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FNOMCeo su Etica e Deontologia di inizio vita: no alle scelte forzose per i medici

Categoria : professione
Data : 01 novembre 2008
Autore : admin

Intestazione :

La FNOMCeo approva un documento su Etica e Deontologia di inizio vita molto diverso rispetto a quello del Febbraio 2008, vengono ribadite le clausole di garanzia e la libertà di coscienza per i medici su temi di grande rilevanza etica e professionale.



Testo :

Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri

COMUNICATO STAMPA

Approvato all'unanimità dal Consiglio nazionale della FNOMCeO il Documento su "Etica e Deontologia di inizio vita".

Frutto del Gruppo di lavoro di Bioetica della Federazione e delle osservazioni delle Associazioni confessionali, laiche, dei cittadini e delle Società Scientifiche, il Documento è stato varato oggi a Ferrara dai Presidenti degli Ordini Provinciali italiani dei Medici, riuniti in assemblea, dopo che ieri, al Castello Estense, proprio su questi temi, si era tenuto un importante Convegno.


"Sottolineo con grande gioia l'unanimità del consenso, consapevole delle molteplici sensibilità e culture che si muovono su tali materie" ha dichiarato il presidente FNOMCeO, Amedeo Bianco, al termine della votazione.


"Tale unanimità", ha proseguito Bianco, "dà ancora più valore al contenuto etico e civile della nostra riflessione deontologica che mettiamo al servizio dei medici e dei cittadini".


Fonte: Uffio Stampa FNOMCeo

Il documento approvato il 25 Ottobre a Ferrara


Lo sviluppo tumultuoso della scienza e di una tecnologia sanitaria che si è mostrata capace di modificare l’evoluzione della vita dalla nascita alla morte, ha aperto nuovi spazi alla normazione deontologica che, pur non essendo fonte primaria di diritto, è tutt’altro che indifferente alla sua interpretazione e applicazione, nel quadro dell’irrinunciabile autonomia del medico e della tutela della salute del cittadino.
A fronte di ciò il diritto, laddove si esprime, tende a non essere “mite”, intervenendo in maniera sempre più dettagliata nelle decisioni mediche, provocando reazioni di rigetto in coloro che non ne condividono i contenuti e creando contrasti tra leggi, deontologia e scienza.

Questa è la ragione che ha indotto la FNOMCeO a proporre una piattaforma di confronto e a promuovere un’ampia consultazione delle associazioni mediche confessionali e laiche, delle associazioni dei cittadini e delle società scientifiche, in vista di un convegno dedicato alle problematiche etiche di inizio vita.
Negli ultimi tempi è aumentata nella società e nel confronto politico l’attenzione sulle problematiche che si riferiscono alla contraccezione, alla PMA, all’interruzione farmacologica di gravidanza e ai comportamenti da assumere verso feti vitali in età gestazionale estremamente bassa (22-25 settimane), nati da parti prematuri o da aborti terapeutici.
Queste tematiche coinvolgono i medici secondo più profili: quello tecnico professionale, basato sulle migliori evidenze scientifiche disponibili, e quello etico-deontologico che attiene ai principi deontologici, sia comuni a tutta la professione sia individuali, propri cioè dei singoli statuti morali.
Tra questi profili il medico esercita ed interpreta il suo ruolo civile e sociale di servizio alla persona ed alla collettività, contribuendo alla piena attuazione di diritti costituzionalmente sanciti. Per quanto attiene al profilo tecnico-professionale, è opportuno ricordare che le evidenze disponibili sulle varie materie consentono orientamenti e/o linee guida elaborati dalle società scientifiche, di varia “forza” e comunque tali da rappresentare mere raccomandazioni cliniche, sulle quali e per le quali viene garantita l’autonomia al medico.
Relativamente al profilo etico-deontologico, i fondamenti morali del nostro Codice di Deontologia Medica e cioè i principi di giustizia, di beneficialità e di rispetto dell’autonomia del cittadino, costituiscono un prezioso e insostituibile presidio etico. Essi fanno sì che la professione medica sia legittimata se totalmente svolta al servizio dell’uomo, dei suoi bisogni, dei suoi diritti e delle sue libertà, se ogni innovazione delle conoscenze e delle tecniche, equa ed accessibile, sia in grado di risolvere e aiutare a tutelare la salute e la vita delle persone e a limitarne la sofferenza.
Il medico deve, dunque, considerare ogni relazione di cura come unica ed irripetibile e valorizzare la propria autonomia e la propria responsabilità agendo sempre secondo scienza e coscienza, documentando le ragioni della sua scelta.

