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L'ipertensione va trattata anche negli ultra-ottantenni


Categoria : cardiovascolare
Data : 09 luglio 2008
Autore : admin

Intestazione :

Secondo lo studio HYVET anche nei grandi anziani bisogna trattare l'ipertensione perchè la terapia porta a benefici clinici superiori ai rischi.



Testo :

In questo studio, denominato HYVET (Hypertension in the Very Elderly Trial), e presentato in anteprima al meeting 2008 dell'American College of Cardiology di Chicago, ha arruolato dapprima 4761 soggetti di almeno 80 anni con pressione sistolica >= 160 mmHg. I pazienti sono stati sottoposti ad un periodo di sospensione del trattamento ipertensivo di 2 mesi e ne sono stati poi inseriti nello studio vero e proprio 3845 (quelli che avevano, dopo la sospensione della terapia, una PAS compresa tra 160 e 199 mmHg e una PAD compresa tra 90 e 109 mmHg). I pazienti sono stati trattati con indapamide (1,5 mg/die) oppure placebo. Era possibile aggiungere perindopril (2 o 4 mg) oppure placebo se alle visite di controllo non veniva raggiunta una PAS inferiore a 150 mmHg o una PAD inferiore a 80 mm Hg. L'end-point primario era lo stroke fatale e non; end-point secondari comprendevano la mortalità totale, quella cardiovascolare, cardiaca o da ictus. La durata media del follow-up è stata di 2,1 anni.
L'end-point primario risultò ridotto nel gruppo in trattamento attivo del 30% (IC95% da - 1 a 51; P = 0,06).
Tra gli end-point secondari si ebbe una riduzione del 39% delle morti da ictus (IC95% da 1 a 62; P = 0,05), del 21% dei decessi da tutte le cause (IC95% da - 1 a 40; P = 0,06) e una riduzione dello scompenso cardiaco del 64% (IC95% da 42 a 78; P < 0,001).
Gli eventi avversi gravi (SAEs) furono minori nel gruppo in trattamento attivo (358 vs 448; p = 0,001).
Di questi SAES, solo 5 sono stati attribuiti ad effetti collaterali dei farmaci (tre nel gruppo placebo e due nel gruppo in trattamento attivo).
Gli autori concludono che il trattamento antipertensivo con indapamide (associata o meno a perindopril) nei grandi anziani porta a benefici sul piano clinico.


Fonte:

Beckett NS et al. Treatment of Hypertension in Patients 80 Years of Age or Older. N Engl J Med 2008 May 1; 358:1887-1898.



