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Non basta lo scarto dalla media di spesa per configurare iperprescrizione
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La Corte dei Conti della Lombardia sgretola l'ipotesi della Procura che vedeva in scostamenti della spesa farmaceutica prescritta da un medico di famiglia oltre 2 deviazioni standard dalla media un indicatore certo di iperprescrizione.

Sentenza 8 gennaio 2010, n. 9

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LOMBARDIA

composta dai Magistrati:

Dott. Antonio VETRO Presidente

Dott. Vito TENORE Magistrato rel.

Dott. Maurizio MASSA Magistrato

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di responsabilità, ad istanza della Procura Regionale, iscritto al numero 24095 del registro di segreteria, nei confronti di:

P. P., rappresentato e difeso dagli avv. Francesca Plebani e Gennaro Messuti e presso il secondo elettivamente domiciliato in Milano, via Lamarmora n. 40.

CON INTERVENTO

Del SINDACATO NAZIONALE AUTONOMO MEDICI ITALIANI (Snami) in persona del legale rapp.te, rappresentato e difeso dall’avv. Paola Cattaneo e presso la stessa elettivamente domiciliato in Milano, via Lamarmora 40/a,

letta la citazione in giudizio ed esaminati gli altri atti e documenti fascicolati;

richiamata la determinazione presidenziale con la quale è stata fissata l’udienza per la trattazione del giudizio;

ascoltata, nell’odierna udienza pubblica del 2.12.2009 la relazione del Magistrato designato, prof. Vito Tenore, l’intervento del Pubblico Ministero nella persona dei Vice Procuratore Generale cons.Paolo Evangelista e degli avv.ti Messuti e Cattaneo; viste le leggi 14 gennaio 1994, n. 19 e 20 dicembre 1996, n.639;

FATTO

Con atto di citazione depositato il 12 gennaio 2007, la Procura regionale Lombardia conveniva innanzi questa Sezione Giurisdizionale il dr. P. P., medico di medicina generale in convenzione con il SSN, esponendo quanto segue: a) che su segnalazione della Guardia di Finanza dell’8 luglio 2005, la Procura regionale aveva intrapreso indagini volte ad acclarare un ipotetico danno erariale cagionato da medici di medicina generale (MMG) delle ASL della Regione Lombardia, in rapporto di convenzione con il SSN (e pertanto legati da rapporto di servizio con l’amministrazione sanitaria) per il periodo 2002-2004, derivante da una condotta iperprescrittiva di farmaci (con conseguente costo a carico del SSN), per almeno due annualità consecutive e nonostante la costante informazione circa la loro condizione prescrittiva attraverso reports della ASL, a favore dei propri assistiti particolarmente difforme rispetto alla generalità dei medici operanti nelle rispettive ASL di appartenenza; b) che detta indagine aveva riguardato il possibile eccesso di discrezionalità nella prescrizione di specialità farmaceutiche da parte dei Medici di Medicina Generale (MMG) che avessero mantenuto una condotta prescrittiva anomala per almeno due annualità consecutive; c) che l’indagine era stata limitata alla spesa per i gruppi ‘ATC’ di farmaci - seguendo la classificazione Anatomica Terapeutica Chimica - di livello A (gruppo anatomico: apparato gastrointestinale e metabolismo), C (gruppo anatomico: sistema cardiovascolare), J (gruppo anatomico: antimicrobici generali per uso sistemico) e M (gruppo anatomico: sistema muscolo-scheletrico); d) che la soglia di riferimento assunta per determinare scostamenti da parte di medici iperprescrittori era stata determinata e pesata secondo i criteri indicati alle pp. 3 e 4 della citazione da intendersi qui trascritte; e) che dalla elaborazione dei dati forniti dalla ASL di Bergamo, a seguito di istruttoria delegata della Guardia di Finanza, era emerso che negli anni 2002, 2003 e 2004 il dr. P. P. nella prescrizione di farmaci ai propri assistiti si era discostato in maniera significativa e assolutamente anomala, rispetto alla soglia di riferimento suddetta, calcolata per singolo gruppo ATC, tale da dover imputare a suo carico l’addebito di costi ingiustificati a carico del SSN pari a € 89.806,34; f) che dopo tale preliminare accertamento di anomalo scostamento dalla soglia di riferimento, la Procura contabile aveva condotto ulteriori accertamenti presso la ASL di Bergamo in modo da analizzare analiticamente nel merito, con l’ausilio del personale sanitario dell’ASL, l’attività iperprescrittiva di farmaci rilevata nei confronti del dr. P., al fine di evidenziare la sussistenza o meno di una casistica a campione di prescrizioni ‘inappropriate’ (alla stregua di quanto indicato nelle note CUF - Commissione Unica del Farmaco, ora AIFA - o nelle schede tecniche vigenti all’epoca delle prescrizioni), il cui costo ingiustificato poteva costituire ulteriore elemento probatorio del suddetto danno erariale; g) che tale controllo analitico sia di ricette o prescrizioni di farmaci, sia di percorsi diagnostici-terapeutici dei pazienti a cui sono stati prescritti detti farmaci, aveva evidenziato alcune inappropriate o eccessive prescrizioni di farmaci, in difformità alle indicazioni CUF ed alle schede tecniche ministeriali, per un importo di euro 7.655,26 (importo verosimilmente frutto di errore di trascrizione dell’attrice Procura e da rettificare in euro 4.935,22 alla luce della analitica sommatoria degli importi delle singole ricette indicate dalla stessa attrice alle pp.8-10 della citazione), relativamente ai Sottogruppi M01AH Coxib, Farmaco M05BA Bifosfonati soggetti a nota CUF 79 (acido alendronico e acido risendronico), Farmaco J02AC Derivati Triazolici (fluconazolo, itraconazolo); h) che la condotta iperprescrittiva del dr. P. aveva violato le numerose norme di settore sui limiti alle prescrizioni di medicinali (tra le altre, art. 2 della legge n. 531 del 29.12.1987, art. 4 del d. l.vo 30.12.1992, n. 539 art. 1, co. 4, della legge 8.8.1996, n. 425, art. 3 legge 8 aprile 1998, n. 94, DM 11.7.1988, n. 350, DM 2.8.2001) e, in particolare, l’Accordo collettivo nazionale reso esecutivo con il dPR 270/2000, che, dopo aver definito, al comma 1 dell’art. 15-bis, il medico di medicina generale come colui che, tra l’altro, “assicura l’appropriatezza nell’utilizzo delle risorse messe a disposizione dalla Azienda per l’erogazione dei livelli essenziali ed appropriati di assistenza…” all’art. 36 dell’Accordo aggiunge che “la prescrizione dei medicinali avviene, per qualità e per quantità, secondo scienza e coscienza, con le modalità stabilite dalla legislazione vigente nel rispetto del prontuario terapeutico nazionale, così come riclassificato dall’art. 8 della legge 24 dicembre 1993, n. 537”; i) che la condotta iperprescrittiva del dr. P. aveva poi violato l’art. 3 della l.8 aprile 1998 n. 94 la quale dispone che “il medico, nel prescrivere una specialità medicinale o altro medicinale prodotto industrialmente, si attiene alle indicazioni terapeutiche, alle vie e alle modalità di somministrazione previste nell’autorizzazione all’immissione in commercio rilasciata dal Ministero della Sanità” (scheda tecnica ministeriale) e le regole di “economicità, appropriatezza prescrittiva, efficacia dell’intervento” sottese alle norme in materia; l) che l’art.1, co.4, d.l. 20.6.1996 n.323 conv.to in l. 8.8.1996 n.425 sancisce l’obbligo per il medico di rimborsare al SSN i farmaci indebitamente prescritti; m) che la giurisprudenza di questa Corte aveva già statuito l’ipotizzabilità di un danno erariale da iperprescrizione di farmaci (C.conti, sez.Campania, 14 settembre 2006 n.1710; id., sez.Liguria, 28.1.2002 n.82) e che tale illecita condotta aveva comportato, in identiche fattispecie, l’inflizione di sanzioni disciplinari a medici, ritenute legittime dal Consiglio di Stato (Cons.St., sez.V, 19 settembre 1995 n.1310); l) che, in riscontro al notificato invito a dedurre, le osservazioni inviate dal dr.P. sulle prescrizioni effettuate erano state sottoposte al vaglio di un collegio di specialisti (prof.Castelli, dr.Marchesi, dr.Ravelli) con recepimento di alcune deduzioni difensive e conseguente individuazione di prescrizioni “inappropriate” per euro 5.645,00, con riduzione del danno da “iperprescrizione” ad euro 66.225,00; m) che a tale danno andava aggiunto quello da “disservizio” per le spese e i costi aggiuntivi sostenuti dall’Amministrazione per ripristinare l’efficienza della struttura organizzativa, pari ad € 3.422,86 e consistenti nelle spese sostenute dall’Ufficio Farmaeconomia per il controllo analitico delle prescrizioni mediche relative al dr. P.; n) che il danno complessivamente arrecato era dunque pari ad euro 69.647,86 oltre accessori.