Nel merito delle questioni riteniamo che:

LA PRESCRIZIONE DEL LEVONORGESTREL

Nel riaffermare il diritto del medico alla clausola di scienza e coscienza che trova il suo fondamento nell’art. 22 del Codice di Deontologia Medica, va ricordato il dovere per il medico di “…….fornire al cittadino ogni utile informazione e chiarimento”.
In altre parole, l’equilibrio tra il diritto del medico alla clausola di scienza e coscienza e quello della donna alla fruizione della prestazione riconosciuta come disponibile, non fa venir meno l’ obbligo, anche deontologico, dei medici di adoperarsi per tutelare, nei termini suddetti, l’accesso alla prescrizione nei tempi appropriati. Spetta alle Autorità Sanitarie porre in essere ogni iniziativa che consenta la corretta organizzazione del servizio. L’eventuale abolizione dell’obbligo di prescrizione per la “pillola del giorno dopo” presuppone una valutazione tecnico scientifica che compete alle Istituzioni allo scopo preposte. In questa prospettiva, e più in generale, occorre invece rilevare l’insufficienza delle politiche di educazione alla procreazione e alla sessualità responsabile da realizzare anche attraverso una corretta informazione e diffusione dei mezzi contraccettivi, al fine di ulteriormente ridurre il tasso di gravidanze indesiderate e di diminuire l’incidenza delle malattie a trasmissione sessuale.


Commento di Luca Puccetti

Viene ribadita per il medico la liceità, sul piano deontologico, di non prescrivere il levorgestrel per la contraccezione post coitale facendo ricorso alla clausola di coscienza. Rimane una formula assai poco chiara, forse volutamente, su che cosa il medico che intenda esercitare tale clausola debba in concreto fare. Un conto infatti è fornire spiegazioni alla donna sul meccanismo di azione, sulle reali possibilità di efficacia (assai scarse da raggiungere la soglia convenzionale della medical futility, tanto che neppure la fornitura in anticipo del levonorgestrel a scopo anticontraccettivo d'emergenza ha prodotto una riduzione degli aborti e delle gravidanze indesiderate) o sugli eventi avversi, un conto è chiedere al medico di collaborare fattivamente con un atto che egli ritiene eticamente inaccettabile (cosiddetta collaborazione morale che diviene anche materiale se le informazioni rese sono necessarie per compiere l'azione stessa). Sarebbe come se si convenisse che di fronte ad un'azione giudicata da taluni riprovevole, sia obbligo per chi la ritiene tale di aiutare chi si appresta a commeterla. Una magggior chiarezza non sarebbe stata inopportuna, anche sul piano della coerenza logica, perché viene chiaramente ribadito che spetta alle Autorità Sanitarie porre in essere ogni iniziativa che consenta la corretta organizzazione del servizio, dunque in tale organizzazione può ben essere compresa una corretta informazione su come ottenere la prescrizione, ma tale informazione dovrebbe essere fornita dalla Struttura e non dal medico che ritiene di avvalersi della clausola di coscienza, per non costringerlo a compiere una collaborazione morale con un'azione che egli ritiene eticamente inaccettabile. Molto criticabile inoltre l'auspicio di una maggiore diffusione dei mezzi contraccettivi. La letteratura più aggiornata documenbta inequivocabilmente che i programmi per la diffusione della contraccezione reversibile attuati nel contesto della normale pratica clinica non hanno mai dimostrato di indurre una diminuzione delle gravidanze indesiderate e degli aborti. Tale affermazione dunque è basata su dati scientifici inconsistenti, essendo solo un'affermazione auspicio basato su una prospettiva di apparente buon senso, ma la medicina è piena di clamorosi paradossi (i betabloccanti nello scompenso, l'inutilità della supplementazione con acido folico nell'iperomocisteinemia, l'aumento della mortalità con la flecainide nonostante un effetto cosmetico sulle aritmie, l'aumento della mortalità usando l'eritropietina per ottenere livelli parafisiologici di emoglobina in pazienti con insufficienza renale cronica)