Commento di Renato Rossi

Già studi precedenti si erano occupati dell'utilità della terapia antipertensiva negli anziani [1,2,3] ed avevano dimostrato che vale la pena instaurare un trattamento anche nei pazienti più avanti negli anni.
Una metanalisi di RCT aveva raccolto i dati riguardanti i soggetti con più di 80 anni tramite contatti con gli autori dei vari studi ed aveva trovato che si erano verificati 57 ictus e 34 decessi tra 874 pazienti trattati mentre nei 796 controlli non trattati si erano verificati 77 ictus e 28 decessi. Tutto questo si traduce in uno stroke non fatale evitato ogni 100 pazienti trattati per anno. Però lo studio aveva trovato anche un aumento dei decessi del 6% nel gruppo trattato, aumento peraltro non significativo dal punto di vista statistico (IC95% compreso da - 5 a 18). Gli autori infatti concludevano che i dati erano inconclusivi visto il contrasto tra i benefici sullo stroke non fatale ed un possibile aumento della mortalità totale. Per questo motivo suggerivano che venissero effettuati RCT adeguati per far luce sulla questione. Lo studio HYVET va visto in questo contesto di incertezza. Ad essere rigorosi si potrebbe obiettare che lo studio ha avuto esito negativo in quanto la riduzione dell'end-point primario (sul quale, come abbiamo ripetuto fino alla noia, lo studio dovrebbe essere giudicato), non ha raggiunto la tanto agognata significatività statistica, seppure di poco. Per quanto riguarda gli end-point secondari sappiano che i loro risultati vanno interpretati con prudenza. Comunque la signficatività statistica è stata raggiunta solo per lo scompenso cardiaco e, per poco, dalla riduzione dei decessi per ictus, mentre non è stata raggiunta per i decessi da tutte le cause. Se da una parte quindi lo studio HYVET conferma i dati derivanti dalla metanalisi di Gueyffier per quanto riguarda la probabile riduzione dell'ictus, d'altra è tranquillizzante perchè non c'è stato un aumento della mortalità totale che, anzi, potrebbe anche essere ridotta dalla terapia antipertensiva. Un dato però ancora più interessante, al di là di sottigliezze di tipo statistico, è quanto si è documentato per i SAEs. Con questa sigla si intendono tutti gli eventi avversi che hanno determinato il ricovero, una grave disabilità o il decesso durante lo studio. E' evidente che conoscere i SAEs è di fondamentale importanza perchè permette di valutare appieno il rapporto rischi/benefici di un trattamento al di là degli end-point predefiniti [5]. In questo caso il risultato dello studio HYVET sembra incontestabile: il trattamento ha ridotto i SAEs in maniera statisticamente significativa con P = 0,001.
Da ricordare infine che dallo studio sono stati esclusi pazienti insufficenza cardiaca che necessitava di trattamento con farmaci antipertensivi, creatinina > 1,7 mg/dL, kaliemia inferiore a 3,5 mmol/L o superiore a 5,5 mmol/L, gotta, demenza, ipertensione secondaria o accelerata. Ovviamente di questi dati bisogna tener presente per valutare appieno la trasferibilità del trial nel mondo reale.
In definitiva possiamo però concludere che, ragionevolmente, l'ipertensione va trattata anche nei grandi anziani per i benefici che si possono ottenere dalla terapia antipertensiva.



Commento di Luca Puccetti

Lo studio è stato oggetto di una interessante recensione (7) ad opera del Professor Carlo Patrono (Istituto di farmacologia Università Cattolica di Roma), il quale ha giustamente osservato che la relazione epidemiologica tra ipertensione ed ictus diventa meno forte con l'aumentare dell'età pertanto esisteva incertezza circa il rapporto rischio/beneficio della terapia anti-ipertensiva nelle persone di età eguale o superiore a 80 anni. Gli ultra-ottantenni sono stati infatti spesso esclusi, o comunque ipo-rappresentati, negli studi precedenti.
Quindi, l’obiettivo primario dello studio HYVET è stato quello di valutare l’efficacia e la sicurezza di un trattamento anti-ipertensivo in persone di età eguale o superiore a 80 anni, con ipertensione persistente (definita come una pressione sistolica in posizione eretta compresa tra 160 e 199 mmHg, dopo due mesi di sospensione di qualunque terapia anti-ipertensiva).

Lo studio è stato disegnato per dimostrare una riduzione del rischio di ictus del 35%, ipotizzando un tasso di eventi di 40 per 1.000 anni-paziente nel gruppo di controllo.

Alla seconda analisi ad interim (prevista da protocollo), lo studio è stato interrotto poiché il gruppo attivo mostrava una riduzione del rischio di ictus del 41% (P=0,009) e, inaspettatamente, una riduzione della mortalità totale del 24% (P=0,007).

I dati registrati alla visita finale (dopo altri 724 anni-pazienti di follow-up rispetto alla data di interruzione dello studio), analizzati secondo il criterio di intenzione a trattare, confermavano la riduzione della mortalità totale del 21% (P=0,02), ma il tasso di ictus cerebrale fatale o non fatale (end-point primario dello studio) risultava ridotto non significativamente del 30% (intervallo di confidenza al 95%: -1 a 51; P=0,06) quasi sicuramente per lo scarso numero di eventi osservati (51 nel gruppo di trattamento attivo e 69 nel gruppo placebo) equivalente a circa 18 ictus per 1.000 anni-paziente nel gruppo di controllo, quindi meno della metà della frequenza attesa (40 per 1.000 anni-paziente) nel calcolo della dimensione del campione.