Tutto ciò premesso, l’attrice Procura chiedeva la condanna del dr.P. al risarcimento della somma di euro 69.647,86 oltre accessori.

Si costituiva il convenuto, rappresentato dagli avv.ti F.Plebani e G.Messuti, con “monografica” memoria depositata il 4.10.2007 seguita da memoria depositata il 24.10.07, sviluppando ampi argomenti difensivi, così sintetizzabili: a) censura del criterio della “media ponderata ASL (media maggiorata di due deviazioni standard)”, criterio statistico non previsto da alcuna legge e non supportato da idonei calcoli utilizzati per arrivare ai valori riportati, utilizzato dalla Procura per riconoscere la non appropriatezza di una prescrizione, dimenticando varie variabili, quali condizionamenti territoriali degli assistiti, patologie e cronicità dei pazienti curati, prescrizioni indotte da diagnosi e terapie specialistiche; b) individuazione nel predetto dato statistico di un mero “campanello di allarme” per iniziare una indagine che avrebbe dovuto avere ad oggetto una analisi atomistica delle singole prescrizioni, e che nella specie aveva riguardato invece solo 26 ricette menzionate nell’invito a dedurre, sulle quali il dr.P. aveva fornito argomentate osservazioni circa la loro correttezza, con riduzione dei casi di asserita inappropriatezza a 16; c) formulazione assai dubitativa da parte della commissione di esperti nominati dalla Procura circa la non appropriatezza di tali prescrizioni del dr.P., e, comunque, tardività di tali rilievi critici, formulati dopo 5 anni dalle prescrizioni, e fondati su “carte” e non su visita diretta del paziente e in assenza di conoscenza di pregresse o concomitanti patologie, anche occasionali o transitorie e senza formulazione, da parte di detti esperti della Procura, di terapie alternative a quelle indicate dal convenuto in ricetta; d) produzione di un parere di autorevoli consulenti del convenuto (dr.Pozzi, dr.Facchinetti, dr.Falgheri) sulla appropriatezza delle diagnosi e terapie effettuate dal dr. P., oggetto inoltre di analitica difesa da parte del convenuto, con argomenti medici, per ciascuna delle posizioni asseritamene non corrette censurate dalla Procura (v. pp. 86-122 memoria di costituzione); e) inipotizzabilità di “colpa professionale” per iperprescrizione di farmaci rispetto a colleghi, in assenza di prova di errori diagnostici o terapeutici derivanti da mancata applicazione delle cognizioni generali e fondamentali della scienza medica o da difetto del livello minimo di abilità e perizia tecnica della professione; f) formulazione della ipotesi accusatoria sulla base di controlli ex post e in assenza di contestazione tempestiva da parte della competente ASL dopo l’invio dei reports, così ingenerando nel dr.P. il convincimento circa la bontà delle proprie prescrizioni anche se sopra la media.