QUESTIONI INERENTI LA PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA

Su alcune questioni della PMA, in particolare i vincoli previsti dalle prime linee guida alle diagnosi preimpianto sull’embrione, limitate alle sole tecniche osservazionali, escludendo quindi quelle genetiche (limitatamente a malattie di cui sono noti i meccanismi di trasmissione e le devastanti espressività fenotipiche quoad vitam et valetudinem),e all’obbligo di impianto di tutti gli embrioni prodotti ( fino a tre), la Federazione degli Ordini si era già pronunciata negativamente prima e dopo l’approvazione della L. 40/2004.
Oggi, anche alla luce di alcune autorevoli sentenze della Magistratura, sulla scorta di dati su consistenti fenomeni di “mobilità procreativa”, considerate le incertezze determinatesi successivamente alla revisione delle linee guida (abolizione della previsione della diagnosi osservazionale pre-impianto) emergono nuove problematiche rispetto alle quali confermiamo il valore delle disposizioni dell’art. 44 “Fecondazione assistita” del Codice diDeontologia Medica.

Rispetto a queste riteniamo che le linee guida non possano né debbano intervenire nella relazione di cura definendo, indipendentemente dal contesto clinico, atti e procedure diagnostico-terapeutiche non fondate sulle migliori evidenze scientifiche disponibili, sulle quali non è consentito alla donna esercitare un diritto attuale all’autodeterminazione, né al medico quello di compiere il proprio dovere agendo secondo scienza, nel rispetto del principio ippocratico di perseguire il massimo bene delle pazienti. Ancora una volta, sul piano etico e civile, vogliamo ribadire che l’equilibrio tra i tanti valori in campo, tutti meritevoli di tutele, va ricercato in una relazione di cura forte perché fondata sulla fiducia reciproca, consapevole perché basata sull’informazione puntuale, responsabile perché orientata al pieno rispetto dei diritti e doveri della libertà e autonomia dei soggetti. Un incontro unico ed irripetibile che, in questi termini, contiene tutti gli elementi per operare, in quelle circostanze, le scelte giuste.

L’ATTUAZIONE DELLA 194/78

L’ultima relazione del Ministro della Salute sullo stato di attuazione della L. 194/78, pur ponendo in evidenza luci e ombre sul suo stato di applicazione quali ad esempio l’insoddisfacente attività consultoriale, la carenza di provvedimenti di aiuto alla maternità responsabile, le difficoltà organizzative rileva non solo la sostanziale scomparsa dell’aborto clandestino, piaga sociale a cui non si deve correre alcun rischio di ritornare, ma anche la drastica riduzione delle interruzioni volontarie di gravidanza: risultati di grande significato civile e sociale.

Con questa premessa, riteniamo che vadano più efficacemente concretizzati gli obiettivi enunciati nella L. 194/78 rilanciando l’attività dei consultori con l’adeguamento di risorse umane e finanziarie volte a realizzare più efficaci attività di:

1. educazione alla procreazione responsabile;

2. supporto alla gestazione e alla maternità;

3. iniziative educative e sociali nelle aree a rischio IVG (extracomunitarie e minorenni)

Qualora le Autorità Sanitarie dovessero disporre l’introduzione in Italia della RU 486 (Mifepristone) – associato o no col Misoprostolo, (quest’ultimo in uso presso donne extracomunitarie come abortivo clandestino) si stabilisca che questo avvenga nel più rigoroso rispetto dei criteri e delle procedure previste dalla L. 194/78.


