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Sindromi coronariche acute: meglio la strategia invasiva precoce o la terapia medica?


Categoria : cardiovascolare
Data : 03 dicembre 2006
Autore : admin

Intestazione :

Nelle sindromi coronariche acute senza sopraslivellamento di ST l'approccio invasivo è utile nei pazienti a rischio medio-elevato.



Testo :

Lo studio FRISC II si proponeva di confrontare l'intervento invasivo precoce e la strategia non invasiva in pazienti con sindrome coronarica acuta senza elevazione del tratto ST all'elettrocardiogramma.
A tal scopo sono stati arruolati 2.457 pazienti, randomizzati a terapia invasiva (coronarografia e, se necessario, rivascolarizzazione entro 7 giorni dal ricovero) oppure terapia medica. Alla randomizzazione i pazienti sono stati stratificati in base ai seguenti fattori di rischio: età > 65 anni, sesso maschile, diabete, precedente infarto miocardico, sottoslivellamento dell'ST, aumento delle troponine (> 0,03 μg/L) e aumento della PCR o della interleukina 6. L'analisi dei dati è stata effettuata secondo l'intenzione a trattare.
A 5 anni l'end-point primario composto da morte e infarto si era verificato nel 19,9% del gruppo intervento e nel 24,5% del gruppo terapia medica (RR 0,81; IC95% 0,69-0,95; P = 0,0009).
La mortalità a 5 anni non differiva tra i due gruppi (rispettivamente 9,7% vs 10,1%; P = 0,693) mentre vi era una riduzione del rischio di infarto nel gruppo trattato precocemente con terapia invasiva (12,9% vs 17,7%; RR 0,73; IC95% 0,60-0,89; P = 0,002). I benefici della strategia invasiva erano limitati agli uomini, non fumatori e ai pazienti con due o più fattori di rischio.
Gli autori concludono che l'approccio invasivo precoce nelle sindromi coronariche acute senza sopraslivellamneto di ST è utile nei pazienti a rischio medio o elevato.


Fonte:
Lagerqvist B et al for The Fast Revascularisation during InStability in Coronary artery disease (FRISC-II) Investigators. 5-year outcomes in the FRISC-II randomised trial of an invasive versus a non-invasive strategy in non-ST-elevation acute coronary syndrome: a follow-up study. Lancet 2006 Sept 16; 368:998-1004.



