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I PPI non influenzano esiti clinici nei pazienti trattati con tienopiridine
Inserito il 21 luglio 2010 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

L’uso di IPP non si associa ad un aumento del rischio di eventi cardiovascolari in pazienti trattati con clopidogrel o prasugrel, anche se solo un RCT potrà stabilire in maniera definitiva le implicazioni cliniche dell’associazione IPP-tienopiridine.

Le tienopiridine clopidogrel e prasugrel sono 2 profarmaci convertiti nei loro metaboliti attivi dal sistema di enzimi del citocromo P450. Questi farmaci sono spesso associati ad inibitori di pompa protonica (IPP) per ridurre il rischio di emorragia gastrointestinale.
Tuttavia, diversi studi hanno ipotizzato che molti IPP (soprattutto l’omeprazolo) potrebbero diminuire l’effetto antiaggregante e di conseguenza l’efficacia clinica del clopidogrel, probabilmente mediante inibizione dell’isoenzima CYP2C19, responsabile della conversione del clopidogrel nel suo metabolita attivo. Dati preliminari di un altro trial sembrano però smentire l’associazione tra uso di IPP in combinazione a clopidogrel ed aumento del rischio di esiti avversi.

Di fronte a dati così contrastanti, diventa difficile stabilire le reali implicazioni cliniche dell’associazione tra IPP e tienopiridine.

Utilizzando i dati di 2 RCT, il PRINCIPLE-TIMI 44 (Wiviott SD et al. Circulation 2007; 116: 2923–32) ed il TRITON-TIMI 38 (Wiviott SD et al. Lancet 2008; 371: 1353–63), è stata effettuata un’analisi per stabilire l’associazione tra uso di IPP, misure di funzionalità piastrinica ed outcome clinici.

Il PRINCIPLE-TIMI 44 ha randomizzato 201 pazienti candidati ad un intervento coronarico percutaneo a ricevere prasugrel (n=102) o clopidogrel ad alte dosi (n=99). L’outcome primario era l’inibizione dell’aggregazione piastrinica valutata a 6 ore mediante LTA (Light Transmission Aggregometry).

Il TRITON-TIMI 38 ha randomizzato 13608 pazienti con sindrome coronarica acuta a ricevere prasugrel (n=6813) o clopidogrel (n=6795). L’outcome primario composito era rappresentato da mortalità cardiovascolare, infarto miocardico o stroke.

In entrambi i trial il ricorso ad IPP era a discrezione del medico. Durante il follow-up, ad ogni visita venivano registrati farmaci concomitanti e durata d’uso. Nel PRINCIPLE-TIMI 44, i pazienti sono stati considerati utilizzatori di IPP se erano in trattamento con questi farmaci al momento della valutazione della funzionalità piastrinica. Nel TRITON-TIMI 38, i pazienti sono stati inseriti nell’analisi primaria se stavano assumendo IPP al momento della randomizzazione.

Dei 201 pazienti arruolati nel PRINCIPLE-TIMI 44, 53 (26,4%) stavano assumendo IPP al momento della randomizzazione. Tra i pazienti randomizzati a ricevere una dose da carico di 600 mg di clopidogrel (n=99), l’inibizione media dell’aggregazione piastrinica è stata significativamente più bassa nei trattati con IPP a 2 h, 6 h e 18–24 h dalla somministrazione di clopidogrel rispetto a quelli che non assumevano IPP. L’inibizione dell’aggregazione non differiva sostanzialmente tra i 2 gruppi a 30 minuti (p=0,98). Dopo 15 giorni di terapia di mantenimento con clopidogrel 150 mg/die, i pazienti che assumevano IPP hanno continuato ad avere una tendenza verso una minore inibizione dell’aggregazione piastrinica rispetto ai non utilizzatori di IPP (media [DS] 29,4% [23,7%] vs 48,8% [17,6%], p=0,06).

Tra i pazienti randomizzati a prasugrel (n=102), l’inibizione media per gli utilizzatori di IPP era significativamente più bassa a 30 minuti dall’assunzione di una dose da carico di 60 mg rispetto ai non utilizzatori. Tuttavia, questa differenza non era significativa in altri momenti della prima giornata di trattamento. Dopo 15 giorni di terapia con prasugrel, l’inibizione piastrinica media era significativamente più bassa per gli utilizzatori di IPP rispetto ai non utilizzatori (48,2% vs 66,5%, p=0,01).

