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Lo scompenso si cura con il training, non con il riposo


Categoria : cardiovascolare
Data : 16 maggio 2006
Autore : admin

Intestazione :

L'esercizio fisico migliora la qualità di vita degli scompensati riduce l'iperattivazione adrenergica e l'iperincrezione natriuretica.



Testo :

Al fine di valutare l'impatto dell'esercizio fisico sull'attivazione neuro-ormonale di pazienti con scompenso cardiaco i ricercatori dell'Istituto di Fisiologia Clinica del CNR di Pisa hanno realizzato un trial arruolando 95 pazienti affetti da scompenso cardiaco congestizio. Quarantasette pazienti sono stati sottoposti ad un programma di training fisico aerobico portato al 60% del maximal oxygen uptake (Vo2) oltre alla normale terapia antiscompenso ottimizzata mentre 48 pazienti sono stati trattati solo con la terapia medica ottimizzata. Il carico di lavoro è stato adattato durante il follow-up per consentire di raggiungere un effettivo allenamento. Al tempo basale, dopo 3 e 9 mesi sono stati valutati: BNP, NT-proBNP, norepinefrina, attività reninica ed aldosterone plasmatici, uno score sulla qualità di vita, ecocardiogramma e test da sforzo cardiopolmonare. Ottantacinque pazienti (44 nel gruppo training e 41 nel gruppo sola terapia hanno completato lo studio e tra i due gruppi non c'era differenza per quanto attiene la frazione di eiezione e dunque erano comparabili quanto a compromissione di pompa. Al nono mese, i pazienti sottoposti a training fisico hanno mostrato un miglioramento significativo nella capacità funzionale (+14%, p < 0.001), nel picco di VO2 (+13%, p < 0.001), funzione sistolica (EF +9%, p < 0.01), e qualità di vita. Parimenti i livelli plasmatici di BNP, NT-proBNP e norepinefrina erano diminuiti nel gruppo sottoposto a training (–34%, p < 0.01; –32%, p < 0.05; –26%, p < 0.01, rispettivamente). L'incremento del picco di VO2 osservato con l'esercizio ha correlato significativamente con la diminuzione dei livelli di BNP/NT-proBNP (p < 0.001 e p < 0.01, rispettivamente). Al contrario, i pazienti non sottoposti a training non hanno mostrato alcuna variazione significativa a carico dei parametri esaminati. Gli autori concludono che i benefici clinici associati all'esercizio fisico nei pazienti con scompenso si associano ad una diminuzione dell'iperattivazione adrenergica e dell'iperincrezione dei peptidi natriuretici.

Fonte: J. Am. Coll. Cardiol, 2006 47: 1835 - 1839

Commento di Luca Puccetti

Dieci anni fa i libri sacri raccomandavano per il paziente con scompenso assoluto riposo. Da allora le cose sono completamente cambiate Già a gennaio del 2004 sul BMJ è stata pubblicata una metanalisi (ExTRAMATCH) sull'effetto dell'esercizio fisico sulla mortalità (1). Sono stati considerati nove studi randomizzati e controllati della durata di almeno 3 mesi che riportavano dati sulla mortalità, che hanno assommato i dati relativi a 801 pazienti con scompenso stabile per disfunzione ventricolare sinistra che avevano partecipato ad un programma di esercizio fisico della durata di almeno otto settimane. I risultati sono stati che i pazienti nei bracci randomizzati al programma di training fisico presentavano rispetto ai controlli una riduzione dell'end point primario, ossia della mortalità: 88/395 (22%) vs 105/406 (26%) ; p= 0.015 e del secondario ossia dell'indice combinato della mortalità ed ospedalizzazioni: 127/354 (36%) vs 173/367 (47%); p=0.018. Inoltre le analisi post hoc stratificate per le diverse tipologie di pazienti hanno mostrato che il risultato non variava in funzione della classe funzionale NYHA, del sesso età , EF e Vo2, ossia pazienti con diverse caratteristiche beneficiano comunque del trattamento, anzi pare che i pazienti più compromessi siano quelli che traggono i maggiori benefici. Questo recente lavoro del gruppo della Fisiologia Clinica del CNR di Pisa chiarisce che i benefici clinici sono mediati da modificazioni neurormonali che riducono l'iperattivazione adrenergica e l'iperincrezione dei peptidi natriuretici. Ancora non è ben chiaro il meccanismo fisiopatologico con cui l'esercizio fisico esplichi questi effetti. E' possibile che siano in gioco fattori emodinamici di ridistribuzione di flusso ematico tra i muscoli scheletrici (meno bisognosi di ossigeno per l'allenamento) ed il cuore ed anche legati ad un miglioramento della disfunzione endoteliale. Inoltre è interessante notare che nei vari trials emerge che il carico di lavoro svolto dai pazienti avviati a programmi di training è molto superiore a quello prescritto perché il paziente migliorando effettua spontaneamente un carico maggiore probabilmente anche nelle normali attività quotidiane.

Bibliografia

1) BMJ 2004;328:189



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