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Serve ridurre il sale? |
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Inserito il 18 marzo 2012 da admin. - cardiovascolare - segnala a:
Una revisione Cochrane suggerisce che la riduzione generalizzata dell'introito di sodio potrebbe avere effetti benefici minori di quelli finora ipotizzati.
In questa revisione sistematica sono stati selezionati 167 studi in cui i partecipanti erano stati randomizzati ad una dieta a basso contenuto di sodio oppure ad alto contenuto di sodio.
Nei soggetti normotesi si è evidenziato che la riduzione del sodio portava ad una diminuzione della pressione arteriosa sia sistolica (di 1,27 mmHg nei caucasici, di 4,02 mmHg nei neri e di 1,27 mmHg negli asiatici) che diastolica (rispettivamente di 0,05 mmHg, 2,01 mmHg e 1,68 mmHg)
Nei soggetti ipertesi la riduzione della pressione sistolica era di 5,48 mmHg nei caucasici, di 6,44 mmHg nei neri e di 10,21 mmHg negli asiatici, mentre la riduzione della diastolica era rispettivamente di 2,75 mmHg, 2,40 mmHg, 2,60 mmHg.
La riduzione dell'introito di sodio comportava inoltre un aumento significativo della renina, dell'aldosterone, della noradrenalina, dell'adrenalina, del colesterolo e dei trigliceridi.
Fonte: Graudal NA et al. Effects of Low-Sodium Diet vs. High-Sodium Diet on Blood Pressure, Renin, Aldosterone, Catecholamines, Cholesterol, and Triglyceride (Cochrane Review) American Journal of Hypertension (2011); doi:10.1038/ajh.2011.210
Commento di Renato Rossi
Stando ai dati della revsione forse si dovrebbero rivedere le attuali raccomandazioni circa una riduzione del sale nella dieta suggerita per tutti, anche per i soggetti normotesi. In effetti i risultati mostrano che ad una riduzione della pressione arteriosa corrisponde un aumento di alcuni ormoni (renina, aldosterone, noradrenalina e adrenalina), della colesterolemia e della trigliceridemia: questo aumento potrebbe ridurre se non annullare i benefici ottenuti dal calo pressorio. Altre revisioni Cochrane hanno concluso che non ci sono evidenze circa l'effetto della riduzione del sodio su endpoint hard di mortalità e morbilità, sia in soggetti normotesi che ipertesi [1,2].
Insomma le evidenze disponibili non ci permetterebbero di dire se la riduzione del sale abbia un effetto a lungo termine sulla salute positivo, negativo o neutro.
Dobbiamo quindi smettere di consigliare la riduzione del sale ai nostri pazienti?
Probabilmente no, soprattutto se si tratta di ipertesi. Tuttavia riteniamo che si debba far ricorso al vecchio buon senso dei nostri padri: "In medio stat virtus". Infatti dal punto di vista della palatabilità una dieta a contenuto troppo basso di sale potrebbe essere difficile da mantenere a lungo termine. Risultati migliori sulla compliance si possono ottenere con diete meno drastiche, anche se va detto che spesso dopo un certo periodo il paziente spesso si abitua ad una alimentazione con meno sodio.
Referenze
1. Hooper L, Bartlett C, Davey Smith G, Ebrahim S. Advice to reduce dietary salt for prevention of cardiovascular disease. Cochrane Database of Systematic Reviews 2004, Issue 1. Art. No.: CD003656. DOI: 10.1002/14651858.CD003656.pub2 2. Taylor RS, Ashton KE, Moxham T, Hooper L, Ebrahim S. Reduced dietary salt for the prevention of cardiovascular disease. Cochrane Database of Systematic Reviews 2011, Issue 7. Art. No.: CD009217. DOI: 10.1002/14651858.CD009217
Commento di Luca Puccetti
E' singolare che una tale querelle sia sollevata proprio in corrispondenza della divulgazione degli studi della Società Italiana dell'ipertensione sul consumo di sale sia nella popolazione generale che negli ipertesi, rispettivamente studi MINISAL GIRCSI e SIIA. (1) Le conclusioni dello studio MINISAL GIRCSI sono che in Italia nella popolazione generale c'è un consumo di sale molto più alto rispetto a quello raccomandato, che è di 5 gr/die per la popolazione generale e di 3 gr/die per gli ipertesi (2). In particolare gli uomini italiani, in base alla valutazione della sodiuria delle 24 ore, hanno un consumo medio di oltre 11 gr/die e le donne di oltre 9 gr/die. Le regioni con il maggior consumo di sale sono al sud, quelle con il minor consumo al centro. Facendo riferimento ai pazienti ipertesi afferenti ai centri dell'ipertensione, il cosnumo medio è di oltre 9 gr/die per gli uomini ed oltre 8 gr/die per le donne. Chiara Donfrancesco, Luigi Palmieri e Serena Vannucchi del reparto di Epidemiologia delle malattie cerebro e cardiovascolari, Cnesp-Iss hanno recentemente ben sintetizzato la questione (3). La relazione tra ipertensione e malattie cardiovascolari è ben nota e ci sono molte evidenze che un elevato consumo di sale si associa ad un aumento dell'ipertensione. Si tratta sia di studi osservazionali che di intervento. Gli studi epidemiologici Intersalt e Intermap condotti su oltre 10 mila uomini e donne di età 20-59 anni provenienti da 52 campioni di popolazione arruolati in 32 Paesi, hanno evidenziato una stretta relazione esistente tra l’assunzione di sodio, espressa come escrezione nelle urine delle 24 ore, e la pressione arteriosa sistolica.
