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Obiezione di coscienza e pillola del giorno dopo


Categoria : professione
Data : 02 giugno 2008
Autore : admin

Intestazione :

Il medico pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio può rivendicare il diritto all'obiezione-clausola di coscienza in merito alle richieste di prescrizioni di levonorgestrel a scopo contraccettivo di emergenza?



Testo :

Il tema è stato sollevato da un articolo pubblicato sull'House Organ della Società Medica Italiana per la Contraccezione.

Gli autori affrontano il problema degli effetti che l'assunzione del levonorgestrel a scopo contraccettivo di emergenza può indurre sulla donna domandandosi se, in base alle attuali conoscenze, il farmaco possa comportare danni al feto o alla donna. Gli autori concludono che la letteratura non permette di escludere del tutto la possibilità di conseguenze lesive sulla donna, specie in relazioni a condizioni pre-esistenti che tuttavia non escludono il nesso causale. Gli autori sottolineano tuttavia che la responsabilità per danno, pur concausalmente riconducibile alla prescrizione di contraccettivi di emergenza, va esclusa qualora l'evento avverso dovesse risultare non scientificamente prevedibile o anche solo non prevenibile ( ? ! ).

Dopo aver affrontato il tema del consenso viene trattata la prescrizione alle minorenni. A tal fine, gli Autori citano l'articolo 2 della legge 194/78 che prevede la somministrazione, su prescrizione medica, nelle strutture sanitarie e nei consultori, dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte in ordine alla procreazione responsabile anche ai minori. Viene altresì citata la legge 66/1996 sulla violenza sessuale, nella quale viene riconosciuto ai minori che abbiano compiuto 14 anni di autodeterminarsi in ordine alla propria sessualità.
A tal proposito il codice di Dentologia Medica 2006 prevede comunque una valutazione del grado di maturazione individuale dimostrata dal minore.

Nei minori di 14 anni, ma maggiori di 10 anni secondo gli Autori non corre obbligo di referto (rapporto per i pubblici ufficiali od incaricati di pubblico servizio, ndr) all'Autorità giudiziaria in caso di atti sessuali per violenza carnale presunta. Non vengono discussi i casi di plagio anche nei maggiori di 14 anni, ma inferiori a 16 anni allorquando l'atto sessuale sia compiuto da persone esercenti patria potestà o comunque in grado di condizionare la libera autodeterminazione della ragazza o i casi in cui esista un' incapacità ad autodeterminarsi per patologie organiche o psichiche.

Viene dunque affrontato il cuore della questione ossia se il rifiuto della prescrizione del farmaco (intendendo il levonorgestrel a scopo contraccettivo di emergenza) da parte di un medico configuri il reato previsto all'articolo 328 c.p. (Rifiuto di atti di ufficio)

Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni.


Gli autori citano il caso di un medico sostituto del collega titolare di medicina generale che, rifiutandosi di prescrivere una pillola anticoncezionale, vedeva archiviata la richiesta di rinvio a giudizio poiché nella fattispecie il rifiuto non riguardava un atto da compiersi "senza ritardo".

Il caso dunque non si applica a dirimere la questione poiché trattasi di contraccezione e non di contraccezione di emergenza.

Gli Autori ritengono che l'obiezione di coscienza espressamente prevista all'articolo 9 della legge 194/78 non possa essere invocata poiché in tal caso deve essere accertata la gravidanza in atto e che tale argomentazione vale non solo nel caso che la "pillola del giorno dopo" sia considerata solo un contracettivo, ma anche se avesse un effetto antinidatorio e dunque abortivo nell'accezione di coloro che riengono che la gravidanza non inizi con l'annidamento, ma con la fusione dei gameti.

Gli Autori negano anche che la legge 40/2004 possa essere invocata poiché necessiterebbe la dimostrazione della presenza di un embrione.

Gli Autori negano inoltre, a loro parere e senza alcuna argomentazione, la possibilità di invocare il principio di ANALOGIA e di PRECAUZIONE.

Successivamente gli Autori esaminano la possibilità di esercitare la clausola di coscienza citando l'articolo 22 del codice deontologico medico che recita:

Il medico al quale vengano richieste prestazioni che contrastino con la sua coscienza o con il suo convincimento clinico, può rifiutare la proipria opera, a meno che questo comportamento non sia di grave ed immediato nocumento per la salute della persona assistita e deve fornire al cittadino ogni utile informazione e chiarimento.