Si costituiva, con memoria depositata il 24.10.2007, il Sindacato nazionale autonomo medici italiani (Snami), cui il dr. P. è iscritto (come chiarito in pubblica udienza) difeso dall’avv. Paola Cattaneo, spiegando intervento volontario adesivo dipendente ex art.47, r.d. 13 agosto 1933 n.1038 ad adiuvandum del dr.P., evidenziando il proprio interesse, statutariamente sancito: a) al rispetto delle norme sull’attività del medico (con particolare interesse all’attività di prescrizione dei farmaci) indicate agli art.15-bis e 36 dell’Accordo Collettivo Nazionale (ACN) 270/2000 sui rapporti con i medici di medicina generale e sull’attivazione della procedura contestativa ivi prevista; b) al rispetto della regola sull’onere della prova in capo all’attrice Procura, evitando giudizi fondati su presunzioni senza riscontro di singole violazioni imputabili al medico; c) al rispetto della libertà del medico di agire e scegliere secondo scienza e coscienza nel rispetto delle norme e delle prescrizioni della CUF e del Ministero della Salute; d) al riconoscimento di una responsabilità esclusiva o concorrente della ASL per la contestata iperprescrizione per non aver tempestivamente attivato la prescritta procedura di contestazione nei confronti del medico per renderlo edotto del proprio comportamento.

Chiariva la difesa dello Snami che nessuna norma dell’ACN predetto faceva menzione della media delle prescrizioni di tutti i medici della ASL di appartenenza, criterio emerso solo a posteriori e come tale non osservabile ex ante dai medici, e che, anzi, gli art.15-bis e 36 dell’ACN facevano riferimento a criteri di efficacia e appropriatezza degli interventi, e a parametri di scienza e coscienza nella prescrizione dei farmaci. Parimenti il criterio della media non trovava riscontro nell’art. 3, l. n.94 del 1998, che faceva invece riferimento alle indicazioni terapeutiche e modalità di somministrazione previste dalla autorizzazione all’immissione in commercio rilasciata dal Ministero della Sanità. In assenza, dunque, di puntuale indicazione casistica da parte della Procura di condotte dolose o gravemente colpose del medico, lo stesso non poteva essere responsabile del danno ipotizzato, avendo tra l’altro dimostrato che tutte le prescrizioni contestate erano state supportate da rigorosa scelta terapeutica espressiva di scelta discrezionale insindacabile ex art.1, co.1, l. n.20/1994, in quanto espressiva di valutazioni mediche ragionevoli, che non possono ispirarsi ad una eccessiva prudenza dettata da timori di interventi della magistratura che andrebbe a discapito dell’utenza.

Chiariva poi la difesa dello Snami che le residue (rispetto alle iniziali 26) 16 ricette ritenute ingiustificate erano un dato insufficiente a far ritenere ingiustificate tutte le ricette del dr.P. e che comunque il comportamento inerte della ASL di Bergamo nel contestare tempestivamente la iperprescrizione del dr. P. escludeva la colpa grave dello stesso. In via gradata lo Snami chiedeva una riduzione dell’addebito tenuto conto anche della utilitas comunque arrecata con la contestata attività prescrittiva.

All’udienza pubblica del 25.10.2007, su richiesta del Vice Procuratore Generale cui prestavano adesione gli avv.ti Cattaneo e Messuti, la Sezione veniva chiamata a pronunciarsi preliminarmente sulla ammissibilità dell’intervento in causa dello Snami, per poi vagliare in successiva udienza il merito, previa discussione sullo stesso.

Con sentenza 27 dicembre 2007 n.750, la Sezione ammetteva l’intervento adesivo dipendente dello Snami nel presente giudizio.

Con successive ordinanze istruttorie, veniva disposta dal Collegio una CTU, demandata a tre distinti specialisti medici, tesa ad acclarare, a fronte delle discordanti opinioni dei periti di parte, se le prescrizioni farmacologiche in contestazione effettuate dal dr. P. P. fossero da ritenere pertinenti ed appropriate, secondo criteri di ordinaria scienza medica, per la cura delle patologie dei relativi pazienti e se, secondo le ordinarie conoscenze che un medico di medicina generale in convenzione con il SSN deve possedere, le prescrizioni suddette apparissero frutto di scelta ragionevole o fossero invece frutto di grave ed inescusabile ignoranza dei comuni approdi scientifici da parte di medico di medicina generale in ordine alla pertinenza delle cure farmacologiche prescritte rispetto alle patologie acclarate in capo ai pazienti.

All’esito del deposito della CTU, frutto di tre diversi esperti della medicina, e dopo le rideterminazioni da parte della attrice Procura, in idoneo prospetto riassuntivo, delle prescrizioni ritenute non pertinenti, all’udienza del 2.12.2009, udito il relatore, la Procura attrice e i difensori del convenuto e dell’interveniente sviluppavano i rispettivi argomenti.