Commento di Renato Rossi


Nei pazienti con sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento del tratto ST (angina instabile o infarto NSTEMI) devono essere routinariamente avviati precocemente a coronarografia ed eventuale rivascolarizzazione oppure possono essere trattati con sufficiente sicurezza con sola terapia medica riservando l'approccio invasivo a pazienti selezionati?
Una meta-analisi di 7 RCT pubblicata nel 2005 [1] per oltre 9.000 pazienti concludeva che a breve termine (17 mesi) l'approccio aggressivo riduce il rischio di infarto, angina grave e necessità di ricovero. E' vero che esso è associato ad una maggiore mortalità precoce (OR 1,60; IC95% 1,14-2,25) ma col passare dei mesi si assiste ad un trend di riduzione della mortalità, peraltro non significativo dal punto di vista statistico (OR 0,92; IC95% 0,77-1,09), a favore dell'approccio aggressivo. Tuttavia i benenfici erano limitati ai pazienti ad alto rischio con biomarkers cardiaci elevati ma non a quelli a rischio basso con biomarkers negativi.
Nello studio RITA 3 [2] (oltre 1.800 pazienti con sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento del tratto ST)
a distanza di un anno l'end-point primario (infarto non fatale e morte) era simile tra i due gruppi ma a distanza di 5 anni si ebbe una riduzione statisticamente significativa nel braccio randomizzato a strategia invasiva rispetto al trattamento conservativo (142 vs 178; OR 0,78; IC95% 0,61-0,99). Durante il follow-up si ebbero 102 decessi nel gruppo intervento (12%) e 132 nel gruppo di controllo (15%).
Risultati contrastanti derivano invece dallo studio ICTUS [3] in cui furono arruolati 1.200 pazienti con sindrome coronarica acuta senza elevazione di ST. Non si riscontrò alcuna differenza per l'end-point primario (morte, infarto non fatale e ospedalizzazione per angina) fra il gruppo randomizzato a intervento precoce e quello trattato in modo conservativo.
Lo studio FRISC II, recensito in questa pillola, porta un ulteriore tassello alla questione. Dopo un follow-up di 5 anni si è evidenziato che l'approccio invasivo precoce è vincente, se non in termini di mortalità totale, almeno come riduzione del rischio di infarto. Tuttavia la stratificazione iniziale per vari fattori di rischio ha permesso di dimostrare che il beneficio non era evidente in tutti i pazienti ma solo negli uomini, non fumatori e quando sono presenti 2 o più fattori di rischio. Questo dato appare particolarmente interessante perchè permette di suddividere i pazienti con sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento del tratto ST in sottogruppi che è preferibile avviare subito alla coronarografia e altri, a basso rischio, in cui si può ragionevolmente usare un approccio conservativo basato sul trattamento medico ed eventuale coronarografia e rivascolarizzazione nei casi di ricorrenza o di ischemia inducibile. L'attenta selezione dei pazienti diventa cruciale nella pratica clinica perchè è noto che spesso risulta difficile replicare i risultati degli RCT nel mondo reale. Secondo i dati del registro GRACE [4] (quasi 29.000 pazienti ospedalizzati per sindrome coronarica acuta) la probabilità di essere sottoposti a intervento di PCI era del 41% negli ospedali più attrezzati e del 3,9% per i pazienti ricoverati in prima istanza negli ospedali non in grado di eseguire il cateterismo cardiaco mentre per il by-pass coronarico la percentuale era rispettivamente del 7.1% vs 0.7%. Nonostante questo il rischio di decesso precoce non era diverso tra i pazienti ricoverati nelle due tipologie di ospedali. Addirittura a distanza di sei mesi il rischio di morte era significativamente più alto nei pazienti ricoverati presso ospedali in grado di effettuare interventi di riperfusione tramite angioplastica o by-pass durante la fase acuta rispetto ai pazienti ricoverati in ospedali non in grado di farlo (HR 1.14, 95% CI 1.03-1.26). Anche il rischio di sanguinamenti (OR 1.94, 95% CI 1.57-2.39) e di stroke (OR 1.53, 95% CI 1.10-2.14) era significativamente maggiore nei pazienti ricoverati negli ospedali più attrezzati.
Pur derivando da uno studio osservazionale con possibili bias di selezione questi risultati indicano che un atteggiamento interventistico routinario non necessariamente comporta benefici rispetto alla terapia medica e sottolineano la necessità di selezionare oculatamente i pazienti da avviare alla coronarografia e alla rivascolarizzazione precoce.
In una revisione Cochrane [5] sull'argomento gli autori ammettono che l'approccio invasivo precoce nell'angina instabile e nell'infarto con ST non sopraslivellato è preferibile alla terapia conservativa, tuttavia nel lungo termine la differenza tra le due scelte non è eclatante: NNT a 2-5 anni per prevenire un decesso = 43. Ci saranno però effetti avversi (emorragie o infarti legati alla procedura) con un NNT = 35-36. Considerando queste cifre gli autori concordano che futuri studi dovranno valutare i benefici delle varie scelte stratificando il rischio dei pazienti. Inoltre gli studi dovrebbero avere maggiore durata e arruolare più donne.


Bibliografia:
1. Metha SR et al. Routine vs Selective Invasive Strategies in Patients With Acute Coronary Syndromes
A Collaborative Meta-analysis of Randomized Trials
JAMA. 2005 Jun 15; 293:2908-2917.
2. Fox KAA et al. 5-year outcome of an interventional strategy in non-ST-elevation acute coronary syndrome: the British Heart Foundation RITA 3 randomised trial
Lancet 2005 Sept 10; 366:914-920
3. de Winter RJ et al. for the Invasive versus Conservative Treatment in Unstable Coronary Syndromes (ICTUS) Investigators. Early Invasive versus Selectively Invasive Management for Acute Coronary Syndromes
N Engl J Med 2005 Sept 15; 353:1095-1104
4. Van de Werf F et al. for the GRACE Investigators. Access to catheterisation facilities in patients admitted with acute
coronary syndrome: multinational registry study. BMJ 2005 Feb 26; 330:441.
5. Hoenig MR, Doust JA, Aroney CN, Scott IA. Early invasive versus conservative strategies for unstable angina and non-ST-elevation myocardial infarction in the stent era. Cochrane Database Syst Rev 2006;(3):CD004815





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