Gli Autori menzionano in merito il pronunciamento del Comitato Nazionale di Bioetica che il 28/05/2004 si esprimeva in risposta ad un quesito formulato dall'Ordine dei medici di Venezia, ritenendo unanimente da accogliersi la possibilità per il medico di rifiutare la prescrizione di emergenza, dato il rango costituzionale dello scopo di tutela del concepito (corte cost. 35/1197), a prescindere da disposizioni specificamente riferite in esame.

Gli Autori tuttavia ritengono che in alcuni casi il medico, in buona sostanza, non possa esercitare il diritto a sollevare clausola di coscienza poiché ciò si porrebbe in contrasto con il DIRITTO della donna alla prescrizione di un farmaco.

Tali situazioni riguarderebbero, secondo gli Autori, essenzialmente il personale medico che svolge attività presso strutture pubbliche quali consultori e pronto soccorso.

Gli Autori affrontano infine il dettato dell'articolo 328 c.p. sull'omissione di atti di ufficio, chiarendo, ovviamente, che esso si applica solo ai medici dipendenti o convenzionati che appuntono rivestono la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio, essendone palesemente esclusi i medici liberi professionisti.

Secondo gli Autori l'espressione per "ragioni di sanità" oggi andrebbe inteso con "per ragioni di salute" (la motivazione sarebbe, per gli Autori, anche il cambio di nome del ministero!!!!, ndr) essendo la contraccezione di emergenza un mezzo per tutelare la salute nelle sue diverse dimensioni, compresa quella relazionale.

Inoltre secondo gli Autori l'espressione "senza ritardo" ben si riferirebbe alla situazione della contraccezione di emergenza che va assunta in tempi ristretti.

Fonte: P. Benciolini, A. Arseni: La contraccezione d'emergenza un contributo medico-legale. Contraccezione sessualità, salute riproduttiva, Dic 2007 Vol 1(3) 11-16.


Commento di Luca Puccetti

Si parte da un assunto assolutamente indimostrato: la donna ha DIRITTO alla prescrizione di un farmaco.

Tale diritto esiste solo nella fantasia degli Autori, ciò cui ha diritto la donna è di essere presa in cura nell'ambito di una visita medica che, a discrezione del sanitario potrà esitare in una prescrizione o in altro atto medico, DOPO ADEGUATO E VALIDO CONSENSO.

Gli Autori configurano una situazione devastante in cui il cittadino avrebbe DIRITTI basati su semplici desideri. E' intuitivo che se dovessimo accettare questo principio qualunque desiderio del paziente dovrebbe essere soddisfatto dal medico, indipendente dal suo convincimento clinico ed etico, negandosi così l'essenza della ragion stessa d'essere del medico.

Gli Autori danno per pacifico quanto pacifico non è affatto. Si appoggiano acriticamente su quanto affermato in altro articolo pubblicato sullo stesso numero della rivista da E. Arisi e R. Michieli (1). In tale articolo gli autori non fanno menzione alcuna di tutte le problematiche derivanti dalle incertezze della letteratura sul meccansimo di azione del levonorgestrel somministrato come contraccettivo di emergenza, cavandosela con un "non può ovviamente essere dimostrato il meccanismo esatto per ragioni biologiche" Nello stesso articolo (1) gli autori favoleggiano circa presunte possibilità che la pre-prescrizione od altre forme di libero accesso alla pillola del giorno dopo o comunque una non meglio precisata "migliore utilizzazione della contraccezione di emergenza" possano "CERTAMENTE" permettere di intervenire nella riduzioni degli aborti.

Ebbene ad oggi nessun dato serio esiste a sostegno che l'advance provision riduca gli aborti o le gravidanze indesiderate. Anzi i dati ci dicono che, nonostante l'advance provision od altre forme di facilitazione dell'approvigionamento favoriscano l'assunzione della pillola del giorno dopo e favoriscano un'assunzione più precoce, non si è mai osservata una riduzione degli aborti o delle gravidanze indesiderate. Al contrario, nelle giovani donne al di sotto dei 20 anni il vertiginoso aumento delle vendite delle pillole del giorno dopo si accompagna ad una tendenza verso un aumento della propensione ad abortire. Come dire che chi fa ricorso alla contraccezione di emergenza, in caso di fallimento abortisce frequentemente.

