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Ivabradina (Procoralan/Corlentor): condizioni di utilizzo derivate da una nota informativa EMA/AIFA
Inserito il 27 luglio 2014 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

L’ivabradina è autorizzata per il trattamento sintomatico dell’angina pectoris cronica stabile negli adulti con coronaropatia e normale ritmo sinusale; non è un trattamento di prima linea, ma è indicato negli adulti che non sono in grado di tollerare o che hanno una controindicazione all’uso dei beta-bloccanti, o in associazione ai beta bloccanti nei pazienti non adeguatamente controllati con una dose ottimale di beta
bloccante e la cui frequenza cardiaca a riposo sia > 60 bpm.
L’ivabradina è inoltre indicata nell’insufficienza cardiaca cronica di classe NYHA da II a IV con disfunzione sistolica, in pazienti con ritmo sinusale e la cui frequenza cardiaca a riposo sia ≥ 75 bpm, in associazione con la terapia convenzionale che include il trattamento con un beta-bloccante o nel caso in cui la terapia con un beta-bloccante sia controindicata o non tollerata.


In seguito ai dati preliminari dello studio SIGNIFY, è stata emanata da parte dell’EMA/AIFA una importante nota informativa relativa alle condizioni di utilizzo e ai dosaggi della ivabradina.
Lo studio SIGNIFY è stato condotto in pazienti con coronaropatia senza segni clinici di insufficienza cardiaca. La posologia usata è stata più alta della posologia autorizzata nel RCP di ivabradina (dose iniziale di 7,5 mg b.i.d. (5 mg b.i.d., se l’età > 75 anni) e dose di mantenimento fino a 10 mg b.i.d.).
Nella popolazione totale randomizzata (n=19102), ivabradina non ha modificato significativamente l’endpoint composito primario (PCE) (morte cardiovascolare o infarto miocardico non fatale, IM): hazard ratio 1,08, 95% CI [0,96 – 1,20], p=0.197 (incidenza annuale del 3,03% vs 2,82%). Risultati simili sono stati osservati per le morti cardiovascolari (hazard ratio 1,10, 95% CI [0,94 – 1,28], p=0,249, incidenza annuale del 1,49% vs 1,36%) e per IM non fatale (hazard ratio 1,04, 95% CI [0,90 – 1,21], p=0,602, incidenza annuale del 1,63% vs 1,56%). Non è stato osservato un incremento di morti improvvise e ciò suggerisce l’assenza di un effetto ventricolare pro-aritmico di ivabradina.
Nel sottogruppo pre-specificato di pazienti con angina sintomatica (CCS Classe II o superiore) (n=12049), è stato osservato un aumento statisticamente significativo del PCE: hazard ratio 1,18, 95% CI [1,03 – 1,35], p=0,018 (incidenza annuale del 3,37% vs 2,86%). Un trend simile è stato osservato con i componenti del PCE, con una differenza non statisticamente significativa nel rischio di morti cardiovascolari (hazard ratio 1,16, 95% CI [0,97 – 1,40], p=0,105, incidenza annuale del 1,76% vs 1,51%) e di IM non fatale (hazard ratio 1,18, 95% CI [0,97 – 1,42], p=0,092, incidenza annuale del 1,72% vs 1,47%) tra i due gruppi di trattamento.
In questo studio, l’incidenza di bradicardia (sintomatica e asintomatica) era alta per ivabradina: 17,9% vs 2,1% nel gruppo placebo, con oltre il 30% dei pazienti del gruppo ivabradina che ha riportato almeno una volta una frequenza cardiaca a riposo inferiore a 50 bpm.
L’analisi iniziale indica che gli esiti avversi cardiovascolari possono essere associati alla frequenza cardiaca (HR) target inferiore a 60 bpm; comunque, sono in corso ulteriori valutazioni sui risultati dello studio per comprenderne pienamente le implicazioni sull’utilizzo clinico di ivabradina.

La nota informativa raccomanda:
• I dati iniziali indicano che gli esiti avversi cardiovascolari osservati nello studio SIGNIFY possono essere per lo più associati ad una frequenza cardiaca target inferiore a 60 bpm. Il trattamento deve essere interrotto se la frequenza cardiaca a riposo diventa troppo bassa o se persistono i sintomi di bradicardia.
• La dose iniziale abituale raccomandata di ivabradina è di 5 mg due volte al giorno. La dose di mantenimento non deve superare i 7,5 mg due volte al giorno.
• Se la frequenza cardiaca a riposo si riduce in modo persistente oppure se il paziente riferisce sintomi collegati a bradicardia, la dose deve essere diminuita, considerando anche la possibile dose di 2,5 mg due volte al giorno.
• La dose deve essere aumentata a 7,5 mg due volte al giorno solo dopo tre o quattro settimane di trattamento se la risposta terapeutica con 5 mg due volte al giorno è insufficiente e se la dose da 5 mg è ben tollerata. L’effetto di un aumento della dose sulla frequenza cardiaca deve essere attentamente monitorato.
L’uso combinato di ivabradina con calcioantagonisti che riducono la frequenza cardiaca come verapamil o diltiazem deve essere evitato.
• In corso di trattamento con ivabradina, i pazienti devono essere attentamente monitorati per il possibile verificarsi di frequenze cardiache a riposo troppo basse o sintomi di bradicardia. Se necessario, la terapia dei pazienti attualmente in trattamento con ivabradina deve essere rivalutata.

Fonte:

http://goo.gl/DAQdSG

A cura di Patrizia Iaccarino

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