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IL POVERO LADRO
Inserito il 26 dicembre 2022 da admin. - professione - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

C’ era una strana agitazione, quella mattina, al bar.
Bruno se ne stava in un angolo zitto, con aria ingrugnata, e intorno a lui un gruppo vociante di amici di borgata. “ Incredibile!” “ Ma come è possibile???” “ Ma chi può essere il fetente?”

Non posso negare di essere stato attanagliato dalla curiosità ma, come tutti sapevano, il Sachem non si scompone mai, sa sempre tutto e non si mescola agli umori del popolino. Se no che Sachem sarebbe?
Mi sedetti quindi al mio solito tavolinetto e tirai fuori il giornale, facendo finta di leggere.

Ovviamente, dopo un po’, i presenti cominciarono a ronzarmi intorno.
“ Che dici, Sachè, ma chi può essere stato? “ Ma chi può avere la faccia tosta di rubare allo Zozzo?”

Dunque quello era l’ avvenimento: qualcuno era entrato di notte a rubare.
“ Hanno scassinato la porta rompendo la serratura, Sachè. Un lavoraccio sporco, senza riguardo. Neanche un ragazzino!”. “ Per che cosa, poi? Lo sanno tutti che i soldi dell’ incasso Bruno se li porta a casa la sera!”

I tasselli si aggiungevano, bastava continuare ad annuire con l’ aria saggia di chi sa-ma-non-parla…
E tanto per aumentare la confusione ci si mise pure la moglie di Bruno, a rimproverarlo gridando di aver trovato venti euro sotto il bicchiere delle mance, e fortuna che il ladro non li aveva visti…
Insomma non mancava quasi nulla; solo l’ occhio allenato di Bruno si accorse che qualcuno aveva rovistato sugli scaffali, mettendo in disordine i ninnoli e i ricordi di nessun valore esposti lì sopra e portando via un vecchio mangianastri Gelosino che stava in mostra come “antichità“.

Tutta roba senza valore, per cui non valeva neppure la pena di scomodare il maresciallo Parrocchi. Non che ce ne fosse bisogno, del resto: la borgata aveva un efficientissimo servizio d’ ordine: appena qualcosa fosse saltata fuori, l’ Orso Bruno ne sarebbe stato informato. E c’ era da preoccuparsi, vista l’ aria infuriata che aveva preso!
Però, per qualche mese non saltò fuori nulla.
Neanche Don Bartolo, il prete locale, l’ unico forse più informato del Sachem, seppe dire qualcosa di utile, né il dott. Casimiri. Per loro comunque, in ogni caso, c’ era pure il segreto professionale…

Col passare del tempo l’ episodio sbiadì e venne dimenticato da quasi tutti, ma non da Bruno, che continuava a rimuginare su chi e perché gli avessero fatto quello sgarbo. Non riusciva a darsene ragione. E siccome l’ atmosfera prima amichevole del bar era diventata cupa e diffidente, anche io cominciai ad interessarmi più attivamente.
Conoscevo bene tutti gli abitanti di Collerotto, conoscevo benissimo Don Bartolo e colsi qualche involontaria allusione confermata da Casimiri.

Non dicevano nulla di chiaro, ma a buon intenditor…

Perciò, verso Natale, decisi di sfruttare l’ atmosfera felice delle feste e invitai Bruno a fare un giretto con me.
Non che ne avesse voglia ma quando gli dissi che forse potevo chiarire il mistero del Gelosino scomparso non esitò neanche un attimo. Sulla mia scassatissima macchina ci avviammo verso la periferia di Collerotto, dove c’erano la case più vecchie, quelle dei primi pionieri. E ci fermammo davanti alla casa dei Corelli.

Bruno era perplesso: i Corelli, due vecchiettini casa e chiesa, lei curva e malandata, lui un pò meno, che tutti i giorni facevano a braccetto la loro passeggiatina sostenendosi l’ un l’ altro salutando tutti con un sorriso gentile, tutte le domeniche a messa. Che c’entravano con la faccenda del furto?