La causa veniva quindi trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Affermata la giurisdizione contabile sui medici di medicina generale (MMG) delle ASL, in rapporto di convenzione con il SSN e come tali legati da rapporto di servizio con l’amministrazione sanitaria (sul punto v. Cass., sez.un., 18.12.1985 n.6442; id., sez.un., 13.11.1996 n.9957; id., sez.un., 22.11.1999 n.813; id., sez.un., 21.12.1999 n.922; id., sez.un., 2 aprile 2007 n. 8093), la questione al vaglio della Sezione attiene al prospettato danno erariale cagionato da un Medico in convenzione con il SSN derivante da una condotta di prescrizione di farmaci non pertinenti alle patologie dei propri pazienti e da condotta iperprescrittiva di farmaci (con conseguente costo a carico del SSN), per almeno due annualità consecutive e nonostante la costante informazione circa la loro condizione prescrittiva attraverso reports della ASL, a favore dei propri assistiti, particolarmente difforme rispetto alla generalità dei medici operanti nelle rispettive ASL di appartenenza.

Tale danno da erronea prescrizione e da iperprescrizione, all’esito della CTU espletata dalla Sezione, è stato rideterminato dalla istante Procura, con nota dep.ta il 28.7.2009, in euro 4.976,54 (a cui aggiungere euro 3.422,86 per danno da disservizio), che divengono euro 58.383,16 per iperprescrizione in senso lato, secondo il criterio statistico (proporzione) illustrato a pag.2 della suddetta nota 28.7.2009.

2. Sul delicato problema concernente il costo sopportato dal SSN da prescrizioni non pertinenti o eccedenti il necessario, osserva preliminarmente il Collegio che, su un piano generale, la pretesa attorea, ipotizzata anche innanzi ad altre Sezioni giurisdizionali, non è in assoluto priva di ragionevolezza giuridica, in quanto è evidente il legame causale tra l’esborso pecuniario sopportato dal SSN e la condotta negligentemente (o dolosamente) iperprescrittiva o mal prescrittiva di farmaci. Il punto della questione, in concreto, attiene dunque ai criteri e parametri da utilizzare per definire non corretta (ergo illegittima e gravemente colposa) tale attività prescrittiva di un medico “di base”.

La tesi prospettata sul punto dalla attrice Procura si incentra sull’accertamento dei (gravemente) colpevoli scostamenti da parte del dr.P. da soglie ponderate di riferimento e pesature degli assistiti indicate alle pag.2 e 3 della citazione e sulla violazione da parte del convenuto di numerose norme di settore statuenti i limiti alle prescrizioni di medicinali (tra le altre, art. 2 della legge n. 531 del 29.12.1987, art. 4 del d. l.vo 30.12.1992, n. 539 art. 1, co. 4, della legge 8.8.1996, n. 425, art. 3 legge 8 aprile 1998, n. 94, DM 11.7.1988, n. 350, DM 2.8.2001) e, in particolare, dell’Accordo collettivo nazionale reso esecutivo con il dPR 270/2000, che, dopo aver definito, al comma 1 dell’art. 15-bis, il medico di medicina generale come colui che, tra l’altro, “assicura l’appropriatezza nell’utilizzo delle risorse messe a disposizione dalla Azienda per l’erogazione dei livelli essenziali ed appropriati di assistenza…”, all’art. 36 dell’Accordo aggiunge che “la prescrizione dei medicinali avviene, per qualità e per quantità, secondo scienza e coscienza, con le modalità stabilite dalla legislazione vigente nel rispetto del prontuario terapeutico nazionale, così come riclassificato dall’art. 8 della legge 24 dicembre 1993, n. 537”.

Tale condotta iperprescrittiva del dr. P., secondo la Procura, violerebbe altresì l’art. 3 della l.8 aprile 1998 n. 94 il quale dispone che “il medico, nel prescrivere una specialità medicinale o altro medicinale prodotto industrialmente, si attiene alle indicazioni terapeutiche, alle vie e alle modalità di somministrazione previste nell’autorizzazione all’immissione in commercio rilasciata dal Ministero della Sanità” (scheda tecnica ministeriale) e alle regole di “economicità, appropriatezza prescrittivi, efficacia dell’intervento” sottese alle norme in materia.

Orbene osserva il Collegio che la formale violazione di norme di legge, di contratti collettivi, di standard numerici o di medie statistiche, ancorchè ragionevolmente ponderate e pesate, sebbene comporti un esborso per le casse pubbliche, non comprova automaticamente la responsabilità amministrativo-contabile di un pubblico dipendente, pur costituendo detta violazione un indice sintomatico di possibile illiceità comportamentale, dovendosi acclarare, da un lato, se la scelta discrezionale effettuata (in particolare da un medico pubblico in sede di prescrizione di cure e farmaci) risulti, ai sensi dell’art.1, co.1, l. n.20 del 1994, una insindacabile valutazione di merito (sulla sindacabilità da parte di questa Corte della discrezionalità tecnica v. C.conti, sez.Bolzano, 8.4.2009 n.32; id., sez. I app., 12.3.2009 n.158; id., sez.Puglia, 7.11.2006 n.960) e se, dall’altro, tale scelta, ove irragionevole, sia affetta da colpa grave.

Ed invero la peculiarità del caso, che, come altri, spinge la Corte dei Conti ad impingere nella discrezionalità decisionale di un pubblico dipendente (o soggetto equiparato, v. supra punto 1.), è data dalle particolari funzioni svolte dal convenuto, ovvero da un medico, connotate da fisiologici margini di apprezzamento valutativo su diagnosi e cura di malattie. Una valutazione corretta del comportamento prescrittivo di un medico non può inoltre prescindere dalla considerazione del contesto generale e particolare (persino locale) all’interno del quale ha assunto le sue decisioni.