Nei trial clinici Dash, la pressione sistolica e diastolica diminuiva sia nei soggetti ipertesi che in quelli normotesi con la dieta mediterranea e la riduzione più elevata è stata osservata nel gruppo di persone che avevano anche ridotto il consumo di sale.
Una metanalisi di 20 studi clinici controllati ha dimostrato che una moderata riduzione del consumo di sale (5 grammi) riduce significativamente la pressione arteriosa, sia in pazienti ipertesi che in soggetti normotesi, abbassando di 5,1 mmHg la pressione arteriosa sistolica e di 2,7 mmHg la pressione diastolica nei soggetti ipertesi (4).
Un ulteriore metanalisi (5) di 13 studi prospettici effettuati su 19 coorti appartenenti a 6 diversi Paesi (177.025 partecipanti), con follow up compreso tra 3,5 e 19 anni, che ha valutato 5350 ictus e 5160 eventi coronarici, ha dimostrato che un’elevata assunzione di sale è associata in modo dose-dipendente a un aumento significativo del rischio di ictus (pooled relative risk 1.23, 95% ci 1.06 a 1.43; P=0.007) e di cardiopatie coronariche. (1.14, 0.99 a 1.32; P=0.07).
Feng He e Graham MacGregor hanno risposto alla revisione Cochrane dichiarando che per testare l'ipotesi che il ridurre il consumo di sale non apporti benefici in termini di probabilità di morire o di andare incontro a una malattia cardiovascolare sarebbe necessario un trial su oltre 28 mila persone da sottoporre ad alimentazione a basso o ad alto consumo di sale per almeno 5 anni. Questo tipo di trial, oltre a essere di difficile attuazione, non sarebbe etico, in quanto sottoporrebbe un gruppo di soggetti a un elevato consumo di sale esponendolo per molti anni (6) ad un elevato rischio di insorgenza di tumori dello stomaco (7;8).
In Finlandia dal 1975 si è implementato un programma di riduzione del consumo di sale a livello di popolazione che ha poggiato su etichettature chiare e facilmente riconoscibili, campagne informative e graduale riduzione, concordata con l'industria alimentare, del contenuto di sale negli alimenti. I risultati sono stati notevoli: il consumo medio tra gli adulti finlandesi è diminuito da 12 gr al giorno a 9,3 gr nell’uomo e 6,8 gr per la donna. (9) InInghilterra è stato introdotto un programma di riduzione del sale nel 2003. In quel periodo il consumo medio era di 9,5 gr al giorno, nel 2008 era di 8,6 gr al giorno (10).
Non bisogna dimenticare che circa l'80% del sale viene introdotto con i cibi già preparati e non con quelli cucinati partendo dalle materie prime e che i recettori del sale sono downregolabili per cui chi consuma molto sale è portato a consumarne di più. La salatura industriale eccede di molto le necessità di conservazione e molti dei cibi salati trattengono più acqua e dunque pesano di più, quindi non sono estranee alla questione rilevanti ripercussioni economiche.
In conclusione occorre ricordare che le malattie cardiovascolari sono certamente multifattoriali e che gli studi di popolazione, ma anche quelli di intervento, possono essere inficiati da molti confounders e bias tuttavia una riduzione della pressione arteriosa di pochi millimitri si traduce, a livello di popolazione, in una potenziale grande riduzione degli accidenti cerebrovascolari e che il sale nuoce, se consumato in eccesso, non solo all'apparato vascolare, per cui rimanendo aperta la questione sugli interventi di popolazione, a livello individuale una riduzione del consumo di sale appare comunque consigliabile.
Referenze
1) http://siia.it/i-corsi-minisal-siia-2012/ 2) http://www.who.int/whr/2002/en/ 3) http://www.epicentro.iss.it/focus/cardiovascolare/dibattitoSale.asp 4) He FJ, Mac Gregor GA. Effect of longer-term modest salt reduction on blood pressure. Cochrane Database of Systematic Reviews 2004, Issue 1. Art. No.: CD004937 5) Strazzullo P et al: Bmj 2009;339:b4567 doi:10.1136/bmjb4567 6) FJ He, GA MacGregor: Salt reduction lowers cardiovascular risk: meta-analysis of outcome trials. The Lancet 28 July 2011 7) S Tsugane et al: Salt and salted food intake and subsequent risk of gastric cancer among middle-aged Japanese men and women. British Journal of Cancer. 2004 90:128-134 8) XQ Wang et al: Review of salt consumption and stomach cancer risk: epidemiological and biological evidence. Gastroenterol 2009 15:2204-2213 9) Paturi M, Tapanainen H, Reinivuo H, Pietinen P, eds. Finravinto 2007 -tutkimus – The National FINDIET 2007 Survey. Publications of the National Public Health Institute, B23/2008, 228. 10) Food Standards Agency (2008). An assessment of dietary sodium levels among adults (aged 19-64) in the UK general population in 2008, based on analysis of dietary sodium in 24 hour urine samples. http://www.food.gov.uk/multimedia/pdfs/08sodiumreport.pdf
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