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Uso di Inibitori di Pompa Protonica ed Efficacia Antifratturativa di Alendronato
Inserito il 04 agosto 2011 da admin. - reumatologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

L’uso concomitante di PPI è associato a perdita dose-dipendente della protezione contro le fratture d’anca dell’alendronato in pazienti anziani.



Gli inibitori di pompa protonica (PPI) sono ampiamente usati in pazienti anziani e vengono frequentemente co-somministrati con i bifosfonati orali. Biologicamente i PPI influenzano l’assorbimento di calcio, vitamina B12 , e bifosfonati e potrebbero influenzare la pompa protonica osteoclastica, il che potrebbe interagire con l’efficacia antifratturativa dei bifosfonati. Per di più, i PPI stessi sono stati collegati alle fratture osteoporotiche. Recentemente, i dati provenienti dal Women’s Health Initiative non hanno rivelato effetto significativo della esposizione a PPI sul rischio di frattura d’anca (hazard ratio [HR], 1.47;95% intervallo di confidenza [IC], 1.18-1.82), ma un significativo incremento delle fratture vertebrali, di avambraccio e delle fratture totali. Alcuni studi suggeriscono una relazione causale tra uso di PPI e fratture, altri invece no, o hanno trovato un effetto piccolo.
Partendo da queste premesse, ed ipotizzando che l’uso concomitante di PPI e alendronato fosse associato ad una perdita dose-dipendente di protezione contro la frattura d’anca in pazienti anziani, gli autori del presente lavoro [1] hanno realizzato uno studio aperto di coorte, basato-su-popolazione, derivato da registri nazionali Danesi, di 38.088 nuovi consumatori di alendronato con una durata media di follow-up di 3,5 anni, collegando il rischio di frattura alle recenti registrazioni farmaceutiche di prescrizioni di alendronato.
Sono stati inclusi tutti i pazienti di almeno 35 anni di età che avevano iniziato la terapia con alendronato nel periodo tra gennaio 1996 e dicembre 2005, mai trattati in precedenza con farmaci per l’osteoporosi (modulatori selettivi dei recettori degli estrogeni, bifosfonati, analoghi dell’ormone paratiroideo o stronzio ranelato).
Veniva definita “data indice” la data in cui era stata effettuata la prima prescrizione di alendronato. Sono state identificate tutte le prescrizione di PPI, di antistaminici anti-H2 e di glucocorticoidi orali e sono state definite due finestre di esposizione: 1) uso basale, è stato definito qualunque prescrizione emessa nei 12 mesi precedenti la data indice; 2) uso concomitante, è stato definito qualunque prescrizione effettuata nel corso dei primi 36 mesi di trattamento con alendronato, interrotte dalla rilevazione di fratture o di morte. Tutte le esposizioni ai farmaci sono state espresse in DDD (Defined Daily Doses), come stabilito dalla World Health Organization. 
L’outcome primario dello studio era la frattura dell’anca (del collo femorale o intertrocanterica), quello secondario comprendeva le fratture della colonna vertebrale, dell’avambraccio o dell’omero.

La popolazione in studio era costituita da 6431 maschi e 31657 donne (età media 70,4 anni), con il 30% che aveva avuto precedenti fratture trattate in ospedale. La malattia ulcerosa era stata registrata nel 2,5%. Nei 12 mesi precedenti la data indice, il 26% aveva ricevuto prescrizioni di glicocorticoidi orali, il 5,5% di antistaminic anti-H2 e il 18% di PPI. L’associazione più comune era quella di alendronato con esomeprazolo ed omeprazolo. 2071 persone avevano subito frattura d’anca, mentre 1110 persone una frattura non-osteoporotica (vertebre, avambraccio, omero).

Risultati
Per le fratture dell’anca, l’interazione tra PPI e alendronato è risultata staticamente significativa (p <0,05). La risposta al trattamento associata ad una completa aderenza all’alendronato era di una riduzione del rischio del 39% (hazard ratio [HR], 0.61; 95% intervallo di confidenza [IC], 0.52-0.71; P <001) in pazienti che non utilizzavano PPI, mentre la riduzione del rischio in pazienti che assumevano contemporaneamente PPI non era significativa (19%; HR, 0.81; 95% IC, 0.64-1.01; P=.06). L’attenuazione del rischio era dose ed età dipendente. Invece, non vi è stato impatto significativo con l’uso concomitante di antistaminici anti-H2, mentre una interazione significativa (P=.02) è stata osservata con l’uso di glicocorticoidi orali. La direzione di questa interazione era opposta rispetto a quanto visto con i PPI, stando ad indicare un beneficio maggiore in soggetti esposti ai glicocorticoidi orali. Nei non utilizzatori di glicocorticoidi orali l’effetto dell’alendronato aveva prodotto una HR di 0.67 (95% IC, 0.58-0.78) ed in pazienti esposti ai glicocorticoidi una HR di 0.65 (95% IC, 0.51-0.83).

