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La depressione in medicina generale: mini guida per il medico pratico
Inserito il 08 maggio 2016 da admin. - psichiatria_psicologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Come riconoscerla, quando iniziare il trattamento farmacologico, quando interromperlo.

Parte prima: la diagnosi delle varie forme

I Disturbi Depressivi sono molto comuni: secondo l’OMS essi affliggono oltre 300 milioni di persone.(1) Una rigorosa ricerca epidemiologica condotta nella popolazione generale di 14 paesi di 6 continenti ha riscontrato una prevalenza “lifetime” della depressione oscillante tra il 10% ed il 15%.(2)
Negli USA la diagnosi di depressione negli utenti di Medicare è raddoppiata dal 1995 al 2005 (3) anche se una metanalisi di 41 studi coinvolgenti 50371 pazienti ha dimostrato che almeno il 15% delle diagnosi di depressione sono improprie e quindi inappropriate sono anche le terapie antidepressive.(4) Se consideriamo che il 11% della popolazione USA sopra gli 11 anni ed il 20% delle donne dai 40 ai 50 anni assumono farmaci antidepressivi (5) e che la prescrizione di tali farmaci in particolare da parte dei medici di famiglia sta aumentando in tutto il mondo occidentale comprendiamo la importanza di comprendere le reali dimensioni del fenomeno in modo da poterlo affrontare adeguatamente.
Il nostro Sito si è ripetutamente occupato di questo importante problema; le“pillole” pubblicate, sono agevolmente consultabili usando la funzione “Cerca nel sito”.

La presente pillola si propone di riordinare il materiale pubblicato integrandolo con alcuni recenti ricerche e rivedendolo alla luce dei criteri diagnostici del DSM V (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fifth Edition)(6)


Le ambiguità dei criteri diagnostici

La storia ci aiuta a comprendere: fino all’avvento del DSM III, pubblicato nel 1980, i disturbi depressivi nella psichiatria europea venivano distinti in due grandi raggruppamenti: le Sindromi Melanconiche ( “melancolia” degli autori classici), (7) caratterizzate da gravi sintomi depressivi difficili da trattare, spesso non collegati ad eventi luttuosi e pertanto definite anche “endogene” o “psicotiche”( quando si accompagnano ad ideazione depressiva delirante), e le comuni forme Depressive “Nevrotiche”, meno gravi e spesso correlate ad eventi luttuosi od a fasi della vita.

Il DSM III è stato realizzato con il lodevole intento di standardizzare la diagnosi sulla base di criteri internazionali condivisi,di facilitare la comunicazione tra gli operatori, di rendere più appropriata la terapia e di ridurre la eterogeneità dei criteri della ricerca clinica.
Per raggiungere questi obiettivi gli esperti che formularono il DSM dovettero tuttavia operare notevoli semplificazioni, rinunciando ad utilizzare la ricchezza delle descrizioni cliniche fenomenologiche che consentono diagnosi più precise ed approfondite, ma sono di fatto utilizzabili solo da medici esperti.

Il DSM III finì col proporre un approccio quantitativo basato sul rilievo di sintomi comuni individuabili mediante una semplice anamnesi: i criteri “sine qua non “per la diagnosi erano la presenza di “Umore Depresso” e “Perdita di Interesse e Piacere nelle Usuali attività “.

A questi sintomi basilari venivano aggiunti altri 7 possibili sintomi (Affaticabilità-Ridotta capacità di concentrazione-Senso di Colpa-Pensieri ricorrenti di morte-Agitazione o Rallentamento-Insonnia od Ipersonnia- Diminuzione od Aumento spiccato dell’Appetito: tutti questi sintomi sono stati sostanzialmente confermati nei DSM IV e nell’attuale DSMV- vedi Tab1-): in presenza di 3 sintomi la diagnosi proposta era di disturbo lieve, con 5 sintomi si diagnosticava il disturbo depressivo moderato, con più di 5 sintomi il disturbo grave.
Con il DSM III le importanti differenze qualitative tra le varie forme depressive divenivano differenze puramente quantitative: le forme depressive erano raggruppabili in un unico insieme e potevano tutte essere trattate farmacologicamente.