Purtroppo di tutto ciò non c'è menzione alcuna nell'articolo di Arisi e Michieli (1) e dunque Benciolini ed Arseni sono costretti a basarsi su un fondamento piuttosto sbilanciato.

Partendo da fondamenta sbilanciate, come insegna la vicenda della Torre di Pisa, il monumento viene su storto.

Ma analizziamo il contributo originale degli Autori dell'articolo recensito.

Prima di tutto una valutazione di carattere generale: nel biodiritto vale, eccome, il principio di ANALOGIA, contrariamente a quanto affermato dagli Autori e vale ancor più, come ricordato dalla Commissione Nazionale di Bioetica nel suo citato pronunciamento, quando sono in gioco valori di rango costituzionale.

Ciò detto analizziamo le motivazioni (sic!) addotte dagli autori per sostenere le loro personali affermazioni. Dopo aver negato, senza alcuna argomentazione, il principio di analogia, gli autori hanno solo da analizzare le specifiche norme. L'obiezione di coscienza prevista nella formulazione della 194 non può, per gli autori, essere invocata poiché nel caso della contraccezione di emergenza non può essere accertata la gravidanza in atto. Ma come la mettiamo con a legge 40 che all'articolo 16 recita:

1. Il personale sanitario ed esercente le attività sanitarie ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure per l'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita disciplinate dalla presente legge quando sollevi obiezione di coscienza con preventiva dichiarazione. La dichiarazione dell'obiettore deve essere comunicata entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge al direttore dell'azienda unità sanitaria locale o dell'azienda ospedaliera, nel caso di personale dipendente, al direttore sanitario, nel caso di personale dipendente da strutture private autorizzate o accreditate.

2. L'obiezione può essere sempre revocata o venire proposta anche al di fuori dei termini di cui al comma 1, ma in tale caso la dichiarazione produce effetto dopo un mese dalla sua presentazione agli organismi di cui al comma 1.

3. L'obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività sanitarie ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificatamente e necessariamente dirette a determinare l'intervento di procreazione medicalmente assistita e non dall'assistenza antecedente e conseguente l'intervento.


Qui, evidentemente, gli Autori sono stati poco attenti poiché argomentano l'esclusione della possibilità di invocare tale legge riguardo alla prescrizione della "pillola del giorno dopo" poiché l'intervento dei medici viene richiesto in un momento in cui l'esistenza di un embrione non è assolutamente dimostrabile.

Gli Autori devono aver letto male il comma 3 dell'articolo 16 della legge 40/2004 ove è prevista la possibilità di sollevare obiezione di coscienza per " le procedure e delle attività specificatamente e necessariamente dirette a determinare l'intervento di procreazione medicalmente assistita". Fra tali attività rientrano ovviamente attività in cui l'embrione SICURAMENTE ancora non esiste. Dunque la motivazione portata dagli Autori viene palesemente contraddetta.

Ma veniamo all'esegesi dell'articolo 328. Secondo gli Autori l'espressione "igiene e sanità", deve essere intesa nella più ampia accezione di tutela olistica della salute. Gli Autori tuttavia non contestualizzano la norma che è stata emanata nella presente formulazione con la Legge 26 aprile 1990, n. 86 (in GU 27 aprile 1990, n. 97). Ritengo molto improbabile che nel 1990 l'accezione comune del termine "sanità" si riferisse a quel concetto olistico di salute cui gli autori fanno riferimento, appare molto più verosimile ed intellettualmente onesto ricondurre l'espressione agli interventi di sanità pubblica, come suggerito dall'accostamento con il termine igiene.

Passiamo adesso all'analisi del termine "indebitamente". Giova ricordare che questa espressione è ripresa senza modifiche dalla formulazione dell'articolo contenuta nel codice Rocco (approvato con Regio Decreto del 19 ottobre 1930 n. 1398). Per gli Autori sarebbe dunque indebito il rifiuto della richiesta di prescrizione poiché la contraccezione d'emegenza sarebbe un mezzo per tutelare la salute nelle sue diverse dimensioni.

Vediamo di esaminare la questione.

La gravidanza secondo il sistema classificativo nosografico internazionale ICD nella sua ultima formulazione non è annoverata tra le malattie (codici O00-O99).

