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Calcificazioni coronariche predicono eventi


Categoria : cardiovascolare
Data : 05 novembre 2008
Autore : admin

Intestazione :

Uno studio dimostra che la valutazione dello score calcico coronarico è in grado di prevedere gli eventi coronarici meglio dei classici fattori di rischio, ma qual è il rapporto costo/beneficio di uno screening esteso?



Testo :

In un campione di 6.722 uomini e donne è stato calcolato il rischio coronarico e misurata la presenza di calcio coronarico mediante TAC. Il 38,6% del campione era di razza bianca, il 27,6% di razza nera, il 21,9% di razza ispanica e l'11,9% cinese. I partecipanti non avevano una malattia cardiovascolare clinicamente evidente al baseline e sono stati seguiti per 3,8 anni in media. Durante il follow-up si sono registrati 162 eventi coronarici, dei quali 89 maggiori (infarto miocardico o morte coronarica).
Rispetto ai partecipanti senza calcificazioni coronariche il rischio di eventi in chi aveva uno score di calcificazioni compreso tra 101 e 300 era aumentato di 7,73 volte e di 9,67 per chi aveva uno score superiore a 300. In tutti e quattro i gruppi razziali il raddoppiamento dello score calcico aumentava il rischio di eventi coronarici maggiori del 15-35% e il rischio di ogni evento coronarico del 18-39%.
Gli autori concludono che la presenza di calcificazioni coronariche è un forte predittore di eventi e fornisce informazioni aggiuntive rispetto a quelle che si hanno valutando i classici fattori di rischio.
Lo studio non ha dimostrato differenze legate alla razza.


Fonte:

Detrano R et al. Coronary Calcium as a Predictor of Coronary Events in Four Racial or Ethnic Groups
N Engl J Med 2008 Mar 27; 358:1336-1345


Commento di Renato Rossi

Nella pratica clinica la valutazione del rischio cardiovascolare viene effettuata valutando i classici fattori (pressione, fumo, età, sesso, diabete, colesterolemia) applicati ad appositi carte o software. Tuttavia numerosi studi hanno dimostrato che altri fattori sono associati ad un aumento del rischio cardiovascolare (fibrinogeno, PCR, omocisteina, etc.), anche se non sembra che la loro conoscenza sia particolarmente utile per aumentare il potere di previsione [1,2]. Il discorso però è diverso per quel che riguarda le calcificazioni coronariche. In una pillola precedente [3] concludemmo che la misura della quantità di calcio presente nelle placche coronariche, valutata mediante TAC, rappresenta un indice predittivo accurato di rischio cardiovascolare, indipendente dagli indici di rischio tradizionale, ma non può essere usata routinariamente per l'alto costo e per l'esposizione alle radiazioni. Recentemente è stato suggerito che la misurazione dello score calcico a livello coronarico non è utile qualdo il rischio calcolato con il sistema tradizionale supera il 20% a 10 anni oppure è inferiore al 10%, mentre potrebbe essere riservato a chi si trova nella fascia di rischio intermedio per una stratificazione migliore [4].
Lo studio recensito in questa pillola conferma che le calcificazioni coronariche possiedono un forte potere predittivo aggiuntivo rispetto ai fattori di rischio classici, e che non sembra essere influenzato da fattori razziali ed etnici. Ma, si chiede un editoriale di commento, questo miglioramento predittivo è relativamente piccolo: ne vale la pena? Potrebbe essere utile solo se si riuscisse a dimostrare che tale miglioramento porta ad esiti migliori (meno infarti, meno decessi, meno interventi di rivascolarizzazione) e comunque tutto questo dovrebbe essere confrontato con i maggiori costi che si avrebbero da uno screening esteso con TAC coronarica. Per ora, conclude l'editoriale, rimane un test interessante ma il rapporto costo/efficacia è sconosciuto per povertà di dati. Una conclusione sulla quale chi scrive è del tutto d'accordo: le prove di efficacia che si pretendono dagli altri tipi di screening devono essere richieste anche alla TAC coronarica, non sono previsti due pesi e due misure. In altri termini: avere una sfera magica che ci permette di individuare meglio chi andrà incontro a malattie coronariche porterà a curare meglio i pazienti e, quel che più conta, ad ottenere importanti benefici clinici? Possibile, ma occorre dimostrarlo, soprattutto se si tratta di un test costoso. Va aggiunto che nel piatto della bilancia bisogna considerare anche i danni da esposizione radiologica che lo screening comporterebbe: per ora conviene limitarsi alle usuali metodiche previsionali cercando di migliorare il trattamento (farmacologico e non) di chi presenta un rischio elevato.


Referenze

1. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=2993
2. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=2616
3. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=2724
4. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=3299






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