Limitazioni ammesse dagli autori
Si tratta di uno studio osservazionale, per cui, in mancanza del gruppo placebo, l’effetto dell’alendronato potrebbe essere mascherato dalla relazione tra aderenza e riduzione del rischio di frattura: i soggetti con bassa aderenza potrebbero avere confondenti non valutati rispetto ai soggetti con alta aderenza, producendo una riduzione di rischio addizionale non dovuta al farmaco. La comorbilità dei pazienti utilizzatori di PPI è diversa da quella dei non utilizzatori, per cui potrebbero esservi confondenti non valutati, ad esempio fattori di rischio non scheletrici che determinano la mancata risposta ai bifosfonati. Ma, sostengono gli autori, la relazione causale tra la perdita di efficacia dell’alendronato e l’uso di PPI è supportata dalla relazione dose-risposta, dall’impatto dell’impiego corrente ma non passato dei PPI e dalla mancanza di effetti simili con gli antistaminici anti-H2.
Mancano informazioni relative all’uso di antistaminici anti- H2 non prescritti, che potrebbero mascherare una relazione tra antistaminici anti- H2 e risposta all’alendronato. Di contro, i pazienti potrebbero non aver assunto i farmaci prescritti.

Conclusioni
L’uso concomitante di PPI è associato a perdita dose-dipendente della protezione contro le fratture d’anca dell’alendronato in pazienti anziani. Gli autori sottolineano che si tratta di uno studio osservazionale, per cui non può essere fatta una prova formale di causalità, ma la relazione dose-risposta e la mancanza di impatto dell’uso pregresso di PPI forniscono un terreno ragionevole per scoraggiare l’uso di PPI per il controllo del sanguinamento del tratto gastroenterico superiore in pazienti trattati con bifosfonati orali.  


Insieme allo studio qui riassunto, sullo stesso numero della rivista, è stato pubblicato un altro studio [2], che ha operato un’analisi farmaco epidemiologica di pazienti ricoverati in un centro universitario. Gli autori hanno riscontrato che, sebbene la profilassi con inibitori della secrezione acida gastrica non sia raccomandata per pazienti ospedalizzati, a meno che non si trovino in terapia intensiva, al 59% dei pazienti ospedalizzati è stato prescritto un inibitore della secrezione acida. Anche se da un’analisi propensity score gli autori hanno trovato che il regime acido-soppressivo riduce il sanguinamento GI, il number needed to treat (NNT) è molto elevato: è necessario trattare 770 pazienti per prevenire 1 episodio di sanguinamento GI, un beneficio non sufficiente a pareggiare i costi e gli eventi avversi della terapia acido soppressiva.


Nell’editoriale di accompagnamento [3], Katz, ricordando altri 3 studi pubblicati sulla rivista sui rischi dei PPI, il primo, nel quale si era dimostrato un aumento di incidenza di fratture vertebrali, del braccio e di fratture totali con l’uso dei PPI [4], ed altri due, relativi all’aumento del rischio di infezioni da Clostridium difficile con l’uso dei PPI [5, 6], richiama all’attenzione agli eventi avversi di questi farmaci, soprattutto in base al fatto che dal 53% al 69% delle prescrizioni di PPI risultano, secondo i dati, derivare da indicazioni inappropriate. Ricorda, inoltre, con orgoglio, che dopo la pubblicazione dei citati studi, la FDA ha pubblicato un alert circa l’aumentato rischio di fratture dell’anca, del polso e vertebrali, con l’uso dei PPI ad alte dosi o a lungo termine.
Conclude, però, dicendo che laddove i PPI hanno forti indicazioni di trattamento a lungo termine (come, ad es, prevenzione delle ulcere in pazienti in concomitante terapia antinfiammatoria per artrite reumatoide) essi sono fortemente raccomandati. Tutti i farmaci hanno eventi avversi. Il medico deve ogni volta valutare il rapporto rischio/beneficio per quel paziente, tenendo ben presente le situazioni nelle quali “meno è meglio”.


Fonti

1. Proton pump inhibitor use and the antifracture efficacy of alendronate. Abrahamsen B et al. Arch InternMed 2011; doi:10.1001/archinternmed.2011.20.
2. Acid-Suppressive Medication Use and the Risk for Nosocomial Gastrointestinal Tract Bleeding. Herzig S.J. Arch Intern Med. doi:10.1001/archinternmed.2011.14
3. Opportunities to decrease inappropriate uses of proton pump inhibitors. KatzMH. Arch InternMed 2011; doi:10.1001/archinternmed.2011.21. 
4. Proton Pump Inhibitor Use, Hip Fracture, and Change in Bone Mineral Density in Postmenopausal Women: Results From the Women's Health Initiative
Shelly L. Gray. Arch Intern Med, May 2010; 170: 765 - 771. Gray
5. Iatrogenic Gastric Acid Suppression and the Risk of Nosocomial Clostridium difficile Infection. Michael D. Howell. Arch Intern Med, May 2010; 170: 784 - 790.
6. Proton Pump Inhibitors and Risk for Recurrent Clostridium difficile Infection. Amy Linsky. Arch Intern Med, May 2010; 170: 772 - 778.


Commento di Patrizia Iaccarino

Non possiamo che condividere, pur sottolineando che spesso le prescrizioni inappropriate di farmaci derivano dalla “medicina difensiva” e, pertanto, entrano a far parte di un altro tipo di problematica di ben più complessa risoluzione. L’intera comunità scientifica e politica dovrebbe prendere atto del problema, cercando soluzioni tese a risolvere la pratica della medicina difensiva non solo attraverso la “colpevolizzazione” dei medici circa l’inappropriatezza.



Referenze

1. http://www.pillole.org/public/aspnuke/pdf.asp?print=news&pID=4275





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