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Le responsabilita’ amministrative del primario ospedaliero tra vecchie sentenze e nuove normative

Categoria : medicina_legale
Data : 06 maggio 2003
Autore : admin

Intestazione :

[Nelle more della pubblicazione, il Decreto Antitruffa e' stato ritirato. E' possibile pero' che le informazioni riportate su questo articolo possano essere ugualmente utili, in quanto di interesse piu' generale. DZ]



Testo :


Sono state spesso esaminate e discusse, in varie sedi, gli aspetti di responsabilita’ professionale dei primari (o dirigenti di secondo livello) ospedalieri; raramente, invece, sono stati esaminati gli aspetti che riguardano la responsabilita’ amministrativa, considerata finora un aspetto del tutto secondario.
L’ evoluzione “burocratica” della professione nel nostro Paese ha pero’ portato in primo piano proprio le responsabilita’ burocratiche, molto pesanti e incidenti pesantemente sull’ attivita’ organizzativa.
Le recentissime normative (Decreto “antitruffa”) accentuano ulteriormente questi aspetti, fino ad estremi forse neppure voluti.
Esaminiamo, attraverso sentenze giudiziarie, due fattispecie apparentemente opposte, ma ambedue gravide di responsabilita’.

Caso 1: E’ penalmente responsabile il medico di struttura pubblica che dirotti i suoi pazienti verso una struttura privata (Cassazione Sezione Seconda Penale Sentenza n. 960 del 13 gennaio 2003)
I fatti:
Con sentenza in data 12.4.2001 la Corte di Appello di Bologna dichiarava il dott. E. G. responsabile dei delitti di abuso di ufficio e di truffa aggravata per essersi fatto pagare mediante artifici e raggiri parcelle milionarie per prestazioni effettuate quale professionista privato nei confronti di pazienti da lui conosciuti perchè ricoverati presso la struttura pubblica di cui è dipendente e lo condannava alla pena (sospesa con la “condizionale”) di sei mesi di reclusione e L. 1.000.000 di multa, oltre all'interdizione dai pubblici uffici per anni uno.
La Corte affermava che il G. aveva rappresentato ad un paziente e ai suoi congiunti l'imminenza di un pericolo inesistente e l'impossibilità di un ricovero tempestivo preso la struttura pubblica convincendoli ad eseguire gli esami più urgenti presso la sua clinica privata (di cui costoro prima ignoravano l'esistenza), poi aveva tentato di convincerli, mediante la falsa spiegazione che la struttura pubblica al momento non disponeva di certe endoprotesi metalliche, a scegliere la stessa clinica per un intervento chirurgico.

Il medico proponeva ricorso in Cassazione, chiedendo l'annullamento della condanna.

La Cassazione sottolineava invece una serie di comportamenti del G., configuranti violazioni di legge. In particolare le violazioni contestate riguardavano innanzitutto il dovere di fedeltà alla Pubblica Amministrazione, manifestatesi nel mancato apprestamento del ricovero del paziente presso altra struttura pubblica, avendo egli invece fatto ricoverare il paziente, proveniente dalla struttura pubblica da cui egli dipende, presso una clinica privata senza essersi attivato nell'ambito della medesima struttura pubblica al fine di consentire l'immediato intervento.
Infatti la stessa diagnosi effettuata dal G. (" nel corso della prima visita lo stesso G. riferì alla figlia del paziente che la patologia da lui rilevata poteva comportare un ictus in tempi brevi”) rendeva necessario un ricovero urgente, eventualmente dando la precedenza nei confronti di altri pazienti le cui condizioni fossero meno pressanti.
Infatti in tale situazione “ il G. avrebbe dovuto per le vedute ragioni disporne il ricovero immediato e, ove questo fosse stato assolutamente impossibile per carenza di letti, avviare il paziente presso altra struttura ospedaliera disponibile, anzichè consigliargli una serie di esami da effettuare in una struttura privata."

La Corte concludeva quindi che la sentenza dei Giudici di Merito aveva correttamente individuato nel suo comportamento "la violazione di doveri professionali normativamente definiti" e confermava la condanna per abuso d’ ufficio e truffa aggravata che pero', essendo gli eventi accaduti nel 1993, risultava prescritta.