Come giustamente fa osservare il professor Patrono, questa sorta di minore frequenza di eventi rispetto a quella attesa significa che i pazienti arruolati erano a basso rischio, ossia erano ultraottantenni abbastanza sani. Lo studio prevedeva infatti la somministrazione di un placebo a persone che magari prima dell'arruolamento erano in trattamento con farmaci antipertensivi. Questo aspetto solleva ovviamente problemi etici non indifferenti e non per nulla lo studio è stato per la maggior parte effettuato in Cina e nei paesi dell'est! E' verosimile che gli sperimentatori non se la siano sentita di arruolare casi ad elevato rischio proprio perché il protocollo predeva il placebo (cosa che purtroppo era ontologicamente necessaria per rispondere al quesito sull'utilità della terapia antipertensiva sulla riduzione dell'ictus. Infatti soltanto il 10% dei partecipanti avevano una storia di precedenti eventi vascolari, il 6% erano fumatori, e il 7% erano diabetici; inoltre, avevano valori medi di colesterolo intorno a 5mmol/L, e indice di massa corporea intorno a 25. E' altrettanto verosimile che la sospensione in un certo numero di casi dell'antipertensivo abbia comportato un aumento delle morti per cause cardiache, infatti anche alla visita finale il tasso dell'indice combinato cardiovascolare (morte per cause cardiovascolari o ictus, infarto miocardico o scompenso cardiaco) risultava ridotto del 34% nel gruppo attivo rispetto a quello placebo (95%CI: 18 a 47; P<0,001).

I risultati dello studio indicano pertanto una tendenza assai probabile di riduzione dell'ictus in pazienti ipertesi anziani, ma suggeriscono anche che la riduzione della terapia antipertensiva in pazienti anziani a rischio moderato comporta un aumento del rischio di eventi cardiaci. Da ricordare, come già evidenziato da Renato Rossi, che questo risultato è in accordo con quello di un' ampia metanalisi di 31 studi che hanno randomizzato circa 190.000 pazienti ipertesi conlusasi con le seguenti indicazioni:

a) la riduzione della pressione arteriosa produce benefici analoghi in persone più giovani (<65 anni) e più anziane (65 o più anni );

b) la protezione nei confronti degli eventi vascolari maggiori da parte di differenti classi di farmaci anti-ipertensivi non sembra variare sostanzialmente con l’età.

In definitiva dunque, al di là degli aspetti statistici formali, possiamo concludere che anche nell'iperteso ultraottantenne a rischio moderato i benefici del trattamento antipertensivo superano , nel complesso, i rischi. Rimane da valutare l'applicabilità di tale indicazione nella pratica clinica ove molti più pazienti anziani presentano un rischio ben maggiore rispetto a quello dei pazienti arruolati nello studio Hyvet. E' possibile che l'aumento del rischio (se l'effetto del trattamento rimanesse inalterato) produca vantaggi ancor più consistenti anche sulla riduzione dell'ictus, ma è anche possibile, anche se non probabile, il contrario. Al momento non ci pare che sia eticamente ipotizzabile, in base ai risultati dello studio recensito e della sopraricordata metanalsi, pensare ad un trial che abbia come end point primario la riduzione della mortalità per tutte le cause, per cui dovremo agire sulla base di una ragionevole presunzione.


Referenze

1. Dahlöf B et al. Morbidity and mortality in the Swedish Trial in Old Patients with Hypertension (STOP-Hypertension). Lancet 1991;338:1281-1285.
2. Prevention of stroke by antihypertensive drug treatment in older persons with isolated systolic hypertension: final results of the Systolic Hypertension in the Elderly Program (SHEP). JAMA 1991;265:3255-3264.
3. Staessen JA et al. Randomised double-blind comparison of placebo and active treatment for older patients with isolated systolic hypertension: the Systolic Hypertension in Europe (Syst-Eur) Trial Investigators. Lancet 1997;350:757-764.
4. Gueyffier MD et al. Antihypertensive drugs in very old people: a subgroup meta-analysis of randomised controlled trials.The Lancet 1999; 353:793-796
5. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=3426
6) BMJ 2008;336:1121-1123
7) http://www.sifweb.org/ricerca/sif_trial_clinico_giu08.php



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