PROBLEMATICHE NEONATOLOGICHE IN ETA’ GESTAZIONALE BASSA


I progressi della neonatologia hanno sollevato con forza delicate questioni bioetiche relative all’assistenza ai neonati vitali di età gestazionale estremamente bassa ( 22-25 settimane ) nati da parti prematuri e nuovi vincoli agli aborti terapeutici, anche in ragione di espresse previsioni della stessa L.194/78.
Riteniamo che la complessa materia possa trovare orientamenti condivisi all’interno delle seguenti previsioni:

- gli articoli 6 e 7 della L.194/78, che regolano l’aborto terapeutico, dettano norme di comportamento per il medico assai chiare, in particolare il comma 3 dell’art.7 che espressamente prevede che “ Quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto…….il medico che esegue l’intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto “ ;

- in particolare nei casi di interruzione terapeutica di gravidanza di cui all’art. 6 comma b) della legge 194/78 occorre un’attenta valutazione della possibile vitalità del feto alla luce sia della specifica disposizione legislativa sia dei progressi della neonatologia e delle evidenze scientifiche per evitare il ricorso a successive manovre rianimatorie che possano configurare forme di accanimento terapeutico;

- gli interventi di rianimazione fetale, soprattutto se condotti nelle età gestazionali nelle quali le più aggiornate evidenze scientifiche disponibili riportano tassi di mortalità elevatissimi in relazione a gravi ed irrecuperabili insufficienze di sviluppo di organi e/o apparati o in presenza di gravi malformazioni incompatibili con la sopravvivenza del neonato, devono considerare quanto previsto dall’art. 16 del Codice di Deontologia Medica in materia di accanimento terapeutico. Il medico, come sempre, deve ispirare il proprio comportamento a tali norme, caso per caso e secondo una appropriata, autonoma e responsabile valutazione clinica fondata sulle migliori evidenze scientifiche disponibili;

- le disposizioni degli articoli 33, 35, 37 e 38 del Codice di Deontologia Medica confermano inequivocabilmente la necessità, anche in questi casi, di informare i rappresentanti legali (i genitori) e di acquisirne il consenso o di gestirne il dissenso secondo le disposizioni dell’art. 37 “Consenso del legale rappresentante” del Codice di Deontologia Medica sui trattamenti messi in atto e sulle scelte da compiere, garantendo alla madre e alla famiglia la necessaria assistenza sul piano umano, psicologico e sociale e al feto, quale che ne sia il destino, attenzioni e cure rispettose della dignità umana;

- è necessario che il servizio sanitario si attrezzi per prevenire e gestire al meglio queste evenienze che, sebbene relativamente rare (1-2/1000 parti), richiedono sforzi organizzativi, competenze professionali e strutture dedicate rilevanti.

Si ritiene infine che questioni così delicate, che si riferiscono a quanto di più intimo e personale coinvolga la donna, la coppia, e la società meritino grande rispetto ed un confronto sociale e politico meno strumentale, meno ideologico, più attento al grande bagaglio di sofferenze che sempre accompagna questi tormentati cammini. Bagaglio di sofferenze che ricade sulle donne, spesso lasciate sole in queste drammatiche circostanze. Al servizio di questa tutela, l’autonomia e la responsabilità della nostra professione si pongano come garanti di un’alleanza terapeutica fondata sul rispetto dei reciproci valori, diritti e doveri.

[cit]Commento di Luca Puccetti

Il testo si differenzia molto dall'impostazione della cosiddetta Carta di Firenze che attualmente si tenta di far riconoscere anche in ambito europeo con un grande supporto, anche editoriale, da parte di alcune componenti dell'Ordine di Firenze.

Nel documento FNOMCeo effettivamente approvato non si raccomanda di non rianimare i prematuri di 22 settimane e neppure di obbligare il medico a porre in essere la volontà dei genitori.

