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I medici e i risultati degli studi di screening oncologici |
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Inserito il 05 agosto 2012 da admin. - oncologia - segnala a:
Uno studio ha valutato l'abilità dei medici a interpretare i risultati degli studi di screening oncologici.
Matematica e statistica, eccezioni a parte, sono poco amate, forse a causa di ricordi non particolarmente felici della scuola. Eppure una conoscenza rudimentale di pochi elementi di statistica, nell'era della evidence based medicine, può aiutare il medico pratico a prendere decisioni più informate e consapevoli.
Uno studio pubblicato dagli Annals of Internal Medicine [1] suggerisce, al contrario, che medici e statistica non vanno molto d'accordo. In particolare i medici intervistati hanno difficoltà a interpretare correttamente i concetti di mortalità e sopravvivenza così come vengono presentati negli studi sugli screening oncologici. Gli autori spiegano che è ovvio ritenere mortalità e sopravvivenza come equivalenti: se in un RCT si arruolano 100 pazienti e alla fine del follow up ne sono morti 10, è la stessa cosa dire che la mortalità è stata del 10% oppure che la sopravvivenza è stata del 90%. Tuttavia questo vale nei trials in cui viene testata una terapia, ma non negli studi di screening oncologici. In questi ultimi quando si parla di sopravvivenza non ci si riferisce alla totalità dei pazienti arruolati ma solo ai pazienti a cui è stata diagnostica la neoplasia oggetto dello studio.
Gli autori hanno chiesto ad un campione di medici quale intervento di screning sia più efficace: se quello che porta la sopravvivenza dal 68% al 99% oppure quello che riduce la mortalità specifica dal 2% a 1,6%. La maggior parte dei medici ha ritenuto più efficace il primo intervento e circa il 50% pensava che l'aumento della sopravvivenza dal 68% al 99% significasse che lo screening salva la vita a 300-310 persone ogni 1000. In realtà i due dati (aumento della sopravvivenza/riduzione della mortalità) si riferiscono ad uno stesso studio sullo screening del cancro della prostata. Per migliorare le conoscenze dei medici gli autori auspicano pertanto una miglior educazione su questi argomenti a partire dalle scuole di medicina. Forse, aggiungiamo noi, sarebbe anche preferibile che i concetti di mortalità e sopravvivenza avessero lo stesso significato in tutti i tipi di studio.
Ci permettiamo, comunque, di proporre un metodo semplificato di interpretazione degli studi.
Ma prima un esempio per spiegare la differenza tra sopravvivenza e mortalità come sono intese negli studi di screening oncologici.
Supponiamo di avere due gruppi di 1000 pazienti ciascuno. Un gruppo viene sottoposto a screening per una data neoplasia (gruppo intervento) mentre un gruppo non viene sottoposto a screening (gruppo controllo). Dopo 10 anni di follow up nel gruppo intervento sono stati diagnosticati 100 casi di neoplasia e ne sono morti 10, nel gruppo controllo le diagnosi di neoplasia sono state 90 e i decessi 70.
Questi risultati si possono esprimere in due modi:
1) si può dire che la sopravvivenza nel gruppo intervento è stata di 90 pazienti su 100 diagnosi (= 90%) mentre nel gruppo controllo è stata di 70 pazienti su 90 diagnosi (= 77%): in altre parole lo screening ha aumentato la sopravvivenza dal 77% al 90%
2) oppure si può dire che la mortalità specifica nel gruppo intervento è stata di 10 su 1000 arruolati (= 1%) mentre nel gruppo controllo è stata di 20 su 1000 (= 2%): in altri termini lo screening ha ridotto la mortalità dell'1% (dal 2% all'1%).
E' evidente che il primo modo di valutare i dati, pur essendo tecnicamente ineccepibile, porta a ritenere l'intervento più efficace, mentre sappiamo che si tratta solo di due facce differenti di una stessa medaglia.
Detto questo veniamo al metodo in tre step che ci sentiamo di proporre ad un medico pratico con poca propensione per i numeri e/o poco tempo a disposizione per approfondire i dati di letteratura.
1) Per prima cosa non perdere tempo a valutare tutte le sottigliezze che si trovano nelle pieghe dello studio, ma andare subito ai numeri che contano: a) quanti erano i pazienti arruolati nel gruppo intervento e quanti hanno avuto l'evento che si vuole evitare (decesso, infarto, ictus, frattura, etc.)? b) quanti erano i pazienti arruolati nel gruppo controllo e quanti hanno avuto l'evento?
2) Una volta che si hanno a disposizione questi semplici numeri basta munirsi di una banale calcolatrice per sapere qual è il rischio assoluto dell'evento nei due gruppi e calcolare così il numero di soggetti che bisogna sottoporre all'intervento per evitare l'evento (così, nel nostro esempio, se ogni 100 soggetti si hanno 2 decessi nel gruppo controllo e 1 decesso nel gruppo intervento sgnifica che basta screenare 100 soggetti per evitare una morte).
3) A questo punto c'è un ulteriore sforzo da compiere: decidere se sia o meno trascurabile la probabilità che la riduzione degli eventi che si è ottenuta sia dovuta al caso. Ci si è accordati per definire trascurabile una probabilità inferiore al 5%. Questa probabilità è definita dal valore di "P". Se il valore di "P" è inferiore a 0,05 significa che la probabilità che il risultato sia dovuto al caso viene, per convenzione, ritenuta trascurabile, per cui il risultato è statisticamente significativo. Al contrario se la "P" ha un valore superiore a 0,05 la probabilità di un risultato casuale è ritenuta troppo elevata per cui il dato deve essere valutato come statisticamente non significativo.
Il metodo è tutto in queste tre semplici mosse, però se qualcuno si sente portato oppure è interessato per l'argomento potrà sempre approfondire come meglio crede tutti i risvolti e tutte le pieghe dello studio in esame.
Purtroppo va detto che non sempre i numeri di cui un medico pratico ha davvero bisogno per interpretare un trial si trovano nell'abstract, per cui è necessario procurarsi il full text, il che non facilita le cose. A questo possono ovviare gli editori della riviste rendendo accessibili questi semplici dati a tutti i lettori, anche a quelli non abbonati, per esempio in un apposito box da affiancare all'abstract. Una proposta simile viene fatta dagli autori dello studio recensito in questa pillola che auspicano che le riviste rendano esplici i limiti delle varie statistiche quando si riferiscono a parametri diversi dalla mortalità.
Renato Rossi
Bibliografia
1. Wegwarth O et al. Do Physicians Understand Cancer Screening Statistics? A National Survey of Primary Care Physicians in the United States. Ann Intern Med. 2012 March 5;156:340-349
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