Nel DSM IV vennero posti in maggiore evidenza gli aspetti sociali ed ambientali e venne ribadito che i criteri diagnostici sono solo uno strumento operativo, ma non sostituiscono la indagine clinico-psichiatrica.

Con il DSM V viene invece introdotto anche per le forme reattive, quali la depressione che segue un lutto, il criterio temporale delle 2 settimane di persistenza di umore depresso o di perdita di interesse e piacere nelle usuali attività: ad essi debbono accompagnarsi almeno 3 dei sintomi elencati anche nei precedenti DSM ( Vedi Tabella 1) per fare diagnosi di Depressione Maggiore.



Per avere un utile termine di paragone, nei precedenti DSM le depressioni reattive venivano considerate patologiche solo se gravi o persistenti, e la presenza di soli 3 sintomi consentiva la diagnosi di Episodio Depressivo Maggiore tipo Lieve che non prevedeva necessariamente un trattamento farmacologico.

In sintesi con il DSM V anche gli Episodi Depressivi Reattivi non gravi divengono Disturbi Depressivi maggiori nei quali è proponibile e secondo alcuni auspicabile un trattamento farmacologico.

Questa decisione è stata fortemente criticata da grandi esperti della psichiatria internazionale tra i quali Allen Frances, il principale autore del DSM IV (8): la tendenza a classificare come malattia ed a trattare con farmaci anche stati di sofferenza psicologica correlati ad eventi luttuosi od a momenti difficili della vita dà una risposta temporanea ed illusoria a problemi reali creando dipendenza farmacologica.

L’alternativa in questi casi sono innanzitutto alcuni tipi di psicoterapia ma anche, nelle forme più leggere e comuni, un semplice sostegno da parte di persone equilibrate ed esperte, che possono favorire quei processi di riequilibrio e riorganizzazione psico-affettiva magari dolorosi ma efficaci in quanto potenziano a lungo termine le risorse individuali.

L’approccio quantitativo-categoriale iniziato con il DSMIII offre indiscutibilmente dei vantaggi ma dimentica le grandi ricerche cliniche che dall’800 a tutto il 900 hanno descritto la malinconia o depressione maggiore come una sindrome originale e qualitativamente molto diversa dalle comuni forme depressive reattive.
Nella tabella 2 elenchiamo le principali caratteristiche qualitative della classica Depressione Melanconica, o Depressione Endogena, talora definita anche Depressione Psicotica: sono descritte dai grandi clinici dei secoli scorsi che le rilevavano non con semplici questionari ( utili strumenti dei DSM) ma con una osservazione attenta, un contatto prolungato, ripetuti sofferti colloqui. Ci sembra evidente come quest’ultimo approccio, caratteristico della psichiatria fenomenologica, consenta una comprensione di gran lunga più approfondita del paziente anche se, come già sottolineato, il sistema categoriale-quantitativo dei DSM è utile nella medicina pratica specie se usato con spirito critico.



Disturbo depressivo persistente o distimia

In alcune persone un quadro depressivo, in genere non grave, si protrae per anni. Gli esperti del DSM hanno introdotto il Disturbo Distimico per riunire in un quadro nosografico una parte di questi pazienti. La diagnosi di questo disturbo è possibile in presenza di umore depresso quasi tutti i giorni da almeno 2 anni e di almeno 2 tra i seguenti sintomi:

• Scarso Appetito o Iperfagia.
• Insonnia o Ipersonnia
• Scarsa Energia od Astenia
• Bassa Autostima;
• Difficoltà di Concentrazione o nel Prendere Decisioni;
• Sentimenti di Sconforto o addirittura Disperazione;

In realtà questa categoria nosografica è di limitata utilità in medicina generale, in quanto non sono chiari i confini con le strutture depressive di personalità e soprattutto non sono chiare le indicazioni al trattamento farmacologico e/o psicoterapeutico, anche se è opinione diffusa che ci si debba basare sullo stato di sofferenza del paziente e sulla sua motivazione a seguire una terapia