Si è adottato un testo molto più prudente che pone l'attenzione sulla responsabilità del medico che deve trovare una giusta compenentrazione tra la necessità di supportare una nuova vita nascente e di evitare l'accanimento terapeutico. Si riafferma dunque la responsabilità del medico che deve prevalere, ovviamente, su quella di altri soggetti che non possono avere la potestà di decidere sulla vita altrui. Si è evitato di ritenere giusto il riconoscere il diritto ad alcuno, sia esso persino il genitore, di decidere se valga la pena correre il "rischio di rianimare" non concedendo ad alcuno implicitamente il diritto di valutare se una vita sia degna di essere vissuta. Il feto nato vivo e vitale ha un diritto perfetto ad essere assistito come qualsiasi altro essere umano, diritto che non può certo essere subordinato ai desideri ed alle valutazioni di altri che non siano i medici che lo assistono. I genitori od altri soggetti parenti od affini hanno certamente il diritto ad essere informati, ma il loro parere, quando tecnicamente ottenibile senza mettere a repentaglio le possibilità di vita del prematuro, non può certo essere vincolante.

A tal proposito giova ricordare che in caso di arresto cardiaco di un qualsiasi individuo, le possibilità globali di recupero sono, in media, del 6% circa, ben inferiori a quelle di sopravvivenza di un prematuro di bassa età gestazionale, ma nessun medico consiglierebbe di non tentare la rianimazione del soggeto con arresto cardiaco perché il rapporto rischio beneficio potrebbe non essere favorevole o perché potrebbe essere "troppo alto" il rischio di gravi danni permanenti e neppure subordinerebbe l'intrapr3ndere la rianimazione del soggetto ai desideri di parenti od affini.

Qualcuno potrebbe chiedersi perché mai ci sia questa grande pressione da parte di taluni per costringere a sancire il principio di non rianimare prematuri di 22-23 e persino di 24 settimane. Si può rispondere in molti modi, al sottoscritto, cui piace pensar male, viene in mente il sospetto che questo sia molto legato con quanto accade attualmente con la legge 194 che vieta l'aborto in caso di vita autonoma del feto. Attualmente molte interruzioni di gravidanza volontarie avvengono dopo l'ecografia morfologica, che si pratica abitualmente tra la ventesima e la ventiduesima settimana, guarda caso proprio l'età a cui alcuni vorrebbero che si sancisse il principio di non rianimare. Se difatti passasse il principio che un feto di 22 settimane sia dotato di vita autonoma come potrebbe essere possibile praticare l'interruzione volontaria di gravidanza per "rischio di grave danno alla salute psichica della donna" dopo aver rilevato anomalie dello svilupo fetale alla morfologica?

A tal proposito il sottoscritto ha interrogato il Presidente della Società Italiana di Psichiatria su quale siano le linee guida per stabilire se esista un rischio di grave danno alla salute psichica della donna in caso di gravidanza indesiderata. Nessuna risposta ufficiale, allora il quesito è stato rivolto personalmente a tutti i membri del direttivo nazionale e si è appurato che non esiste alcuna linea guida e che l'unico psichiatra ad essersi occupato del problema in un articolo pubblicato, aveva affermato che sostanzialmente non era possibile valutare tale rischio per la salute psichica e pertanto lo psichiatra diventava colui che raccoglieva la volontà della donna. In base al convincimento di tale autore pertanto la "certificazione" non poteva fare certa la sussistenza della condizione di grave rischio per la salutre psichica, ma conteneva sostanzialmente la traduzione della volontà della madre. Ciò che è più grave è che molti lavori hanno evidenziato un grande aumento del rischio di suicidi dopo un aborto (a tal proposito occorrerebbe inserire uno specifico programma di supporto psicologico alle donne che abortiscono), mentre non ci sono evidenze che una gravidanza portata a termine contrariamente alla volontà della madre produca danni alla sua salute.



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