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Stent medicati con everolimus vs paclitaxel in pazienti con coronaropatia


Categoria : cardiovascolare
Data : 05 febbraio 2009
Autore : admin

Intestazione :



Testo :

L’impianto di stent migliora il flusso coronarico nella sede della lesione aterosclerotica ma determina un’eccessiva iperplasia neointimale in circa il 20-30% dei pazienti trattati con stent metallici che può esitare in ischemia ricorrente e quindi richiedere una nuova ospedalizzazione per interventi percutanei coronarici o di bypass.
Gli stent medicati rilasciano un farmaco in situ con proprietà antiproliferative che inibisce la risposta vascolare al danno arterioso, riducendo così la restenosi. È già stato dimostrato che il rilascio di paclitaxel e sirolimus inibisce la crescita tissutale dopo impianto di stent e migliora la sopravvivenza a lungo termine senza eventi in confronto agli stent metallici. Tuttavia, la restenosi si può verificare e, rispetto ai non medicati, l’incidenza di trombosi da stent medicati aumenta, soprattutto dopo il primo anno di impianto, probabilmente per una ritardata e incompleta endotelizzazione.
Di recente sono stati sviluppati stent medicati a rilascio di everolimus, un immunosoppressore macrolide semisintetico, analogo della rapamicina, che blocca gli effetti stimolatori dei fattori di crescita e delle citochine, rilasciate a seguito di danno vascolare.
Studi preclinici hanno dimostrato un’endotelizzazione più rapida con stent di cromo-cobalto, rivestito da un fluoropolimero non adesivo, a rilascio di everolimus, rispetto agli stent che rilasciano sirolimus e paclitaxel.

Per valutare la sicurezza e l’efficacia di uno stent medicato con everolimus vs paclitaxel in pazienti con coronaropatia, nell’RCT SPIRIT III sono stati arruolati 1002 pazienti (randomizzati secondo un rapporto di 2:1), di età >18 anni, con angina stabile o instabile o ischemia, sottoposti ad intervento coronarico percutaneo.
I criteri di esclusione erano rappresentati da intervento percutaneo nel vaso target prima della procedura o programmato entro 9 mesi; intervento in un vaso non target entro 90 giorni prima della procedura o programmato entro 9 mesi; precedente brachiterapia coronarica; infarto in atto o recente con elevati livelli di marker cardiaci; frazione di eiezione ventricolare <30%; trapianto di organo precedente o programmato; chemioterapia in atto o programmata; presenza di patologie immunitarie o autoimmunitarie oppure terapia con immunosoppressori; uso di terapia anticoagulante cronica; controindicazioni o allergia ad aspirina, eparina e bivalirudina, tienopiridine, everolimus, cobalto, cromo, nickel, tungsteno, acrilico o fluoropolimeri o mezzi di contrasto iodati che non possono essere pre-medicati; chirurgia elettiva programmata entro 9 mesi dalla procedura, che necessita di interruzione della terapia antiaggregante; conta piastrinica <100.000/µL o >700.000/µL; leucociti <3000/µL; creatinina >2,5 mg/dL o dialisi o epatopatia; emorragie maggiori recenti; diatesi emorragica; obiezioni alla trasfusione; stroke o attacco ischemico transitorio entro 6 mesi; patologie concomitanti che limitano l’aspettativa di vita a <1 anno o che possono alterare la compliance; gravidanza, allattamento o gravidanza programmata entro 1 anno dall’arruolamento; partecipazione ad un altro studio.

Prima della cateterizzazione sono stati effettuati un elettrocardiogramma e la misurazione della creatina-fosfochinasi e dei suoi isoenzimi; inoltre sono stati somministrati >300 mg di aspirina.
Lo studio è stato condotto su lesioni <28 mm di lunghezza e con diametro del vaso di riferimento fra 2,5 e 3,75 mm.
Dopo la procedura sono stati effettuati un elettrocardiogramma e la misurazione degli enzimi cardiaci.
Il protocollo raccomandava che i pazienti ricevessero aspirina (=80 mg/die) per sempre e clopidogrel (75 mg/die) per almeno 6 mesi.
Il follow-up clinico è stato effettuato a 30, 180, 240, 270 e 365 giorni e poi annualmente per 5 anni.
Il follow-up angiografico è stato effettuato a 240 giorni nei primi 564 pazienti arruolati.