Note Utili nella pratica clinica

1) E’ molto importante ricordare che tutti i disturbi depressivi possono essere secondari all’uso di sostanze, a malattie neurologiche,a malattie internistiche od a condizioni mediche: la diagnosi è possibile con una accurata anamnesi, con un sistematico esame obiettivo ed eventualmente con indagini laboratoristiche e strumentali

2) Spesso nella pratica clinica il paziente depresso si rivolge al medico per disturbi somatici: astenia, cefalea, difficoltà di concentrazione, insonnia, disturbi dell'appetito possono essere manifestazioni somatiche di un quadro depressivo; in questi casi è molto utile valutare il tono dell’umore del paziente in modo da evitare di trattare sintomi somatici anziché il problema psichico

3) La depressione è una spesso una benigna espressione di una fase della vita ( es. depressione post-menopausa, post partum, forme depressive adolescenziali o dell'anziano). In questi casi la vicinanza empatica e la attenta sorveglianza del medico di famiglia possono essere molto più utili di altri trattamenti

4) Talora la depressione è solo la componente di un più complesso Disturbo Bipolare: va sempre indagato se anamnesticamente il paziente presenti periodi di euforia, eccitazione, innaturale benessere; in questi casi va ipotizzata una forma bipolare che va trattata prevalentemente con gli stabilizzatori dell'umore mentre il semplice trattamento con antidepressivi potrebbe favorire il viraggio verso una fase maniacale

Il grave problema del suicidio

Il suicidio è la complicanza più grave di molti disturbi psichici ed in particolare della depressione: con tatto e delicatezza ad ogni paziente depresso va rivolta la domanda se abbia desideri di morte e se abbia concretamente pensato a come por fine alla propria vita; la maggior parte dei pazienti non sarà turbata dalla domanda ma la considererà come una manifestazione di interesse. E’ importante mantenere un contatto almeno quotidiano con i pazienti a rischio.

Segni allarmanti sono l'isolamento del paziente, la incapacità di mantenere contatti umani, la assenza di una persona di riferimento, il rifiuto delle cure e del contatto con il medico.
Al minimo dubbio non dobbiamo esitare a contattare lo psichiatra od i servizi di emergenza ed a disporre eventualmente anche il ricovero coatto.

( La terapia della Depressione sarà trattata nella seconda parte)


Riccardo De Gobbi

Bibliografia

1. World Health Organization 2008, The Global Burden of Disease 2004 update. http://www.who.int/healthinfo/global_burden_disease/GBD_report_2004update_full.pdf Accessed 16.6.2012

2. Demyttenaere K, Bruffaerts R, Posada-Villa J, et al. Prevalence, severity, and unmet need for treatment of mental disorders in the World Health Organization World Mental Health Surveys. JAMA.2004;291:2581–2590.

3. Akincigil A, Olfson M, Walkup JT, Siegel MJ, Kalay E, Amin S, et al. Diagnosis and treatment of depression in older community-dwelling adults: 1992-2005. J Am Geriatr Soc 2011;59:1042-51.

4. Mitchell AJ, Vaze A, Rao S. Clinical diagnosis of depression in primary care: a meta-analysis. Lancet 2009;374:609-19.

5. Pratt L, Brody D, Gu Q. Antidepressant use in persons aged 12 and over: United States,
2005-2008. NCHS Data Brief 2011. www.cdc.gov/nchs/data/databriefs/db76.htm.

6. DSM-5 Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali Raffaello Cortina Ed. Milano 2014

7. Tellenbach H,: Melancolia Il Pensiero Scientifico Editore Roma 2015

8. Dowrick C, Frances A: Medicalising unhappiness: new classification of depression risks more patients being put on drug treatment from which they will not benefit BMJ 2013;347:f7140 doi: 10.1136/bmj.f7140

9. Borgna E,: Malinconia Feltrinelli Ed. Milano 2005

Tra le Pillole sulla Depressione consultabili con la funzione "Cerca", tutte molto utili ed interessanti raccomandiamo in particolare la lettura delle seguenti:

http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=4436
http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=4768

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