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Screening con PSA: lo studio di Göteborg
Inserito il 15 luglio 2010 da admin. - urologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Secondo i risultati dello studio di Göteborg lo screening con PSA dimezza la mortalità da cancro prostatico.



Nel dicembre 1994 ventimila uomini, nati tra il 1930 e il 1944, sono stati randomizzati ad essere invitati allo screening con dosaggio del PSA ogni 2 anni (n = 10.000) oppure a gruppo di controllo non invitato (n = 10.000). L'età media era di 54 anni.
Gli uomini randomizzati al gruppo screening sono stati invitati fino al raggiungimento del limite superiore di età (media 69 anni, range da 67 a 71 anni).
Nei casi in cui il PSA risultava alterato veniva offerta una esplorazione rettale ed una biopsia prostatica.
L'endpoint primario dello studio era la mortalità da cancro prostatico e l'analisi è stata effettuata secondo l'intention to screen.
Lo studio è ancora in corso per gli uomini che non hanno raggiunto il limite superiore di età previsto.
In ogni gruppo sono stati esclusi 48 uomini a causa di morte o emigrazione prima della randomizzazione o per la presenza di cancro prostatico. Pertanto ogni gruppo è risultato compotso da 9952 pazienti.
Nel gruppo screening il 76% ha effettuato il dosaggio del PSA almeno una volta. Il follow up medio è stato di 14 anni. Hanno ricevuto una diagnosi di cancro prostatico 1138 pazienti nel gruppo screenato (incidenza = 12,7%) e 718 nel gruppo controllo (incidenza = 8,2%).
Sono state registrate 44 morti da cancro prostatico nel gruppo screenato e 78 nel gruppo controllo secondo l'analisi del comitato dello studio (secondo i certificati di morte erano rispettivamente 45 e 77): rate ratio 0,56 (0,39-0,82; p = 0,002).
In termini assoluti la riduzione del rischio di morire da cancro prostatico ottenuta con lo screening dopo 14 anni è stata dello 0,40% (da 0,90% del gruppo controllo a 0,50% del gruppo screenato).
Gli autori hanno calcolato che bisogna invitare 293 pazienti e si devono diagnosticare 12 cancri prostatici per evitare un decesso dovuto al cancro stesso.
Essi concludono che lo screening riduce la mortalità da cancro prostatico di circa la metà in 14 anni. Tuttavia il rischio di sovradiagnosi è sostanziale e l'NNT è paragonabile a quello che si osserva nei programmi di screening mammografico. Il beneficio dello screening prostatico può essere paragonato favorevolmente con i programmi di altri screening oncologici.


Fonte:

Hugosson J et al. Mortality results from the Göteborg randomised population-based prostate-cancer screening trial. The Lancet Oncology. Pubblicato anticipatamente online 01 luglio 2010.
DOI:10.1016/S1470-2045(10)70146-7.



Commento di Renato Rossi

Chi scrive è da tempo critico verso gli screening oncologici non sostenuti da robuste prove di efficacia ed in particolare ha sempre affermato che lo screening con il dosaggio del PSA non dovessere entrare a far parte degli screening organizzati prima della pubblicazione dei risultati dei trials in corso, mentre diverso è l'aspetto dello screening opportunistico che può essere offerto al singolo paziente che lo richiede previa informazione adeguata dei pro e dei contro.
Tuttavia i numeri sono numeri con i quali è inutile polemizzare. E lo studio di Göteborg ci dice che lo screening con il PSA riduce la mortalità specifica del 44%.
In un editoriale di accompagnamento [1] si evidenzia che i risultati del Göteborg non sono necessariamente generalizzabili ad altri contesti e ad altre popolazioni dove il dosaggio opportunistico del PSA è prassi comune, a differenza che in Svezia.
Vi sono comunque altre considerazioni che si rendono necessarie.
La prima è che questo RCT è di piccole dimensioni: ha arruolato solo 20.000 uomini, che sono pochi per uno studio di screening.
Inoltre quasi 12.000 pazienti dello studio di Göteborg facevano parte del trial ERSPC, lo studio europeo che aveva dimostrato come lo screening riduca la mortalità da cancro prostatico del 20%: rate ratio 0,80 (95%CI 0,65-0,98; P aggiustata 0,04). Secondo l'ERSPC bisogna screenare 1410 uomini e trattare 48 soggetti per 10 anni per evitare un decesso da cancro prostatico [2].
Come si spiega una differenza così netta nella riduzione della mortalità specifica? Potrebbe dipendere, secondo l'editorialista, dal fatto che il follow up dell' ERSPC era di soli 9 anni. In altre parole i benefici dello screening aumentano con il passare degli anni. In effetti Hugosson e collaboratori sottolineano che nei primi 10 anni del trial i loro risultati erano simili a quelli del più vasto ERSPC. Siccome i benenfici dello screening diventano evidenti dopo molti anni gli autori svedesi mettono in discussione lo screening dopo i 70 anni.
Al contrario dello studio europeo, quello americano, denominato PLCO [2], non aveva evidenziato alcun beneficio dello screening. Secondo l'editorialista questo potrebbe dipendere dal fatto che negli USA viene molto praticato il dosaggio opportunistico del PSA e pertanto l'effetto dello screening può essere stato diluito.
Al di là di questi aspetti metodologici, però, quello che ci sembra più importante è la delicata questione della sovradiagnosi, che anche lo studio di Göteborg evidenzia. Lo screening con PSA scopre molti tumori prostatici indolenti, che non sarebbero mai stati diagnosticati se non si fosse fatto lo screening perchè non sarebbero mai diventati clinicamente aggressivi. Ne consegue che i benefici dello screening hanno il rovescio della medaglia rappresentato dai casi sottoposti a trattamenti non necessari. E, va ricordato, che questi trattamenti (prostatectomia, radioterapia) possono essere gravati da effetti collaterali importanti che influiscono sulla qualità di vita del paziente. La ricerca futura potrebbe mettere a disposizione dei medici dei markers più affidabili che riescono a differenziare le forme aggressive che necessitano di terapie radicali dalle forme indolenti che potrebbero essere trattate solo con follow up. I mezzi attualmente a disposizione per definire un cancro prostatico a basso rischio evolutivo (valori del PSA, score di Gleason, quadro bioptico, etc.) sono probabilmente perfezionabili.
L'editorialista conclude, in ogni caso, che i risultati dello studio di Göteborg non implicano automaticamente che lo screening con PSA debba essere implementato a livello internazionale.
Un aspetto metodologico che quasi sicuramente sarà enfatizzato dai critici dello screening è che in questi trials non si dovrebbe usare come endpoint la mortalità specifica (trattandosi di un outcome soggetto a bias di attribuzione), bensì la mortalità totale, esito non soggetto a distorsioni. La diatriba tra le due correnti di pensiero sicuramente continuerà a lungo.
E il medico pratico? Come dovrebbe comportarsi?.
In attesa che altri RCT in corso e successive metanalisi offrano ulteriori contributi per meglio valutare il problema in tutte le sue sfaccettature, ci sembra che la soluzione sia sempre la solita: discutere con il paziente i benefici ma anche i limiti ed i pericoli insiti nella sovradiagnosi in modo da favorire una decisione consapevole.



Referenze

1. Neal DE. PSA testing for prostate cancer improves survival—but can we do better?
The Lancet Oncology. Pubblicato anticipatamente online 01 luglio 2010.
DOI:10.1016/S1470-2045(10)70152-2
2. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=4554







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