L’end point primario era rappresentato dalla riduzione tardiva in-segmento a 240 giorni (definita come la differenza nel diametro minimo del lume, valutato immediatamente dopo la procedura e al follow-up angiografico, misurato entro i margini, 5 mm prossimali e 5 mm distali allo stent).
L’end point secondario maggiore comprendeva la perdita di funzionalità del vaso sanguigno target ischemia-dipendente a 270 giorni, definito come l’insieme di morte cardiaca, infarto miocardico e rivascolarizzazione della lesione target tramite intervento percutaneo o di bypass.
L’end point secondario addizionale riguardava la valutazione di eventi cardiaci maggiori (morte cardiaca, infarto miocardico e rivascolarizzazione) a 270 giorni ed a 1 anno.
Tra il 22 giugno 2005 e il 15 marzo 2006, sono stati arruolati 1002 pazienti, di cui 669 randomizzati a ricevere stent medicati con everolimus e 333 con paclitaxel. I due gruppi avevano caratteristiche simili. Il numero medio di lesioni era di 1,2 in ciascun gruppo; nel 15,4% di ogni gruppo sono state trattate 2 lesioni.
Nel gruppo everolimus, la lunghezza totale dello stent per lesione era lievemente superiore, mentre la pressione dell’impianto era lievemente inferiore.

A 8 mesi il follow-up angiografico è stato completato nel 77% dei pazienti eleggibili. Rispetto al paclitaxel, nel gruppo con stent con everolimus sono risultate statisticamente inferiori sia la perdita tardiva in-segmento (media 0,14 mm vs 0,28 mm; differenza –0,14 [CI 95% da –0,23 a –0,05]; p<0,004) sia la perdita tardiva in-stent (0,16 mm vs 0,31 mm; differenza da –0,15 [CI 95% da –0,25 a –0,04]; p<0,006).
A 30 giorni il numero di infarti del miocardio tendeva ad essere minore fra i pazienti randomizzati a everolimus rispetto al paclitaxel (7/667 pazienti [1%] vs 9/330 [2,7%], rispettivamente; RR 0,38 [CI 95% 0,14-102]; p=0,06), mentre risultavano simili la mortalità cardiaca (0% in entrambi i gruppi) e la rivascolarizzazione della lesione target (3/667 pazienti [0,4%] vs 1/330 [0,3%], rispettivamente; RR 1,48 [CI 95% 0,15-14,21]; p>0,99).
A 9 mesi, lo stent a rilascio di everolimus è risultato non inferiore rispetto a quello con paclitaxel a livello della lesione target (47/657 pazienti (7,2%) vs 29/321 (9%); differenza –1,9% [CI 95% da –5,6% a 1,8%]; RR 0,79 [CI 95% 0,51-1,23]; p<0,001).
Rispetto agli stent medicati con paclitaxel, quelli a rilascio di everolimus determinavano una riduzione statisticamente significativa degli eventi cardiaci maggiori sia a 9 mesi (30/657 pazienti, 4,6% vs 8,1%; RR 0,56 [CI 95% 0,34-0,94]; p=0,03) sia ad 1 anno (39/653 pazienti, 6% vs 10,3%; RR 0,58 [CI 95% 0,37-0,90]; p=0,02), grazie ad un’incidenza minore di infarto miocardico e di procedure di rivascolarizzazione.