3. Difatti, il paziente vive la presenza di una malattia come una minaccia alla sua integrità psicofisica, per questo si rivolge al medico affinché gli prescriva il miglior trattamento possibile per ottenere una prognosi favorevole. Questa aspirazione lo rende insensibile rispetto alle esigenze di contenimento della spesa che sono alla base della normativa sottesa alla pretesa azionata dalla Procura. Tuttavia, di fronte all’accresciuta attesa di vita e al desiderio che essa sia confortata da una buona qualità dell’esistenza, sia il medico che il paziente devono essere consapevoli del fatto che le risorse disponibili per la sanità sono relativamente limitate. E con tale limite deve ogni scelta medica confrontarsi quotidianamente, alla luce del basilare parametro della appropriatezza.

L’appropriatezza prescrittiva affonda le sue radici nel Codice Deontologico secondo il quale il medico adegua le sue decisioni ai dati scientifici accreditati o alle evidenze metodologicamente fondate, tenendo conto del contesto sociale, organizzativo ed economico in cui opera e, sempre perseguendo il beneficio del paziente secondo i criteri di equità, e considera l’uso appropriato delle risorse. Il medico deve assistere il paziente al meglio delle sue capacità professionali, scevro da ogni condizionamento esterno che comprometta la sua indipendenza e integrità morale per assicurare ai pazienti la cura più appropriata della quale essi necessitano. Il medico sceglie il farmaco indicato per il paziente in base alle sue conoscenze scientifiche e seguendo le regole dell’etica. La decisione prescrittiva del medico matura nell’ambito del processo relazionale intersoggettivo instaurato con il singolo paziente per raggiungere gli scopi clinici desiderati e condivisi che appaiono, pertanto, anche economicamente giustificati.

L’esito della prescrizione non dipende solo dai parametri scientifici o normativi, ma, fatalmente, anche dalla interazione fra il sistema di valori, di sensibilità e di credenze del medico con quelle del paziente, che chiede di non essere considerato come un recettore passivo di prodotti farmaceutici, ma come una persona bisognosa di considerazione umana. Per questo deve essere stabilito un rapporto di comunicazione bidirezionale nella fase di definizione e di gestione successiva della scelta, che ha però alla base una corretta e doverosa diagnosi della patologia da parte del medico.

La terapia farmacologica quindi, ad avviso del Collegio, non è solo scientificamente e clinicamente definita, ma è condizionata anche da elementi culturali e relazionali del medico e dalla personalità del malato, delle condizioni del suo vivere, dalla sua volontà di guarigione e dal suo progetto di vita.

La prescrizione è regolamentata da disposizioni che vincolano il medico di medicina generale (MMG) al rispetto del prontuario terapeutico, delle schede tecniche, delle linee guida, del Percorsi Diagnostici Terapeutici e del tetto di spesa assegnato. Pertanto, il medico, in forza delle sue competenze e abilità tecniche, è coinvolto nella responsabilità della gestione delle risorse della sua comunità e la sua attività prescrittiva assume, in questa dimensione, anche valenze civili, etiche e, come questo giudizio evidenzia, anche giuridiche e di responsabilità (disciplinare, amministrativo-contabile).

La prescrizione di un farmaco è appropriata se la sua efficacia è provata nella specifica indicazione e riconosciuta in scheda tecnica e se i suoi effetti sfavorevoli sono “accettabili” rispetto ai benefici. Queste caratteristiche, che descrivono l’appropriatezza clinica e professionale, devono essere integrate dall’aspetto sanitario e gestionale, che considera anche l’efficacia dell’intervento nelle popolazioni e il “consumo” di risorse che esso comporta. Pertanto, affinché la prescrizione di un farmaco sia appropriata, è necessario che:

a) i benefici attesi o probabili sulla base delle prove di efficacia siano superiori ai possibili effetti negativi e ai disagi derivabili dal suo impiego (rapporto beneficio/rischio favorevole);

b) il costo o l’impiego certo di risorse che ne deriva sia pari o inferiore a quello di altri interventi di pari efficacia o in relazione ai benefici che altre decisioni permetterebbero di conseguire combinando diversamente lo stesso ammontare di risorse;

c) siano rispettate le preferenze e le aspettative del paziente.

Il medico sceglie il farmaco più appropriato tenendo conto dei risultati degli studi clinici e dopo aver valutato se le loro conclusioni sono valide e applicabili alla realtà clinica del singolo paziente, che va correttamente diagnosticata.

Nel trarre questa deduzione, il medico deve integrare i dati della doverosa conoscenza degli approdi della letteratura scientifica con le peculiari caratteristiche dei singoli pazienti, quali l’anamnesi farmacologia, le interazioni farmacologiche, la comorbilità e le politerapie, e deve interagire con la loro idea di vita, con lo stile di vita, i valori, la spiritualità e la storia individuale.

Il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) rimborsa i trattamenti sulla base della dimostrata efficacia in studi clinici e di criteri economici. In altre parole, il SSN sceglie i farmaci che dimostrano un vantaggio su popolazioni selezionate a costi accettabili. Il medico di medicina generale è pertanto chiamato a valutare a norma e a decidere se la soluzione più appropriata per la sanità pubblica è applicabile alla realtà clinica del singolo malato. Se il paziente soddisfa queste caratteristiche, il trattamento è prescrivibile e rimborsabile, e ciò è ritenuto giusto e corretto.

Quando le conclusioni del medico coincidono con le esigenze sanitarie, si realizza l’appropriatezza sia all’interno della relazione medico/malato che della logica beneficio/costo sostenibile. Ma se il medico non identifica nessuna giustificazione per prescrivere a carico del SSN i farmaci che ritiene clinicamente appropriati nel caso di specie, gli viene chiesto di negare la rimborsabilità. In tale evenienza il medico viene messo di fronte al conflitto fra quello che la sua scienza e la sua coscienza gli dettano per bene del paziente e il dettato delle norme che gli vietano la prescrizione. Pertanto, ciò che appare appropriato da un punto di vista strettamente medico, potrebbe essere del tutto inappropriato sul versante economico e della convenienza sociale.