Giova ricordare che combinando le probabilità di gravidanza dopo un singolo rapporto " a rischio" con l'efficacia supposta del levonorgestrel usato a scopo contraccettivo d'emergenza si ha che la pillola del giorno dopo viene somministrata "inutilmente" in 32-49 casi ed "utilmente" in un caso. Il rischio di gravidanza dopo un singolo rapporto a rischio, indipendentemente dal periodo del ciclo, è dunque piuttosto basso e la possibilità di assumere la pillola inutilmente piuttosto alta. Già queste semplici spiegazioni potrebbero in molti casi indurre la donna a riflettere e magari ad assumere un diverso atteggiamento e comunque potrebbero contribuire a lenire il possibile stato d'ansia.

Il timore di una gravidanza indesiderata non può essere inoltre considerato automaticamente una malattia sempre e comunque, senza prescindere da una valutazione specifica dello stato della donna, della sua condizione psicologica, della comorbidità, dello stato sociale e familiare. Chi dovrebbe formulare tali valutazioni se non il medico, pur con le difficoltà di operare talora senza conoscere l'anamnesi clinica e personale-familiare? Dunque è il medico che deve valutare, caso per caso, se sussista una motivazione di sanità o di salute, come vorrebbero gli Autori e non certamente la donna con la sua richiesta.

Ma quando la gravidanza è indesiderata? Può essere considerata tale una gravidanza giudicata dalla donna nella concitazione di un evento che induce ansia e che per lo stesso motivo può affievolire la capacità di giudizio? Non vanno considerati in modo del tutto particolare i casi in cui la valutazione della donna sia la conseguenza di un plagio da parte di partner o terza persona dominante ?

Già da queste semplici considerazioni si evince che il ruolo del medico è insostituibile non solo nel valutare condizioni cliniche che rappresentino delle eventuali controindicazioni biologiche alla prescrizione della contraccezione d'emergenza, ma per valutare anche tutti gli aspetti psicologici ed ambientali che influiscono sulla valutazione stessa della donna e per valutare anche se il GIUDIZIO della donna sia frutto di autodeterminazione consapevole ovvero di una momentanea o permanente alterazione della capacità di giudizio, allorquando non sia il risultato di un plagio da parte del partner o di terzi.

In merito al giudizio dull' eventuale condotta indebita del medico pubblico ufficiale od incaricato di pubblico servizio presupposto imprescindibile è che il danno alla salute della donna debba essere concretamente apprezzabile dal sanitario e non solo astrattamente ipotizzabile.

Secondo gli Autori, nei casi previsti dalla legge sui consultori, sul diritto alla clausola di coscienza del sanitario dovrebbe farsi prevalere il DIRITTO della donna alla prescrizione di un farmaco. Ma tale obbligo caso mai è in carico ai consultori ed a chi li dirige non al singolo sanitario. E' il responsabile del servizio o dell'Ente che deve infatti attivare le procedure necessarie a salvaguardare i diritti dei medici e delle donne. Giova infatti ricordare a tal proposito che la legge sulla vivisezione n. 413, del 16 ottobre 1993 (Gazzetta Ufficiale n. 244), dal titolo "Norme sull'obiezione di coscienza alla sperimentazione animale", prevede l'obiezione di coscienza vietando ogni discriminazione per le scelte fatte da operatori e studenti. Se la ratio della norma sulla vivisezione non consente discriminazione per gli operatori obiettori riteniamo che, per analogia e a maggior ragione, tale principio valga anche per l'obiezione di coscienza o clausola di coscienza dei medici.

La questione meriterebbe un' ulteriore disamina su altri aspetti, quali quelli relativi all'efficacia reale e non presunta del levonorgestrel, sugli eventi avversi in particolari subset di pazienti portatrici di tratti trombofilici, sul profilo di sicurezza nel caso di ripetute assunzioni ravvicinate e sugli effetti sulla propensione all'aborto, disamina che ci riserviamo di effettuare in futuro. Al di là di quanto ritenuto dagli Autori dell'articolo recensito vorremo ricordare quanto affermato dal presidente FNOMCeo in un documento del 11 dicembre 2006:


......La FNOMCeO ritiene, inoltre, che trovando la legittimazione ad esercitare la clausola di coscienza la sua ragion d’essere nella disposizione di cui all’art. 9 della Legge 194/78 (Legge sull’interruzione della gravidanza), i medici debbano adottare le modalità prescritte nell’articolato medesimo e pertanto debbano inviare la dichiarazione relativa all’obiezione di coscienza al direttore generale della ASL e al direttore sanitario nel caso di personale dipendente dall’ospedale.