I risultati di questo studio confermano ed estendono quelli del trial SPIRIT II in cui l’incidenza di eventi avversi cardiaci maggiori ad 1 anno si riduceva da 9,2% con gli stent medicati con paclitaxel a 2,7% con everolimus (p=0,04). Fra i due tipi di stent non risultavano differenze statisticamente significative nell’incidenza di trombosi, anche se è necessario un follow-up più prolungato in quanto il rischio di trombosi dello stent può essere evidenziato anche dopo 1 anno.
Dal momento che 2 studi (SPIRIT II e SPIRIT III), condotti in diverse zone geografiche da differenti gruppi di lavoro, hanno evidenziato che gli eventi avversi cardiaci maggiori sono ridotti con gli stent a rilascio di everolimus rispetto a paclitaxel, è probabile che tali risultati siano reali. Tuttavia gli eventi avversi cardiaci maggiori non rappresentavano l’end point primario di questi due studi, pertanto tali conclusioni non possono essere considerate definitive. Inoltre, nello studio SPIRIT III, il follow-up angiografico è stato effettuato nel 43,5% dei pazienti e ciò aumenta ulteriormente la preoccupazione che la perdita superiore di lume con paclitaxel rispetto ad everolimus possa determinare una quantità maggiore di procedure di rivascolarizzazione.


Rispetto agli stent a rilascio di paclitaxel, gli stent medicati con everolimus hanno determinato una riduzione della perdita tardiva del lume, come visualizzato angiograficamente e si sono dimostrati non inferiori in termini di perdita di funzionalità del vaso target e di minore incidenza di eventi cardiaci maggiori a 1 anno di follow-up.


Commento

Un editoriale ha commentato i risultati di questo studio, soffermandosi su alcuni punti importanti.
È indiscusso che l’angioplastica sia utile nei pazienti con angina da stenosi coronarica. In passato, spesso si verificava l’improvvisa chiusura del vaso ed era necessario ripetere l’intervento. Allo scopo di ridurre la frequenza di tale complicanza, all’inizio degli anni ’90 sono stati introdotti gli stent metallici. Nel 2003 sono stati introdotti gli stent medicati sulla base di alcuni studi che dimostravano la riduzione della perdita di lume e della necessità di ripetere le procedure in pazienti con restenosi coronarica.
Segnalazioni di trombosi hanno portato la FDA a chiedere che fossero condotti studi sugli stent medicati in popolazioni più ampie e con follow-up più lunghi.
Nello studio SPIRIT III, gli sperimentatori, utilizzando come end point la perdita del lume e la non inferiorità relativa alla perdita di funzionalità del vaso target, hanno risposto alle richieste dell’FDA di dimostrare l’efficacia e la sicurezza di questi dispositivi prima della loro autorizzazione alla commercializzazione. Nel caso degli stent medicati con everolimus, essi riducono notevolmente la perdita di lume, aumentando dell’1,8% la perdita di funzionalità del vaso target a 9 mesi, il che rientra nei limiti della non inferiorità.
Sono incoraggianti i dati clinici iniziali relativi all’infarto miocardico, definito come livelli di creatinfosfochinasi (CPK) > 2 volte il limite superiore del valore normale con livelli positivi di CPK-MB. Non ci sono stati decessi nei due gruppi in studio.
I dati di questo studio sono analoghi a quelli derivanti dal confronto iniziale tra stent medicati e stent non medicati. La restenosi si è ridotta con lo stent a rilascio di everolimus, determinando così una diminuzione della rivascolarizzazione della lesione e di infarto miocardico.
Tuttavia, non è noto l’effetto clinico in una popolazione ampia di pazienti che possono essere esposti dopo che il dispositivo è stato approvato alla commercializzazione.
Inoltre, dal momento che la sicurezza a lungo termine non è ancora nota e al fine di rilevare eventi rari, saranno necessari ulteriori studi su un numero superiore di pazienti e con periodi di follow-up più lunghi.

Dottoressa Alessandra Russo

Riferimenti bibliografici

Stone GW et al. Comparison of an everolimus-eluting stent and a paclitaxel-eluting stent in patients with coronary artery disease. A randomized trial. JAMA 2008; 299: 1903-13.
Patel MR, Holmes DR Jr. Next-generation drug-eluting stents: A spirited step forward or more of the same. JAMA2008; 299: 1952-3

Contributo gentilmente concesso dal Centro di Informazione sul Farmaco della Società Italiana di Farmacologia - http://www.sifweb.org/farmaci/info_farmaci.php/



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