Mi aprì il sor Antonio. Quando aprì sentimmo venire dall’ interno una musica anni ’60, lieve e romantica, di archi e sassofoni. E quando il sor Antonio ci vide, capì.
Abbassò il capo, curvò le spalle, ci guidò a passi malfermi in salotto.
Un salotto polveroso, pieno di vecchi mobili; vicino alla finestra una vecchia poltrona imbottita su cui sedeva la signora Amalia e, accanto, un tavolinetto con il mangianastri di Bruno che suonava.
Amalia ci vide e ci salutò contenta: “ Ettore, fratello carissimo, disse rivolto a Bruno, finalmente sei venuto a trovarmi…”.

Ci sedemmo sul divano: pareva che la nostra venuta avesse dato il via a un’ inondazione troppo a lungo trattenuta e quando Antonio cominciò a parlare, prima con le lacrime agli occhi, poi piangendo a dirotto, non avemmo cuore di fermarlo.

La storia era semplice, addirittura banale: Antonio aveva visto Amalia declinare un pò alla volta, non solo fisicamente. Aveva cominciato a dimenticare le cose più banali, poi quelle più importanti, sbagliava i nomi delle persone, fino a non riconoscerle più, a tratti non riconosceva neppure Antonio.
“Non so se potete capire -- piangeva Antonio – Amalia è stata l’ amore della mia vita, abbiamo passato insieme una eternità, abbiamo litigato furiosamente e vissuto insieme momenti bellissimi, io non ci resistevo più a vederla così…”.
A un certo punto Antonio si era reso conto che, quando sentiva certe musiche legate alla loro giovinezza, Amalia sembrava riprendere un briciolo di consapevolezza, certi momenti lo riconosceva, lo abbracciava, si baciavano piangendo insieme. Ogni volta, comunque, ascoltava rapita e con aria felice, immersa nei ricordi.

“Però quelle musiche non si sentono quasi più – singhiozzava Antonio – io ne avevo, le avevamo raccolte insieme nella nostra giovinezza, le avevamo registrate nei nastri magnetici e risentite insieme cento volte, ma chi li sente più i nastri magnetici? Avevo anche registrato i momenti migliori della nostra vita, il matrimonio, i figli. Io li conservo ancora, ma non avevo un riproduttore. Poi ho visto il Gelosino sulla tua mensola, non ho resistito…”.

“Ma perchè non me l’ hai chiesto? – sbotta Bruno – magari te lo avrei prestato”.
“ Avevo paura che mi dicessi di no, lo so quanto tu ci tenga alle tue cose, e se mi avessi detto di no avresti poi capito subito chi te lo aveva rubato. Così invece ho potuto vivere e farla vivere qualche mese più felice, almeno un po’“.
“Ma che stupido che sei, Antò, mi conosci davvero così poco? – avrei giurato che anche nella voce di Bruno vibrasse qualcosa di inusuale in quell’ omone – Figurati se te lo tolgo! Almeno finché ti è utile... Però mi ha fatto star male che tu sia entrato in casa mia per rubare, molto male!”
“ Hai ragione, Brù, io volevo pagartelo, ho lasciato venti euro sotto il bicchiere delle mance, scusami se è poco, ma ti giuro, non avevo altro”.

Allora ho visto Bruno alzarsi, fare un passo avanti e incombere su Antonio

“ Ma che cazzo stai dicendo, Antò ??? – ruggì quell’ omone torreggiando sul vecchio – Sto’ Gelosino vale al massimo dieci Euro, e pè fortuna che me ne sò liberato! Mò però te devo dà il resto, sinnò che figura ce faccio, io? De strozzino!! Me rovino er buon nome! Tientelo, il Gelosino e tiette pure ‘sti dieci Euro de resto! E non azzardatte a ridammeli, che te li tiro dietro!”

Siamo usciti e risaliti in macchina, non avevo mai visto Bruno con quella strana espressione sul volto.
“ Nun t’ azzardà, Sachè, nun t’ azzardà, che se racconti qualcosa in giro me tocca avvelenatte er caffè ”
“ Perchè? – lo sfotto - non posso raccontare che pure lo Zozzo c’ha il cuore tenero?”
“ Provace, - ringhia - e me te magno!”.

Fu un bel Natale , quello, davvero un bel Natale!



“Al bar dello Zozzo” – Daniele Zamperini – 2020
Matite di Roberta Floreani

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