Se il paziente non accetta di caricarsi l’onere dell’acquisto del farmaco, il medico è costretto a rivedere la sua proposta terapeutica ad un livello inferiore di efficacia. Si verifica quindi un conflitto fra gli obblighi etici e professionali e le esigenze di un’economia sanitaria più efficiente. Ad una appropriatezza formalmente ineccepibile corrisponde una possibile lesione del principio dell’equità nell’accesso alle cure.

Pertanto, ad avviso del Collegio, l’appropriatezza non può essere concepita solo entro i confini delle norme che attualmente regolano la prescrivibilità dei farmaci a carico del SSN. Una volontà esterna alla relazione medico/paziente, sebbene fondata su pressanti esigenze proprie della collettività, entra in rotta di collisione con la variabilità biologica e l’unicità e irripetibilità delle caratteristiche di ogni singola persona e finisce per ledere il principio costituzionalmente tutelato del diritto alla salute. Quindi il contenimento dei costi da un lato, la somministrazione della migliore assistenza uguale per tutti e la libertà di scelta del paziente e del medico dall’altro, sono fini che possono entrare in conflitto fra loro.

La variabilità biologica si esprime molto spesso in quadri clinici diversi da quelli dei pazienti valutati negli studi clinici che hanno concorso a definire la rimborsabilità di un farmaco e, spesso, il medico di medicina generale impatta in situazioni nelle quali le prove di efficacia sono troppo fragili o mancano del tutto. La normativa dovrebbe lasciare spazio alla diversità e alla etereogeneità delle popolazioni reali e alla difficoltà di trasferire in modo meccanico la norma e permettere un adattamento di essa alla mutevole condizione clinica, culturale, esistenziale e socio ambientale delle persone.

In conclusione, ritiene il Collegio che, affinché il medico possa assistere il paziente al meglio delle sue capacità professionali, gli deve essere riconosciuto un margine di discrezionalità nella gestione della discrepanza che si può talora verificare fra le condizioni cliniche, la tollerabilità ai trattamenti e le potenziali interazioni farmacologiche secondo le caratteristiche del singolo paziente, per il quale, se appropriato, non è illegittimo prescrivere farmaci anche in deroga apparente alle disposizioni vigenti, ovviamente nei limiti della logica, della ragionevolezza e dei basilari approdi della letteratura scientifica, che devono essere noti anche al medico di base.


4. Alla luce di tale basilare criterio-guida, la Sezione ha incanalato l’istruttoria verso la verifica analitica delle singole prescrizioni del dr. P. oggetto della indagine mirata della Procura contabile e indicate nel prospetto riepilogativo depositato il 30.1.2008 (relativo a 16 casi) e poi rideterminato nel prospetto depositato il 28.7.2009 (relativo a 9 casi), ritenendo insufficiente lo sforamento di parametri statistici e l’asserita inosservanza dei principi normativi per desumerne la colpevolezza iperprescrittiva ipotizzata. Dette violazioni possono condurre alla risoluzione del rapporto tra SSN ed il medico generico o a sanzioni disciplinari (ove, ovviamente, si ravvisi anche la “colpa disciplinare” e non solo la oggettiva violazione di precetti normativi o contrattuali), ma non già l’automatica sussistenza di una gravemente colposa condotta foriera di danno erariale, che va acclarata in concreto e atomisticamente alla luce dei noti parametri per l’individuazione dell’illecito amministrativo-contabile (L.14.1.1994 n.20).

Per economia valutativa, si considereranno, ai fini del decidere, i soli nove casi residui su cui si incentra la conclusiva pretesa attorea nei confronti del convenuto dopo la perizia d’ufficio espletata e schematizzati nella suddetta nota-prospetto depositata dalla Procura il 28.7.2009. A contrario si desume che le deduzioni del convenuto e le conclusioni peritali sui restanti sette casi, originariamente indicati nel precedente prospetto 30.1.2008, abbiano convinto l’istante Procura a desistere dalla propria pretesa.

Orbene la CTU svolta, trasfusa nei tre autorevoli pareri del prof. Giovanni Peretti (professore di ortopedia) dell’11.11.209, del prof.Massimo Colombo (professore di gastroenterologia) coadiuvato dal dr.Guido Ronchi del 7.11.2009, e del prof. Carlo Gelmetti (professore di dermatologia) del 9.6.2009, ha accertato quanto segue:

a) Per il paziente M4, secondo il CTU ortopedico prof.Peretti, la prescrizione del farmaco Coxib, per soggetto affetto da fibromialgia con lombalgia recidivante accertata clinicamente senza prova di radiografia che abbia accertato l’artrosi, è stata corretta da un punto di vista clinico, ma viola la nota CUF 66 che richiede un accertamento radiologico di cui non vi è prova. Ritiene dunque il Collegio che, pur potendo il dr.P. prescrivere detto farmaco, non doveva porlo a carico del SSN con ricettario c.d. rosso, ma doveva utilizzare il ricettario bianco. Tale ingiustificato e gravemente colposo comportamento ha prodotto un danno erariale di euro 114,96.

b) Per il paziente MA5 (affetto da artrosi e reflusso esofageo), secondo il CTU prof.Peretti (in sintonia con il gastroenterologo), la prescrizione del farmaco Coxib con inibitori di pompa è stata corretta, sia come indicazione clinica che come terapia a carico del SSN, anche se la documentazione radiologica dell’artrosi manca ancorché accertata clinicamente con riscontro ritenuto attendibile dal CTU e anche se il reflusso esofageo non sia documentato da esami strumentali. A ciò aggiungasi che, a prescindere dalla tesi difensiva dell’errore di digitazione (nota 1 anziché 48) del puntatore-mouse in fase prescrizionale, il CTU gastroenterologo prof.Colombo ha affermato che l’associazione tra Coxib e inibitori di pompa, sebbene all’epoca dei fatti in contrasto con nota AIFA 66, è stata successivamente superata dalla nota AIFA 1, confermando la bontà terapeutica della suddetta associazione prescritta dal dr.P., circostanza che, ad avviso del Collegio, esclude una colpa grave da palese irragionevolezza prescrittiva.