Ventiquattr’ore dopo la dose da carico di 600 mg di clopidogrel, la percentuale di pazienti meno responsivi alle tienopiridine era > 2 volte tra gli utilizzatori di IPP rispetto ai non utilizzatori (50,0% vs 18,2%, p=0,009). Inoltre, dopo 15 giorni di follow-up, la percentuale di pazienti meno responsivi a 150 mg/die di clopidogrel era >6 volte per gli utilizzatori di IPP rispetto ai non utilizzatori (50,0% vs 7,9%, p=0,012). Solo pochi pazienti trattati con prasugrel avevano una risposta inadeguata dopo 24 ore o dopo 15 giorni di follow-up, indipendentemente dall’assunzione di IPP.

Dei 13608 pazienti arruolati nel TRITON-TIMI 38, 4529 (33,3%) assumevano IPP al momento della randomizzazione (1844 prendevano pantoprazolo, 1675 omeprazolo, 613 esomeprazolo, 441 lansoprazolo e 66 rabeprazolo).

Tra i pazienti randomizzati a clopidogrel (n=6795), l’incidenza dell’end point primario durante il follow-up a lungo termine era dell’11,8% per gli utilizzatori di IPP e del 12,2% per i non utilizzatori (HR 0,98; IC 95% 0,84-1,14; p=0,80). Tra i pazienti randomizzati a prasugrel (n=6813), l’incidenza dell’end point primario era del 10,2% per gli utilizzatori di IPP e del 9,7% per i non utilizzatori (1,05; 0,89-1,23; p=0,58). Dopo aggiustamento per i fattori di confondimento e per la tendenza ad assumere IPP, non sono emerse associazioni significative tra uso di IPP e rischio di insorgenza dell’end point primario, sia per i trattati con clopidogrel (0,94; 0,80-1,11; p=0,46) che con prasugrel (1,00; 0,84-1,20; p=0,97). L’uso di IPP, in entrambi i gruppi trattati, non è stato associato ad un aumento del rischio di infarto miocardico, trombosi dello stent o riduzione del rischio di emorragia.

Poiché gli IPP potevano essere assunti od interrotti in qualsiasi momento del follow-up, sono state effettuate delle analisi di sensibilità. L’uso di IPP al momento della randomizzazione non è stato associato ad un aumento del rischio di mortalità cardiovascolare, infarto miocardico o stroke per i pazienti trattati con clopidogrel o prasugrel durante un periodo di follow-up di 3 giorni (rispettivamente 1,00; 0,80-1,27 e1,14; 0,88-1,46) o 30 giorni (rispettivamente, 0,98; 0,80-1,21 e 1,09; 0,87-1,37). Gli IPP non sono stati associati ad un rischio di trombosi precoce dello stent né nel gruppo trattato con clopidogrel (1,17; 0,76-1,81) né in quello trattato con prasugrel (0,76; 0,36-1,61).

Come ulteriore analisi di sensibilità, sono stati confrontati gli utilizzatori di IPP per l’intera durata del follow-up (n=2814) con i soggetti mai esposti a IPP (n=6912), riscontrando che un uso consistente di IPP non si associava ad un aumento del rischio di mortalità cardiovascolare, infarto miocardico o stroke nei pazienti trattati con clopidogrel (1,05; 0,85-1,30) o prasugrel (1,10; 0,88-1,39) rispetto a chi non era mai stati esposto ad IPP.

In un’altra analisi di sensibilità, in cui la popolazione è stata ristretta a chi non aveva interrotto il farmaco in studio, non è stata riscontrata un’associazione significativa tra uso di IPP e rischio di insorgenza dell’end point primario per i trattati con clopidogrel (0,94; 0,80-1,11) o prasugrel (0,99; 0,83-1,19).

Altre analisi hanno riguardato l’effetto di specifici IPP o degli anti-H2.

Non esisteva un’associazione indipendente tra uso di IPP e rischio dell’end point composito nei pazienti randomizzati a clopidogrel o prasugrel nel TRITON-TIMI 38 trial, né tale end point è stato associato all’uso di anti-H2 od IPP al basale nei pazienti randomizzati a clopidogrel (0,80; 0,51-1,26) o prasugrel (0,91; 0,55-1,51).

Non è stata rilevata un’interazione significativa tra uso di IPP, clopidogrel o prasugrel e rischio di mortalità cardiovascolare, infarto miocardico o stroke. Prasugrel era considerevolmente più efficace di clopidogrel nel ridurre l’end point primario negli utilizzatori di IPP (0,85; 0,71-1,01) o che non assumevano IPP al basale (0,80; 0,70-0,90; p per l’interazione=0,57).




I risultati di questo studio contrastano con quelli provenienti da studi osservazionali che avevano evidenziato un aumento del rischio di eventi avversi in pazienti trattati con IPP e clopidogrel, tanto da indurre FDA ed EMEA a pubblicare dei comunicati in merito alla possibile interazione tra IPP e clopidogrel, scoraggiandone l’associazione se non in casi assolutamente necessari.
Due le ipotesi per spiegare l’interferenza degli IPP con l’effetto delle tienopiridine: 1) ridotto assorbimento delle tienopiridine per modifica del pH gastrico; 2) inibizione da parte di molti IPP del CYP2C19, impedendo così la conversione delle tienopiridine nel loro metabolita attivo.

