diabetico, il 7,9% scompensato (insufficienza cardiaca o disfunzione ventricolare sinistra, o entrambe). Al momento della randomizzazione, il 34,7% dei pazienti assumeva amiodarone, il 57,0% ACE-inibitori, il 30,2% beta bloccanti, il 56,5% anticoagulanti orali.
Alla quarta settimana la dose di 320 mg/die è stata raggiunta nell’83,1% dei pazienti del gruppo valsartan e nell’85,2% in quello placebo. Cinque pazienti per ogni gruppo hanno abbandonato lo studio perché non tolleravano la dose di 160 mg/die.

Alla fine dell’anno di follow-up, il 51,4% dei pazienti randomizzati a valsartan contro il 52,1% dei pazienti del braccio placebo ha manifestato almeno un episodio di fibrillazione atriale (hazard ratio 0.98; 96% CI 0.85-1.14; p=0.83). Risultato simile dopo l’aggiustamento per le variabili farmacologiche e patologiche precedentemente riportate con un hazard ratio di 0,97 (96% CI 0.83-1.14; p=0.73).
Complessivamente il tempo medio di ricorrenza di un evento fibrillante dopo la randomizzazione è stato di 295 giorni nel gruppo valsartan vs 271 nel gruppo placebo. Episodi multipli di fibrillazione sono stati riscontrati nel 26,9% dei pazienti trattati con valsartan contro il 27,9% di quelli che ricevevano placebo (OR 0.95; 99% CI 0.70-1.29; p=0.66). Risultato simile dopo l’aggiustamento per le variabili farmacologiche e patologiche precedentemente riportate con un OR di 0,89 (99% CI 0.64-1.23; p=0.73).

L’analisi secondaria nei pazienti con un ritmo sinusale dopo 15 giorni dall’inclusione, non ha rilevato alcuna differenza tra valsartan e placebo. Anche una subanalisi nei pazienti con un ritmo sinusale ad 8 settimane dall’inclusione non ha mostrato differenze significative.
Nessun end point secondario riportava differenze tra i gruppi, ad eccezione degli eventi tromboembolici che si sono verificati in 10 pazienti in trattamento con valsartan contro 2 con placebo (HR 5.06; 95% CI 1.11-23.11; p=0.04).

Complessivamente, l’assunzione è stata interrotta in 107 pazienti (14,8%) del gruppo valsartan e in 76 (10.6%) del gruppo placebo. Di queste interruzioni, 26 casi nel gruppo valsartan e 12 in quello placebo sono state associate a reazioni avverse. Reazioni avverse gravi, sono state riscontrate in 2 pazienti in trattamento con valsartan (ipotensione severa in un caso e disfunzioni renali con iperkaliemia nell’altro). Il tasso di pazienti con una creatininemia raddoppiata era simile in entrambi i gruppi, mentre nel 5,5% dei pazienti trattati con valsartan (2.4% del gruppo placebo) è stata riscontrata una kaliemia >5.5 mmoli/l durante tutto il periodo di follow-up.

Gli autori dello studio concludono che i risultati non supportano l’ipotesi di un beneficio conferito dal blocco del sistema renina angiotensina nella prevenzione della fibrillazione atriale ricorrente.
L’aumento significativo di eventi tromboembolici nel gruppo valsartan è stato definito come inaspettato e potrebbe essere semplicemente casuale. Inoltre il tasso di eventi tromboembolici nel gruppo placebo è stato più basso di quello atteso, nonchè inferiore a quello riportato in precedenti trial (Wolf PA et al. Stroke 1991;22:983-8; Hart RG et al. Ann Intern Med 2007;146:857-67).


Gli autori concludono che, dopo un anno di trattamento con 320 mg/die di valsartan, non è stata riscontrata alcuna riduzione di fibrillazione atriale ricorrente nei pazienti trattati con valsartan rispetto a quelli che assumevano placebo.


Commento

L’editoriale di accompagnamento sottolinea dei possibili limiti di applicabilità di questi risultati. Innanzitutto, nonostante alcuni dati mostrino che gli ARB possano promuovere la regressione della fibrosi atriale è difficile che la terapia con questi farmaci possa manifestare questo ruolo in un solo anno di terapia (Ehrlich JR et al. Eur Heart J 2006;27:512-8; Casaclang-Verzosa G et al. J Am Coll Cardiol 2008; 51:1-11).
Inoltre, studi precedenti hanno mostrato un maggiore beneficio nella prevenzione della fibrillazione atriale di ACE-inibitori e ARB in pazienti con disfunzioni od ipertrofia ventricolare sinistra (Healey JS et al. J Am Coll Cardiol 2005;45:1832-9). Di contro, solo l’8% dei pazienti arruolati in questo trial era affetto da scompenso cardiaco o da disfunzione ventricolare sinistra. Dunque, questi risultati non possono essere applicati ai pazienti con scompenso cardiaco, fino a quando non sarà prodotta una subanalisi su questi soggetti. Inoltre, è possibile che il beneficio di questi farmaci sia maggiore in prevenzione primaria, dal momento che sembra che possano prevenire più che invertire lo sviluppo di fibrillazione atriale.
Piccoli trial hanno mostrato l’efficacia di ACE-Inibitori e ARB nel trattamento della fibrillazione atriale ricorrente, ma i pazienti erano in trattamento concomitante con amiodarone (Healey JS et al. J Am Coll Cardiol 2005;45:1832-9; Madrid AH et al. Circulation 2002;106:331-6), mentre nello studio GISSI-AF solo il 35% dei pazienti assumeva questo farmaco.

Conflitto di interesse

Lo studio è stato finanziato da Novartis, che però non ha partecipato alla stesura del disegno nè alla conduzione dello studio, né nella collezione, analisi ed interpretazione dei dati.

Dottor Francesco Salvo

Riferimenti bibliografici

GISSI-AF Investigators. Valsartan for prevention of recurrent atrial fibrillation. N Engl J Med. 2009;360: 1606-17.

Gillis AM. Angiotensin-Receptor Blockers for prevention of atrial fibrillation — A matter of timing or target? N Engl J Med 2009; 360: 1669-71.


Contributo gentilmente concesso dal Centro di Informazione sul Farmaco della Società Italiana di Farmacologia - http://www.sifweb.org/farmaci/info_farmaci.php/



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