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Linee guida sull'ipertensione: ma ci guidano davvero?
Inserito il 19 settembre 2010 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Una revisione ad opera del CeVEAS di Modena evidenzia come le principali linee guida sull'ipertensione diano raccomandazioni tra loro diverse e talora contrastanti.



Le linee guida sono delle raccomandazioni fornite da società o enti scientifici che dovrebbero aiutare i medici a prendere le migliori decisioni possibili per una determinata condizione morbosa. Requisito indispensabile per una buona linea guida è che le raccomandazioni siano basate su solide prove di letteratura. In molti casi però non esistono evidenze forti e, in questo caso, il panel di esperti ricorre al metodo del consenso. Non c'è nulla di male in questo, purchè sia chiaramente esplicitato che la raccomandazione deriva solo dal parere di esperti, con tutti i limiti che questo comporta. E' evidente infatti che una raccomandazione ha un' importanza ben diversa se deriva dai risultati di studi clinici randomizzati e controllati di buona qualità oppure dal parere di vari esperti che si sono tra loro accordati per comportarsi in un modo piuttosto che in un altro. Per quanto autorevole, un parere rimane pur sempre tale.
In altri casi esistono in letteratura prove deboli, basate per esempio su studi osservazionali o su studi clinici randomizzati e controllati di scarsa qualità metodologica. In questo caso chi stende le linee guida dovrebbe sempre esplicitare che la raccomandazione deriva da prove deboli o di qualità dubbia.
Inoltre, le prove di letteratura vengono interpretate, spesso, dagli esperti in manierà diversa e questo può portare a diversità anche importanti fra le varie linee guida.

Il CeVEAS di Modena [1], per conto del Sistema Nazionale Linee Guida dell'Istituto Superiore di Sanità, ha messo a confronto le principali linee guida sull'ipertensione, una condizione di rischio a forte impatto sociale, economico e sanitario. Ci si aspetterebbe che tali linee guida, pur essendo emanate da società diverse, fornissero raccomandazioni univoche circa i comportamenti da tenere nella gestione dell'ipertensione. Invece si deve constatare che non è così.
Sono state scelte per l'analisi:
1) le linee guida NICE (National Institute of Clinical Excellence), inglesi
2) le linee guida CHEP (Canadian Hypertension Education Program), canadesi
3) linee guida VA/DoD (Department Veterans Administration/Department of Defense), americane
4) linee guida ESH/ESC (Società Europea dell'Ipertensione e Società Europea di Cardiologia)
5) JNC VII (Joint National Commette), americane

La confusione comincia già dalla definizione di ipertensione. In tutte le linee guida si ammette che il limite accettato di 140/90 per definire l'ipertensione è comunque arbitrario (ma necessario a fini pratici). Inoltre tutte concordano nel definire normale una pressione inferiore a 120/80. Diverso è invece l'atteggiamento per i valori intermedi: alcune linee guida non si pronunciano, altre parlano di pressione normale-alta, altre di pre-ipertensione.
Ma ancora più contrastanti sono le raccomandazioni riguardo alla conferma diagnostica di ipertensione, al valore da dare al monitoraggio Holter 24/ore ed al follow up. Per esempio, per il follow up del paziente iperteso, si passa dal raccomandare un controllo della pressione ogni 1-2 mesi ad un controllo una volta all'anno.
Notevole divergenza esiste anche su quando iniziare la terapia farmacologica: per alcune linee guida essa va iniziata se sono confermati valori di pressione > 140/90 mmHg, per altre va valutato il rischio cardiovascolare globale e la terapia va iniziata per valori > 160/100 mmHg se non esistono altri fattori di rischio oppure per valori > 140/90 mmHg in presenza di altri fattori di rischio cardiovascoare.
Il lettore non si aspetti uniformità di vedute neppure quando si tratta di decidere quale/quali farmaci usare come prima scelta. Per alcune linee guida tutti i farmaci antipertensivi sono elegibili come farmaci di primo impiego, altre danno la preferenza ai tiazidici, oppure in alternativa ai calcioantagonisti negli over 55 anni e nei pazienti di razza nera. Per quanto riguarda le associazioni da usare quando la monoterapia non è sufficente, anche qui assistiamo a raccomandazioni diversificate: alcune non esprimono preferenze particolari, altre consigliano di associare in prima istanza al tiazidico l'aceinibitore o il calcioantagonista.
Per i pazienti diabetici esitono raccomandazioni differenti che vanno da nessuna preferenza specifica al consiglio di usare aceinibitori e sartani oppure aceinibitori e tiazidici.
Poco accordo anche per i pazienti con malattia cerebrovascolare: nessuna preferenza oppure solo tiazidici oppure tiazidici e aceinibitori.
Più accordo esiste, invece, per altre indicazioni come per esempio l'iperteso con pregresso infarto miocardico (aceinibitori e betabloccanti), con nefropatia cronica (aceinibitori o sartani), con scompenso cardiaco (betabloccanti, tiazidici, aceinibitori o sartani, spironolattone).