Ad oggi sono comunque pochi i dati a favore di una netta interazione tra uso di IPP e benefici clinici di clopidogrel. In assenza di RCT adeguati, le perplessità sollevate sull’influenza degli IPP potrebbero essere spiegate, almeno in parte, con le differenze nelle comorbidità al basale, indicando l’esistenza di una popolazione a rischio maggiore.


Questa analisi presenta comunque una serie di limiti:

1) in entrambi i trial considerati, l’uso di IPP non era randomizzato, ma a discrezione del medico;

2) l’analisi è stata disegnata post-hoc ed il TRITON-TIMI 38 non era stato specificamente disegnato per valutare l’uso di IPP;

3) l’uso o la sospensione di IPP poteva avvenire in qualsiasi momento del follow-up e la compliance dei singoli pazienti non poteva essere garantita;

4) i sottogruppi analizzati potrebbero non essere stati sufficientemente ampi da evidenziare l’associazione tra IPP e rischio farmacodinamico od outcome clinici;

5) l’analisi non ha evidenziato un rischio maggiore di outcome avversi in presenza di polimorfismi del CYP2C19, utilizzando però solo i dati relativi al TRITON-TIMI 38, in quanto non erano disponibili campioni di DNA per il PRINCIPLE-TIMI 44.

Secondo questa analisi, l’uso di IPP non si associa ad un aumento del rischio di eventi cardiovascolari in pazienti trattati con clopidogrel o prasugrel, anche se solo un RCT potrà stabilire in maniera definitiva le implicazioni cliniche dell’associazione IPP-tienopiridine.


Commento

L’editoriale di accompagnamento sottolinea i 2 risultati principali di questa analisi: il trattamento con IPP attenua l’effetto farmacodinamico di clopidogrel ed in misura minore quello di prasugrel e non influenza l’outcome clinico. Questi risultati valgono per tutti gli IPP analizzati, compresi omeprazolo e pantoprazolo.
Rimangono comunque delle questioni aperte:

1) perché l’influenza negativa degli IPP sugli effetti antiaggreganti di clopidogrel non si traduce in un peggioramento degli outcome clinici?

Probabilmente, la soglia per una rilevanza clinica della minore responsività al clopidogrel è molto più elevata di quanto non possa essere determinato dal trattamento con IPP;

2) un altro problema potrebbe essere dato dall’aderenza al trattamento con tienopiridine; durante un RCT la compliance dei pazienti è molto più alta che non nella pratica quotidiana. I pazienti trattati con IPP potrebbero essere più propensi ad interrompere la terapia antiaggregante per il ripresentarsi di sintomi legati ad essa;

3) perché non è stata riscontrata una maggiore incidenza di eventi ischemici nei pazienti trattati con IPP?

Rispetto ai pazienti coinvolti nei precedenti studi osservazionali, i pazienti del TRITON-TIMI 38 erano più giovani ed avevano meno probabilità di essere affetti da diabete mellito o da insufficienza renale, caratteristiche che potrebbero ridurre la risposta piastrinica al clopidogrel, quindi in loro presenza gli IPP potrebbero influenzare gli outcome clinici.

L’interazione tra IPP e tienopiridine è un dato di fatto dal punto di vista farmacodinamico, ma per gli outcome clinici sembrerebbe essere una condizione irreale per la maggior parte dei pazienti con un profilo di rischio simile a quello dei pazienti arruolati nel TRITON-TIMI 38. Questi pazienti possono essere trattati con IPP e tienopiridine, anche se è necessario prestare cautela quando si prescrivono IPP in pazienti ad alto rischio con una risposta alla tienopiridine intrinsecamente ridotta.

Conflitto di interesse

Daiichi Sankyo ed Eli Lilly hanno sponsorizzato i 2 trial considerati, ma non la presente analisi.

Dottoressa Maria Antonietta Catania

Riferimenti bibliografici

O’Donoghue ML et al. Pharmacodynamic eff ect and clinical effi cacy of clopidogrel and prasugrel with or without a proton-pump inhibitor: an analysis of two randomised trials. Lancet 2009;374:989-97.

Sibbing D, Kastrati A. Risk of combining PPIs with thienopyridines: fact or fiction? Lancet 2009;374:952-4.

Contributo gentilmente concesso dal Centro di Informazione sul Farmaco della Società Italiana di Farmacologia - http://www.sifweb.org/farmaci/info_farmaci.php/



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