E’ quindi reato, per il medico dipendente da un Ospedale, attivarsi per indirizzare i pazienti dalla struttura pubblica a quella privata, avendo egli, in quanto dipendenti della pubblica amministrazione, un dovere di fedeltà che lo obbliga a fare quanto in suo potere per consentire il ricovero immediato sempre nell'ambito della sanità pubblica.
A ben guardare, la Suprema Corte ha voluto sottolineare come la scelta del ricovero presso la struttura privata non fosse un' autonoma decisione del paziente, il quale neanche conosceva la clinica in questione, ma fosse artatamente indotta dal Sanitario. Questi poi, per operare tale indirizzamento presso la Clinica, forniva anche false informazioni circa la mancanza, nella struttura pubblica, delle endoprotesi necessarie al paziente. Tale comportamento configurava gli "artifici e raggiri" che erano stati alla base della condanna per truffa.
Pur non essendo quindi di per se’ reato inviare il paziente presso una struttura privata, lo diventa quando tale indirizzamento viene effettuato senza aver prima fatto il possibile per effettuare il ricovero presso una struttura pubblica, e quando vengano addotte motivazioni false o pretestuose, magari per fini di lucro personale.

Caso 2: E' responsabile di un danno economico, ed e' tenuto al risarcimento, il Primario che effettui ricoveri impropri o troppo prolungati in favore di un proprio familiare.
CORTE DEI CONTI, sez. giur. per l'Emilia-Romagna, SENTENZA 29 maggio 2001, n. 1135
I Fatti
L' AUSL di Rimini riferiva di aver disposto , al termine di apposito procedimento disciplinare avviato su segnalazione del Tribunale per i diritti del malato, il recesso dal servizio del prof. Carlo B., Dirigente ospedaliero di II. Livello "essendosi accertato nei confronti del medesimo dei ricoveri impropri e/o eccessivamente prolungati a favore di un diretto familiare (la propria madre)".
Il danno conseguente derivato all' AUSL era stato quantificato in lire 53.537.080.

La decisione era scaturita in seguito ad un procedimento formale di contestazione effettuato dal Responsabile del Presidio Ospedaliero, dott. M., da cui emergeva un giudizio negativo in ordine alla correttezza degli anzidetti ricoveri.
In particolare, per quanto riguardava il primo ricovero (dal 17 marzo al 24 maggio 1996), pur non contestandosi la sua opportunità iniziale (accertamenti relativi ad una lombosciatalgia resistente alla terapia domiciliare), veniva rilevato il suo anomalo prolungamento temporale, in rapporto sia agli elementi clinici documentati che alla durata media di degenza per analoghe patologie.

Circa il secondo ricovero (5 giugno - 2 novembre 1996) si osservava innanzitutto che era stata attuata una procedura non corretta, essendosi effettuato un ricovero d’ urgenza la cui valutazione era stata sottratta ai Medici del Pronto Soccorso e attestata, invece, dal prof. B.
Si osservava, inoltre, che le patologie per cui si era disposto il ricovero non risultavano seguite da coerente trattamento e non trovavano adeguata corrispondenza nell'impostazione terapeutica adottata.
Si sottolineava, ancora, in relazione all'anomalo perdurare della degenza, che le stesse consulenze specialistiche e l'esame della documentazione clinica evidenziavano la sussistenza di una patologia cronica con lunghi periodi di invariabilità del quadro clinico.

In ordine al terzo ricovero, anch'esso protrattosi in modo anomalo (9 agosto - 16 ottobre 1997), si rilevava che la paziente (ricoverata con diagnosi di "rachialgia acuta con irradiazione sciatalgica sinistra") non fu sottoposta ad alcun trattamento coerente con tale sintomatologia manifestando invece, secondo la documentazione clinica, uno stato patologico cronico per il quale sarebbero state necessarie un'impostazione terapeutica ed una vigilanza clinica effettuabili in regimi assistenziali diversi dal ricovero ospedaliero.

La difesa dell' accusato eccepiva come alla base dei ricoveri esistesse una discrezionalita' tecnica del Medico Responsabile; ventilava inoltre una corresponsabilita' della ASL per omissione dei doverosi controlli, e per indebita tolleranza delle eventuali irregolarita' riscontrate.