c) Per il paziente MA6 (affetto da osteoartrosi e da reflusso in esiti di resezione gastrica per ulcera), secondo il CTU prof.Peretti, la prescrizione del farmaco Coxib con inibitori di pompa è stata corretta nonostante la mancanza di diagnosi radiologica dell’artrosi, acclarata solo clinicamente. A ciò aggiungasi che il CTU prof.Colombo ha affermato che l’associazione tra Coxib e inibitori di pompa, sebbene all’epoca dei fatti in contrasto con nota AIFA 66, è stata successivamente superata dalla nota AIFA 1, confermando la bontà terapeutica della suddetta associazione prescritta dal dr.P., circostanza che, ad avviso del Collegio, esclude una colpa grave da palese irragionevolezza prescrittiva.

d) Per il paziente MA9 (affetta da artrosi), secondo il CTU prof.Peretti (in sintonia con il gastroenterologo), la prescrizione del farmaco Coxib con inibitori di pompa è stata corretta sia come indicazione clinica, che come terapia a carico del SSN, anche se la documentazione radiologica dell’artrosi manca ancorché accertata clinicamente con riscontro ritenuto attendibile dal CTU. A ciò aggiungasi che, a prescindere dalla tesi difensiva dell’errore di digitazione (nota 1 anziché 48) del puntatore-mouse in fase prescrizionale, il CTU prof.Colombo ha affermato che l’associazione tra Coxib e inibitori di pompa, sebbene all’epoca dei fatti in contrasto con nota AIFA 66, è stata successivamente superata dalla nota AIFA 1, confermando la bontà terapeutica della suddetta associazione prescritta dal dr.P., circostanza che, ad avviso del Collegio, esclude una colpa grave da palese irragionevolezza prescrittiva.

e) Per il paziente M10, secondo il CTU prof.Peretti la prescrizione di bifosfonati, pur corretta da un punto di vista clinico, non consentiva la prescrizione a carico del SSN in quanto la nota CUF 79 imponeva al medico l’accertamento della riduzione del corpo vertebrale del 15% della sua altezza, evenienza della cui esistenza all’epoca della prescrizione non vi è prova agli atti, né vi è prova di una sua verosimile esistenza. La produzione documentale fatta dal convenuto è ben successiva alla prescrizione e, dunque, non rilevante. Tale gravemente colposa ed irragionevole scelta prescrittiva ha comportato un danno in capo al SSN pari ad euro 1039,38.

f) Per il paziente J1 (affetta da stomatite da candida), il CTU dermatologo prof. Gelmetti ha chiarito che la diagnosi fu clinica e non microscopica (come sarebbe stato preferibile, ma il dr.P. prospetta una indisponibilità a tale esame, pur prescritto, da parte della paziente) e che la terapia con fluconaziolo appare accettabile (ergo non frutto di colpa grave o di scelta discrezionale irragionevole) a fronte di forme gravi della patologia, ma non è condivisibile il ripersi delle prescrizioni (4 cicli) in quanto l’esito non positivo (non guarigione) dopo un primo ciclo avrebbe dovuto indurre ad una verifica della diagnosi iniziale o ad un mutamento di terapia. Tale ultima scelta, dettata da comuni regole di esperienza medica, non fu fatta dal dr.P., a cui il Collegio ritiene dunque di addebitare il costo dei tre cicli successivi al primo, pari ad un importo di euro 329,50 (euro 439,34, per 7 confezioni, diviso 4 x 3). La stessa dichiarazione olografa 21.11.2009 della paziente non evidenzia una guarigione definitiva.

g) Per il paziente J2 (affetta da Tinea Versicolor), il CTU dermatologo prof. Gelmetti ha chiarito che non si evince né la strategia della terapia, né perché non fu impiegata una terapia locale. Il sovradosaggio di fluconazolo in pillole, pari a 5 volte quello che la paziente avrebbe dovuto ingerire secondo la letteratura medica (100 cps in 15 mesi), non risponde per dosaggio e tempistica a quanto stabilito anche per una terapia pulsata. Tale ultima scelta è dunque frutto di gravemente colposa scelta di irragionevolezza prescrittiva del dr.P., a cui il Collegio ritiene dunque di addebitare il costo dei farmaci, pari ad un importo di euro 431,82. La stessa dichiarazione olografa 21.11.2009 della paziente non evidenzia una guarigione definitiva.

h) Per il paziente J3 (affetto da Tinea versicolor diffusa) il CTU dermatologo prof. Gelmetti ha chiarito che la terapia orale, superiore di quattro volte a quella prescritta dalla letteratura scientifica (112 cps rispetto alle 36 cps prescitte dalla migliore scienza medica), non risponde per dosaggio e tempistica a quanto stabilito anche per una terapia pulsata. Tale ultima scelta è dunque frutto di gravemente colposa scelta di irragionevolezza prescrittiva del dr.P., a cui il Collegio ritiene dunque di addebitare il costo dei farmaci, pari ad un importo di euro 638,92. La stessa dichiarazione olografa 21.11.2009 del paziente non evidenzia una guarigione definitiva.

i) Per il paziente J4 (affetta da Tinea Versicolor), il CTU dermatologo prof. Gelmetti ha chiarito che non si evince né la strategia della terapia, né perché non fu impiegata una terapia locale. Il sovradosaggio di fluconazolo in pillole, pari a 5 volte quello che la paziente avrebbe dovuto ingerire secondo la letteratura medica (112 cps in luogo delle 36 suggerite dalla miglior scienza), non risponde per dosaggio e tempistica a quanto stabilito anche per una terapia pulsata. Tale ultima scelta è dunque frutto di gravemente colposa scelta di irragionevolezza prescrittiva del dr.P., a cui il Collegio ritiene dunque di addebitare il costo dei farmaci, pari ad un importo di euro 285,52. La stessa dichiarazione olografa 21.11.2009 della paziente non evidenzia una guarigione definitiva.

