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La denervazione delle arterie renali nel trattamento dell’ipertensione arteriosa resistente
Inserito il 09 giugno 2013 alle 06:48:00 da admin. IT - cardiovascolare - PILLOLA PUBBLICATA

La Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa ha recentemente redatto un documento di indirizzo che propone un percorso diagnostico e terapeutico per i pazienti con ipertensione resistente che possono essere candidati al trattamento di denervazione delle arterie renali.


La denervazione delle arterie renali viene proposta come opzione terapeutica in pazienti non responsivi al trattamento farmacologico. Si tratta di una procedura invasiva, che si esegue per via percutanea mediante accesso arterioso per via femorale. Consiste nell’ablazione, mediante elettrocatetere a radiofrequenza, delle innervazioni renali simpatiche afferenti ed efferenti, bilateralmente. I tempi dell’intervento, eseguito in anestesia locale e blanda sedazione generale, sono circa 40’. Al termine è richiesta la compressione esterna dell’arteria femorale ed il riposo a letto per almeno 24 ore, durante le quali l’arto deve essere mantenuto immobile. In media il ricovero dura dalle 48 alle 56 ore. L’intervento deve essere effettuato da medici specialisti in cardiologia o in radiologia interventistica con adeguato training nell’esecuzione della procedura.

Secondo il documento, candidati alla denervazione sono pazienti con diagnosi di ipertensione arteriosa resistente, validata presso centri di riferimento o di eccellenza, definita come PA clinica > 160/90 mmHg (> 150/90 nei pazienti con diabete mellito di tipo 2) e ambulatoriale delle 24 ore > 150/90 mmHg nonostante uno stile di vita appropriato ed almeno tre o più classi di farmaci antipertensivi. Tali valori limite sono basati sul protocollo applicato in recenti studi clinici di intervento che hanno dimostrato l’efficacia della denervazione nella riduzione della PA, soprattutto sistolica [1,2]. I pazienti devono inoltre avere una conformazione anatomica delle arterie renali adeguata alla procedura. Devono essere esclusi i pazienti con ipertensione secondaria, pseudo-resistenza, cause concomitanti e fattori modificabili. La procedura sembrerebbe, pur con i limiti della ristretta casistica, sicura, con assenza di complicanze a 24 mesi nel 97% dei pazienti trattati. Un solo paziente ha riportato una dissezione dell’arteria e tre pazienti hanno riportato complicanze a livello del sito di accesso femorale. Non sono descritti peggioramenti della funzione renale. Successivamente alla denervazione i pazienti devono sottoporsi a controlli pressori rigorosi, a cadenza inizialmente mensile (per 3 mesi), poi trimestrale (per 6 mesi) e poi semestrale, comprendenti il profilo pressorio ambulatoriale delle 24 ore e la funzione renale. Per le controindicazioni assolute e gli esami da eseguire prima e dopo la procedura si rimanda al testo.


Riferimento

Volpe M et al. Denervazione delle arterie renali nel trattamento dell’ipertensione arteriosa resistente: definizione della patologia, selezione dei pazienti e descrizione della procedura. Ipertensione e prevenzione cardiovascolare 2012; 19: 56-65


Commento di Giampaolo Collecchia

Le problematiche relative a diagnosi e gestione dei pazienti affetti da ipertensione resistente sono state trattate in pillole precedenti [3,4]. Sicuramente la prospettiva di curare in maniera definitiva una tale condizione cronica, ad elevato impegno sia per il paziente che per il medico, associata ad un importante impatto in termini di morbilità e mortalità, è affascinante. Per ora sappiamo solo che la procedura si è dimostrata in grado di ridurre la PA, peraltro in studi condotti in aperto (per evidenti motivi), su numeri estremamente limitati di pazienti. Ad esempio, nello studio Symplicity HTN-2, l’end point primario (variazione della PAS, misurata in ambulatorio) è stato valutato in 49 pazienti sottoposti a denervazione e in 51 pazienti del gruppo di controllo. Al termine dei 6 mesi di follow-up, la differenza tra i gruppi è stata pari a 33/11 mmHg, rispettivamente per la sistolica e la diastolica [2]. Il target pressorio (< 140/90 mmHg) è stato raggiunto dal 39% dei pazienti, peraltro solo il 20% dei trattati ha ridotto la terapia farmacologica (contro l’8% dei controlli). L’effetto di riduzione dei valori pressori si è dimostrato persistere per oltre 3 anni [5] ma dati sul mantenimento a lungo termine, fondamentale per una condizione cronica, non sono disponibili. Mancano inoltre prove sulla riduzione degli end point clinici. La metodica richiede infine competenze altamente specialistiche e questo limita ogni utilizzo estensivo.
La procedura ha il vantaggio di richiedere una singola seduta, peraltro l’intervento è invasivo e irreversibile. Inoltre, pur dimostratosi scevro da complicanze cliniche importanti, comprese le modificazioni della funzionalità renale, richiede comunque il ricovero ospedaliero.

Allo stato attuale la denervazione simpatica delle arterie renali non sembra poter essere considerata una “cura” dell’ipertensione ma piuttosto una opportunità “estrema”, da utilizzare in casi altamente selezionati, con ipertensione effettivamente resistente, in centri altamente qualificati.



Bibliografia

1) Krum H et al. Catheter-based renal sympathetic denervation for resistant hypertension: a multicentre safety and proof-of-principle cohort study. Lancet 2009; 373: 1275-81

2) Esler MD et al. Renal sympathetic denervation in patients with treatment-resistant hypertension (The Symplicity HTN-2 Trial): a randomised controlled trial. Lancet 2010; 376: 1903-9

3) http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=3696

4) http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=5260

5) Krum H et al. Long-term follow-up of catheter-based renal sympathetic denervation for resistant hypertension confirms durable blood pressure reduction. J Am Coll Cardiol 2012; 59: E 1704.

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