Il primario, stabiliva la Corte, si era posto con il suo comportamento in aperta violazione con le indicazioni relative al contenimento della spesa sanitaria, come stabilite a seguito dell'entrata in vigore del D. Lgs. n. 502/92 (decreto di riforma del S.S.N.). Con tale decreto il Legislatore ha infatti individuato i meccanismi con i quali provvedere alla riduzione della spesa sanitaria, con l’ adozione dei D.R.G. (Diagnosis Related Groups, cioè Raggruppamenti omogenei di diagnosi); in più, con il decreto 15 aprile 1994, il Legislatore classificava in tre categorie le prestazioni di assistenza ospedaliera distinguendo tra le prestazioni per acuti erogate in regime di degenza, quelle per acuti erogate in regime di ricovero diurno, e, quelle, infine, di riabilitazione ospedaliera erogabili in regime di degenza, limitando i ricoveri ospedalieri (nei Reparti ordinari) “soltanto alle patologie acute e contenendo la durata delle degenze nei limiti di tempo strettamente necessari".

Il Primario coinvolto nella vicenda, invece, con il suo comportamento ha disatteso tali finalità, in quanto i ricoveri prolungati anche per mesi della propria madre contravvenivano ai criteri di economicità della gestione del Presidio Ospedaliero, occupando indebitamente un letto per lunghi periodi, e ostacolando l' espletamento di interventi o di prestazioni assistenziali verso altri utenti con un danno per la ASL di circa 53 milioni di lire.
" Posto che tra i soggetti chiamati al corretto perseguimento degli obiettivi del Servizio Sanitario Nazionale nonché al rispetto dei criteri e delle priorità dettate per la gestione delle degenze devono collocarsi innanzitutto i Primari responsabili dei singoli reparti, si afferma che il comportamento del Primario qui convenuto (così come sopra descritto) deve ritenersi censurabile in quanto caratterizzato da notevole inadempimento degli obblighi del suo ufficio sicché in esso è individuabile l'elemento soggettivo del dolo o, quanto meno, della colpa grave."
Anche altri aspetti (procedure di accettazione, tenuta delle cartelle cliniche ecc.) erano illegittime in quanto "Il decreto del Presidente della Repubblica 27 marzo 1969, n. 128 ("Ordinamento interno dei servizi ospedalieri"), aveva stabilito, all'art. 7 (terzo comma), che il primario "provvede a che le degenze non si prolunghino oltre il tempo strettamente necessario agli accertamenti diagnostici ed alle cure" ed "è responsabile della regolare compilazione delle cartelle cliniche" e, all'art. 14, che "negli ospedali regionali e provinciali il servizio di accettazione sanitaria è espletato, qualora non sia possibile istituirlo in modo autonomo, dal personale addetto al pronto soccorso" (secondo comma), che "sulla necessità del ricovero e sulla destinazione del malato decide il medico di guardia" (sesto comma) e che "il giudizio sull'urgenza e sulla necessità del ricovero è rimesso alla competenza del medico che accetta l'infermo .." (nono comma)."
I Magistrati hanno poi ulteriormente precisato che lo scostamento rilevabile, tra la condotta prescritta dalla normativa e quella tenuta in concreto dal convenuto era tale da evidenziare di per sé l’ esistenza “di un atteggiamento psicologico improntato ad assoluta indifferenza nei confronti dei vincoli posti dall'ordinamento a tutela dell'interesse pubblico: si deve allora affermare che, anche se il soggetto agente non ha voluto l'evento dannoso, lo ha però determinato grazie alla sua negligenza, negligenza così marcata da imporre la necessità di configurare il suo operato come gravemente colposo.
Costituiscono indici eloquenti della gravità della colpa: la reiterazione di ricoveri impropri, il loro perdurare per un tempo da 5 a 11 volte superiore alla degenza media di reparto (secondo i dati statistici, relativi a pazienti ultraottantenni, di cui si è detto in narrativa) ed il mancato rispetto persino delle disposizioni vigenti in materia di ammissione al ricovero ospedaliero".
Né, rileva la Corte, era possibile invocare, per quanto riguarda la durata dei ricoveri ospedalieri, le prerogative inerenti alla discrezionalità tecnica giacché anche gli atti a prevalente contenuto tecnico-discrezionale devono rispettare i cosiddetti "limiti interni" della discrezionalità amministrativa che, nel caso in oggetto risultavano violati “ essendo le cartelle cliniche disponibili indicative di un quadro patologico che appare in evidente contraddizione con i motivi addotti per giustificare i ricoveri cui esse si riferiscono."
Veniva riconosciuto un certo grado di inadempienza anche da parte della ASL circa l’ obbligo di effettuazione dei doverosi controlli, per cui la responsabilita' economica di B.si riduceva alla somma di Lire 20 milioni, piu' interessi e spese di giudizio.