Come si può vedere da questa breve sintesi si potrebbe davvero dire: dimmi quale linea guida segui e ti dirò chi sei.
Ma le linee guida non erano nate per fornire al medico pratico raccomandazioni semplici ed affidabili su come gestire una determinata patologia, al meglio delle evidenze disponibili?
Abbiamo già detto all'inizio di quali possono essere le ragioni che determinano indicazioni così divergenti, ma come può un medico pratico, oberato di lavoro e con poco tempo a disposizione, scegliere la linea guida migliore? Esistono dei sistemi molto complessi, come per esempio il metodo AGREE, che permettono di valutare la qualità di una linea guida e sono stati messi a punto anche sistemti più semplici [2]. Tuttavia anche questi metodi possono essere difficilmente fruibili da un medico "normale", che non abbia uno specifico interesse metodologico per la materia.
Serve poco affidarsi ad una linea guida ritenendola di buona qualità solo per i fatto che è stata emanata da una importante società scientifica. Anzi secondo alcuni [3] bisognerebbe, addirittura, diffidare delle linee guida provenienti da società scientifiche specialistiche.
Una posizione a nostro avviso troppo drastica.
Anche rifarsi alla presenza di conflitto di interessi denunciato dagli autori delle linee guida non esaurisce la materia, in quanto non automaticamente la presenza di tale conflitto indica che la linea guida è di scarsa affidabilità. Per contro la mancanza di conflitti di interesse non è, tout court, garanzia di lavoro ben fatto.
La soluzione, a parere di chi scrive, potrebbe venire da enti indipendenti pluridisciplinari che mettessero a disposizione dei medici valutazioni e giudizi sulla qualità delle linee guida esistenti e sulla lora applicabilità pratica. Quest'ultimo è un aspetto molto importante e spesso trascurato: serve a poco elaborare una linea guida, anche di elevata qualità metodologica, se poi, per fattori ambientali i più disparati, essa non viene trasferita nel mondo reale.
Per esempio in una indagine recentissima [4] si è visto che i medici delle cure primarie non seguono le raccomandazioni delle linee guida sulla lombalgia: tendono ad usare più spesso come farmaci di prima scelta i FANS o gli oppiodi al posto del paracetamolo, non forniscono al paziente adeguato counselling, abbondano troppo nelle richieste di imaging radiologico. Perchè? I medici non conoscono le linee guida sulla lombalgia oppure si tratta di raccomandazioni che trovano barriere insormontabili quando si tratta di applicarle nel paziente di ogni giorno?


Renato Rossi


Referenze

1. Sistema Nazionale per le Linee Guida - Istituto Superiore di sanità.
Linee Guida sul Management dei Pazienti con Ipertensione Arteriosa.
Confronto analitico delle principali raccomandazioni.
A cura di Luca Vignatelli e altri.
2. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=4931
3. Tom Jefferson. Attenti alle bufale. Seconda Edizione, pag. 62. Il Pensiero Scientifico Editore. Febbraio 2006.
4. Williams CM et al. Low Back Pain and Best Practice Care. A Survey of General Practice Physicians.
Arch Intern Med 2010 Feb 8; 170: 271-277






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