5. Tirando le somme di quanto sopra esposto, il danno patrimoniale arrecato dal dr. P. al SSN per le sopra evidenziate erronee o eccessive prescrizioni, ammonta complessivi euro 2.840,1.

Non può aderirsi, per le ragioni sopra esposte, all’ulteriore pretesa attorea di condanna, secondo il criterio statistico da “superamento di medie ponderate” di spesa farmaceutica pro capite nel medesimo bacino di utenza (c.d. “iperprescrizione in senso lato”), al pagamento di euro 58.383,16 (o a minor somma frutto della proporzionale riduzione delle prescrizioni in questa sede acclarate come erronee), in assenza di prova analitica e atomistica di ulteriori specifiche voci di danno frutto di ingiustificate prescrizioni del convenuto. In altre parole, il criterio astratto del danno da “iperprescrizione in senso lato” derivante da superamento di medie ponderate, desumibile da singoli casi di erronee prescrizioni o iperprescrizioni, non può essere seguìto non tanto per la inattendibilità tecnica del criterio o per la sua non previsione normativa (come eccepito dal convenuto e dall’interventore sindacato), ma per la sua astrattezza, logicamente incompatibile con il basilare principio dell’onere della prova (attoreo) alla base di una responsabilità, quella amministrativo-contabile, personale e derivante da comportamenti dannosi storicamente certi e provati con regole etiologico-causali e non desumibili statisticamente. La statistica può, ad avviso del Collegio, appagare lo studioso, o fornire spunti manageriali per interventi gestionali (o normativi) correttivi nel mondo sanitario, o, ancora, offrire spunti di indagine ispettiva e poi giuscontabile occasionati da “campanelli d’allarme” statistici, ma mai per fondare condanne di questa Corte svincolate da un concreto e atomistico riscontro oggettivo di condotte gravemente colpose in relazione a singoli, accertati ed individuati episodi.

Non può, infine, ritenersi computabile il danno da disservizio ipotizzato dalla Procura attrice (euro 3.422,86), consistente nelle spese sostenute dall’Ufficio Farmaeconomia per il controllo analitico delle prescrizioni mediche relative al dr. P., essendo spesa fisiologica per la p.a., rientrante in compiti istituzionali di controllo, che, nella specie, hanno tra l’altro avuto solo un parziale riscontro positivo per la Procura e per il SSN..


A fronte del suddetto danno di euro 2.840,10, ritiene il Collegio di non poter aderire alla pretesa della difesa del convenuto tendente a valorizzare, con portata decurtante su detto importo, il contributo concausale dell’azienda sanitaria, “rea” di una mancata contestazione tempestiva all’attuale convenuto dopo l’invio dei reports, così ingenerando nel dr.P. il convincimento circa la bontà delle proprie prescrizioni anche se sopra la media. Osserva sul punto il Collegio che gli errori diagnostici del convenuto sopra schematizzati ed acclarati dalla CTU sono espressivi di violazioni di basilari conoscenze mediche, che nessun fattore concausale esterno potevano prevenire e correggere se non la doverosa conoscenza da parte del medico di base di comuni approdi della letteratura scientifica in materia. Come rettamente rimarcato da questa Corte in identica fattispecie, “non può ragionevolmente ritenersi che un professionista, dotato della necessaria preparazione scientifica….al momento dell’iscrizione nell’elenco dei medici convenzionati….non sia in grado di determinare responsabilmente la propria attività prescrittiva” (C.conti, sez.Bolzano, 8.4.2009 n.32). Analoghe considerazioni portano ad escludere l’esercizio del potere riduttivo dell’addebito.

In conclusione il convenuto va condannato al pagamento della somma, di euro 2.840,10, oltre rivalutazione dal 2004 (data delle prescrizioni rimborsate) al deposito della sentenza ed interessi legali dal deposito della sentenza al saldo effettivo. Le spese di lite e delle rispettive CT di parte, tenuto conto della complessità della questione sub iudice e dell’esito di parziale accoglimento della domanda e delle eccezioni del convenuto e dell’interventore, possono essere compensate tra le parti, e quelle di CTU (il solo prof Peretti, con notula 11.11.2008 ha chiesto refusione delle competenze, che si liquidano in questa sede in complessivi euro 600, di cui 100 per spese e 500 per onorari, come da relativa tabella compensi per CTU) ripartite equamente in quote eguali tra il convenuto e l’interveniente sindacato (sul quale, sussistendo un acclarato interesse all’intervento ed alla decisione, non può non gravare, pro quota, il costo dell’istruttoria).

P.Q.M.

La Sezione giurisdizionale, definitivamente pronunciando, condanna il convenuto al pagamento della somma di euro 2.840,10 oltre rivalutazione dal 2004 sino al deposito della presente sentenza e su tale somma rivalutata interessi legali da detto deposito sino al saldo effettivo. Compensa tra le parti le spese di lite e di c.t. di parte. Pone i costi della CTU in quote eguali sul convenuto e l’interventore Snami.

Così deciso in Milano, nella camera di consiglio del 2 dicembre 2009.

Il magistrato estensore Il Presidente

Vito Tenore Antonio Vetro

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 8/01/2010

Il Direttore della Segreteria.

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