Referenze

1) E. Arisi, R. Michieli: Contraccezione d'emergenza in Italia - stato dell'arte. Contraccezione Sessualità Salute riproduttiva, dic 2007 Vol I (3): 3-6.


Commento di Renato Rossi

Secondo me la questione rischia molto di essere inquinata da convincimenti di tipo ideologico, sia in un senso che nell'altro. Per esempio io sono del parere che, a meno di controindicazioni di tipo medico, peraltro rare, la pillola del giorno dopo si possa prescrivere senza problemi perchè, in un campo come questo, ritengo debba essere data preminenza a quello che ritiene giusto la paziente, l'unica a poter esprimere un giudizio su una sua eventuale gravidanza. La gravidanza costituisce un importante fattore di rischio per patologie specifiche come per esempio gravidanze ectopiche, emorragie, rottura dell'uterio, eclampsia, ipertensione, embolia polmonare, etc. Si tratta, spesso, di eventi che sono potenzialmente mortali. I CDC americani stimano che la mortalità materna sia di circa 11 su 100.000 gravidanze, ma ritengono il dato sottostimato. Insomma la gravidanza, al di là di una concezione idilliaca da cartolina, è una condizione che espone la donna ad una serie di rischi e mi sembra quindi del tutto naturale che solo lei possa dire se tali rischi vadano affrontati o meno. La questione mi pare ben diversa da quella che viene prospettata, e cioè di accondiscendere in maniera supina ai "desideri" della donna. Non si tratta di dire sempre di si al capriccio di un bambino, ma della libertà della donna di decidere se affrontare o meno una situazione che potrebbe avere pesanti ripercussioni sulla SUA salute. Non mi sento di decidere in sua vece, anche se provvisto di una laurea in medicina.
Si obietta che l'efficacia della pillola del giorno dopo nel ridurre le gravidanze indesiderate dopo un singolo rapporto è bassa, con un NNT (numero di casi che è necessario trattare per evitare un evento) pari a 33-50. A me sembra un NNT del tutto accettabile, in linea con gli NNT di altri interventi farmacologici ritenuti unanimemente molto efficaci. Interventi farmacologici che, tra l'altro, possiedono effetti collaterali molto più frequenti e importanti di una singola somministrazione di levonorgestrel. Gli effetti collaterali descritti consistono in nausea, vomito, vertigini, cefalea, dolore pelvico o tensione mammaria, più raramente perdite ematiche vaginali, e sono autolimitati e di scarsa importanza clinica.
Si obietta anche che dopo l'introduzione della pillola del giorno dopo non sono diminuiti gli aborti. Non ho dati per confutare tale affermazione che però è irrilevante in quanto lo scopo della contraccezione d'emergenza è ridurre le gravidanze indesiderate non gli aborti.
Non possiedo le competenze di tipo giuridico per esprimere un parere su quanto affermano gli autori dell'articolo recensito in questa pillola, quindi non saprei dire se un medico incaricato di pubblico servizio possa o non possa, in termini legali, richiamarsi all'obiezione di coscienza per la prescrizione della pillola del giorno dopo. Lascio volentieri queste discussioni a chi ne sa più di me in materia. Tuttavia, considerate le diverse opinioni esistenti, sarei per un atteggiamento molto pragmatico. Penso che un medico possa oppore obiezione di coscienza, purchè siano rispettate alcune regole. L'obiezione dovrebbe essere comunicata per iscritto all'ASL e all'Ordine dei medici. In altri termini se un medico non comunica nulla vuol dire che non pone obiezioni e non le può poi accampare quando gli viene richiesta la prescrizione del contraccettivo di emergenza.
Inoltre ritengo che sarebbe corretto che ogni medico di MG ponesse nella sala d'aspetto un cartello avvisando i pazienti che, per motivi di coscienza, è contrario alla prescrizione della pillola del giorno dopo. Insomma, una specie di "carta dei servizi", se così la vogliamo chiamare. Ciò permetterebbe alle pazienti di effettuare la scelta del medico curante conoscendo le sue opinioni in una materia così sensibile, opinioni che potrebbero contrastare con quelle della paziente stessa. Costei potrebbe quindi orientarsi verso un medico diverso, più compatibile con i suoi convincimenti.
Le strutture pubbliche dovrebbero da una parte salvaguardare la libertà di coscienza dei medici, ma dall'altra garantire l'assunzione di medici non obiettori che permettano di fornire la "pillola del giorno dopo" in un lasso di tempo utile nei momenti in cui il MMG riposa.
Da ultimo ritengo che una soluzione radicale sarebbe quella di permettere la libera vendita del contraccettivo di emergenza, senza obbligo di prescrizione medica, come avviene in altri paesi occidentali. Penso infatti che i pericoli per la salute derivanti da una simile pratica siano insignificanti, sicuramente minori di quelli derivanti dalla possibilità di acquistare senza ricetta per esempio farmaci antinfiammatori non steroidei od analgesici. Infatti le controindicazioni sono poche: porfiria acuta, sanguinamenti vaginali inspiegati, ipertensione grave, diabete complicato, cardiopatia ischemica, ictus o una storia pregressa di cancro mammario. Come si può vedere si tratta di condizioni che non sono quasi mai presenti in chi richiede una contraccezione d'emergenza ed in ogni caso in presenza di queste condizioni il rischio legato ad una gravidanza sarebbe molto maggiore. Personalmente condivido l'opinione di chi ritiene che la pillola del giorno dopo abbia un rapporto rischi/benefici favorevole per cui sarebbe auspicabile la vendita in farmacia senza ricetta medica.



