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Carcere per il genitore che minaccia l’ insegnante del figlio
Inserito il 13 giugno 2021 da admin. - medicina_legale - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Scatta la condanna penale e il carcere per chi minaccia un insegnante per condizionarne il giudizio su un alunno in quanto il docente è pubblico ufficiale tutelato dall'art. 336 c.p. Peccato che sui giornali non si leggano quasi mai soluzioni del genere. (Cass. 14958/2021)

Un genitore aveva pesantemente minacciato un insegnante che a suo parere non esprimeva giudizi corretti sul figlio.
Sia in primo che in secondo grado l’ uomo era stato condannato in base all'art. 336 c.p. "Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale" alla pena di sei mesi di reclusione.

La norma dispone che: "1.Chiunque usa violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri, o ad omettere un atto dell'ufficio o del servizio, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. 2. La pena è della reclusione fino a tre anni, se il fatto è commesso per costringere alcuna delle persone anzidette a compiere un atto del proprio ufficio o servizio, o per influire, comunque, su di essa."

L’ uomo ricorreva in Cassazione chiedendo l’ applicazione della pena minima e il riconoscimento delle attenuanti generiche. Inoltre negava che le sue proteste costituissero minaccia.

La Cassazione respingeva il ricorso dichiarandolo inammissibile perché finalizzato a ottenere una diversa lettura delle fonti di prova che, a differenza dei rilievi sollevati dai difensori dell'imputato, risulta lineare, coerente, chiara e logica.

I giudici di merito hanno ritenuto attendibili le dichiarazioni della persona offesa e dei testimoni, i quali hanno ben udito la frase minatoria dell'imputato, il cui contenuto era finalizzato a condizionare la valutazione dell'insegnante.

Il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche era ritenuto corretto anche alla luce dei precedenti dell'imputato.

Al rigetto del ricorso conseguiva anche la condanna dell'imputato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità e al versamento di 3000 euro alla cassa delle ammende.


Commento personale:
E’ interessante osservare il concetto espresso, lo e’ ancora di piu’ se osservato dal punto di vista di una diversa ma equivalente categoria (quella medica) sottoposta quasi quotidianamente a pressioni, minacce e addirittura ad aggressioni fisiche da parte degli utenti. Sono molto rari i casi a nostra conoscenza in cui gli autori siano stati perseguiti per via giudiziaria. E in teoria non servirebbe la denuncia formale della vittima in quanto i reati contro il Pubblico Ufficiale andrebbero perseguiti d’ ufficio.

Daniele Zamperini


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