I due casi visti alla luce del Decreto Legge 3 marzo 2003, n.32 (Disposizioni urgenti per contrastare gli illeciti nel settore sanitario- GU n. 52 del 4-3-2003)- Decreto “antitruffa”

E’ ormai ben noto come il nuovo DL preveda all’ art. 1 che “ sulla base anche della sola colpa grave o una sanzione amministrativa pecuniaria non inferiore nel minimo a 50.000 euro … '. I soggetti interessati a questa norma sono tutti i professionisti sanitari dipendenti o convenzionati con il servizio sanitario nazionale o responsabili di strutture accreditate che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, effettuano prestazioni farmaceutiche o diagnostiche non pertinenti per tipologia o quantità con la patologia di riferimento, ovvero in violazione di legge o di regolamento richiedono rimborsi inappropriati, determinano ingiustificati ricoveri ospedalieri o assumono impegni contrattuali e obbligazioni cagionando danno alle aziende unità sanitarie locali e ospedaliere… è inoltre disposta la confisca amministrativa dei beni e delle cose che servirono o furono destinate a commettere la violazione… Il provvedimento che conclude il procedimento deve essere comunicato al competente ordine o collegio professionale di
appartenenza, che, valutati gli atti, puo' disporre la sospensione dall'esercizio della professione o la radiazione dall'Albo.".

All’ art. 4, a proposito del reato di Truffa, e’ previsto che "Se il fatto e' commesso a danno del Servizio sanitario nazionale, da professionisti sanitari dipendenti dal medesimo Servizio o con
esso convenzionati, ovvero responsabili di strutture sanitarie accreditate per l'erogazione di prestazioni clinico-diagnostiche, la pena pecuniaria di cui al secondo comma e' decuplicata. E' sempre ordinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato o delle cose che ne sono il prodotto o il profitto. Il provvedimento che definisce il giudizio deve essere comunicato al competente ordine o collegio professionale di appartenenza che, valutati gli atti, dispone la radiazione dalla professione del responsabile.".

Il sanitario di cui al caso n. 1, ritenuto colpevole di abuso di ufficio e di truffa aggravata, sarebbe rientrato pienamente nella fattispecie dell’ art. 4. Qualora il Decreto fosse stato in vigore all’ epoca dei fatti al Primario, malgrado l’ avvenuta prescrizione, sarebbero state comminate le sanzioni amministrative pecuniarie, la confisca dei beni derivati dal lavoro effettuato in clinica privata verso pazienti provenienti dall’ Ospedale, la radiazione dall’ Ordine dei Medici.

Il sanitario di cui al caso 2, in seguito alla condotta giudicata dal tribunale Amministrativo “gravemente colposa” avrebbe subìto, a fronte di un danno di 20 milioni di lire cagionato alla ASL, le sanzioni previste dall’ Art.1, vale a dire, oltre al risarcimento del danno stabilito dal Tribunale, una ulteriore sanzione amministrativa compresa tra 50.000 e 200.000 euro e il deferimento all’ Ordine per un provvedimento di sospensione o radiazione dall’ Albo.
Analoghe sanzioni rischierebbero pure i sanitari dirigenti ASL che, secondo il Tribunale, avevano omesso colposamente i doverosi controlli.

Le maggior parte delle polizze assicurative contro i "rischi professionali" prevede il risarcimento di quanto dovuto per danni da attivita' sanitaria, e non quelli da responsabilita' "burocratica" o "amministrativa". L' intero onere sarebbe gravato percio' direttamente ed esclusivamente sulle tasche dei diretti interessati. Ogni polizza che prevedesse questo tipo di risarcimento subira' prevedibilmente un pesantissimo rincaro.

Vorremmo lasciare alla coscienza dei lettori il giudizio se effettivamente tali comportamenti siano stati effettivamente (specialmente nel caso n. 2) cosi’ gravi e destabilizzanti da meritare sanzioni di tale entita’.
A questo scopo vorremmo anche paragonare queste sanzioni a quelle ( irrisorie, al confronto) che vengono irrogate per delitti colposi di gravita’ addirittura maggiore ma interessanti settori diversi da quello sanitario (come, ad esempio, i delitti contro l’ incolumita’ personale): chi ha notizia di sanzioni cosi' gravi nei casi, ad esempio, di omicidio colposo o di lesioni gravissime da incidente d' auto?
Inoltre va considerato che le pene accessorie, prive di gradualita', porterebbero alla radiazione dall’ albo per un singolo reato, magari con un danno di pochi milioni, contro ogni possibilita' di recupero o di espiazione, determinando la rovina irrimediabile del sanitario.



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