Commento di Renzo Puccetti

La questione della pillola del giorno dopo è un esempio assai interessante di quella pre-scienza in cui ogni criterio seguito negli altri ambiti della medicina clinica salta in favore di un emotivismo necessariamente soggettivo, indifferente ed insofferente nei confronti di ogni ricerca della verità correspondista (adequatio rei et intellectus). È indubbio che questo atteggiamento della prescrizione come diritto emerge solamente nell’ambito della cosiddetta “salute riproduttiva” (nessuna polemica è mai sorta per la mancata prescrizione di un farmaco ansiolitico, o di una dose sostitutiva nel paziente affetto da tossicodipendenza). La prescrizione medica di ogni farmaco rappresenta sempre un atto medico; come tale essa coinvolge la scienza e la coscienza del medico, formula che implica la prudenza, perizia, diligenza di una persona, il medico, che proprio in quanto dotata di libertà e di volontà, esprime se stessa nelle proprie azioni. Ritenere che la giustificazione alla prescrizione risieda nel desiderio del paziente non libera chi la segue dalla responsabilità delle proprie azioni; se della propria azione il medico conosce il “what” ed il “why”, per dirla con Elisabeth Anscombe, egli diventa “figlio delle proprie azioni”. La visione non cognitivista, o indifferentista, per sua natura, non può sottrarsi dallo sfociare nell’accettazione del relativismo etico come fatto a cui aderire. Una delle conseguenze di questo atteggiamento è, a mio avviso, il rischio di ridurre la figura del medico a tecnico del corpo, “onesto mestiere”, ricordava Karl Jaspers, ma cosa diversa dallo svolgere la “professione” del medico. Avere come unico orizzonte il desiderio del paziente, da un lato dimentica che i desideri, per loro stessa natura, sono estremamente fluttuanti, dall’altro fa sì che il tecnico del corpo umano diventi, come ho già avuto modo di dire in altra occasione, uno “iatro-penelope”, che fa una cosa ed il suo esatto contrario, su semplice richiesta. Non si può non concordare quando si sostiene che i propri convincimenti etici siano dichiarati preventivamente quando la professione sia svolta in regime di dipendenza o di convenzione col sistema sanitario pubblico; assai più dubbi sorgono rispetto alle modalità di tale comunicazione ai pazienti; al di là delle indubbie buone intenzioni, si rischierebbe di indicare i medici obiettori come una sorta di razza a sé, laddove allora sarebbe difficile enumerare i numerosi elementi potenzialmente in grado d’influenzare i singoli medici nelle proprie decisioni da dichiarare preventivamente. Sappiamo ad esempio che il 40% delle donne non assumerebbero un contraccettivo nel caso esso avesse un possibile effetto post-fertilizzativo e se lo stessero assumendo un terzo lo cesserebbe (De Irala, 2007). Si potrebbe quindi affermare con pari diritto che queste donne avrebbero diritto di sapere se il proprio medico ritiene il concepito un’entità non meritevole di alcuna tutela. Nell’ambito specifico del levonorgestrel post-coitale sappiamo che la sua commercializzazione è avvenuta in assenza di un trial placebo-controllato, stimando la sua efficacia dal confronto delle gravidanze nelle donne che l’anno assunto rispetto ad un gruppo storico di donne arruolate nel periodo 1982-85, sane, senza anamnesi d’infertilità, che cercavano una gravidanza. Sappiamo che da allora i problemi circa la fertilità non sono certo diminuiti, sappiamo inoltre che un terzo delle donne che richiedono la pillola del giorno dopo non presenta spermatozoi in vagina e, quando essi sono presenti, sono in numero sensibilmente inferiore rispetto alle donne che ricercano una gravidanza. Sappiamo che, accanto allo studio OMS che ha attribuito al LNG un’efficacia media dell’85%, altri studi hanno rilevato tassi di efficacia sensibilmente inferiori (60-80%), sappiamo che il solo fatto di utilizzare un diverso sistema d’individuare il giorno dell’ovulazione (Levine, 2006) fa sì che i tassi di efficacia si riducano del 25-30%, tanto che, in caso di solo effetto anti-ovulatorio, l’efficacia stimata sulla base di criteri ecografici è del 49% se il farmaco è assunto immediatamente dopo il rapporto e scende all’8% con un ritardo di 72 ore (Mikolajczyk, 2007). Dal momento che la probabilità di gravidanza con un singolo rapporto indipendentemente dal giorno del ciclo è del 3,1% (Wilcox, 2001), la prescrizione del LNG alle donne che si presentano dopo 24 ore dal rapporto (oltre il 50%) (Killick, 2004) costituisce un atto con un’efficacia stimata inferiore all’1%, cioè un atto che rientra nella definizione di “medical futility” (Schneiderman, 1990), configurabile quale "accanimento contraccettivo". Il recente clima di promozione della CE come strumento per la regolazione della fertilità femminile ha condotto ad un progressivo incremento delle vendite del farmaco (215.000 nel 2001; 370.000 nel 2007; dati italiani). L’incremento delle vendite può essere in relazione al fatto che dopo l’assunzione la successiva mestruazione viene facilmente attribuita all’azione del farmaco e non al fatto che essa, con grandissima probabilità, sarebbe giunta comunque (Gerrard, 2006), così come pochi ricordano che l’85% di efficacia reclamata sembra una cifra molto alta, ma se rapportata ad un anno di utilizzo esclusivo (ipotesi sempre meno teorica) essa si situa nel range di efficacia del coito interrotto (Californiaa, 2006). I tentativi di negare effetti post-fertilizzativi non possono fare a meno di dovere ammettere un’efficacia del farmaco enormemente inferiore rispetto a quanto comunemente creduto. Tacere dell’inutilità ormai dimostrata della CE quale strumento per ridurre a livello di popolazione l’aborto (Raymond, 2007; Polis, 2007) è operazione scientificamente scorretta, fonte peraltro di allocazione inappropriata di risorse sanitarie, che dovrebbe ricevere il biasimo della comunità scientifica indipendente.

Referenze

1) Califorrniaa E. Waking up to the morning-after pill. bmj.com, 24 Sep 2006
2) De Irala J, et al. BMC Women's Health 2007, 7:10.
3) Gerrard JW. Emergency contraception; a paradoxical effect? bmj.com, 26 Sep 2006
Killick SR, Irving G. Human Reproduction Vol.19, No.3 pp. 553±557, 2004.
4) Levine M, Soon JA. J Obstes Gynaecol Can 2006;28(10):879-883.
5) Mikolajczyk RT, Stanford JB. Fertility and Sterility. Vol. 88, No. 3, September 2007.
6) Puccetti R. L’uomo indesiderato – dalla pillola di Pincus alla RU 486. Società Editrice Fiorentina, Firenze 2008.
7) Polis CB, et al. Cochrane Database Syst Rev. 2007 Apr 18;(2):CD005497.
8) Raymond EG, Trussel J, Polis CB. Obstet Gynecol. 2007 Jan;109(1):181-8.
9) Schneiderman LJ, Jecker NS, Jonsen AR. Ann Intern Med 1990;112:949-54.
10) Wilcox AJ, et al. Contraception 63 (2001) 211–215.



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