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Antipsicotici di seconda generazione ed aspettativa di vita nella schizofrenia
Inserito il 25 aprile 2010 da admin. - psichiatria_psicologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

L’aumentato uso di antipsicotici di seconda generazione rispetto a quelli di prima non ha un effetto negativo sull’aspettativa di vita dei pazienti schizofrenici, con la possibile eccezione di quetiapina e risperidone.

I farmaci antipsicotici, largamente usati nel trattamento dei pazienti schizofrenici, sono ancora oggetto di discussione in merito alla loro potenzialità di aumentare o ridurre la mortalità.
La presenza di una mortalità eccessiva nei soggetti schizofrenici è stata ampiamente discussa sin dalla pubblicazione del report della National Association of State Mental Health Program Directors, secondo cui i pazienti affetti da gravi patologie mentali muoiono in media 25 anni prima rispetto alla popolazione generale e, sebbene i suicidi e le cause non naturali siano responsabili di circa il 40% dell’eccesso di mortalità, il restante 60% delle morti premature è dovuto a cause naturali, come malattie cardiovascolari e polmonari. Negli schizofrenici la mortalità cardiovascolare è aumentata dal 1976 al 1995 (l’incremento maggiore è stato riscontrato tra il 1991 ed il 1995). L’introduzione degli antipsicotici di seconda generazione negli anni ’90 ha fatto ipotizzare un loro coinvolgimento nella mortalità dei pazienti, soprattutto con un aumento del rischio di morti per cause cardiovascolari, tuttavia non ci sono dati a lungo termine che possano aiutare a meglio caratterizzare il profilo rischio/beneficio di questi farmaci.

Per stabilire il contributo a lungo termine degli antipsicotici di seconda generazione sulla mortalità dei pazienti schizofrenici, è stato condotto in Finlandia uno studio di coorte che ha coinvolto tutti i pazienti con diagnosi di schizofrenia nel periodo gennaio 1973-dicembre 2004.

Le informazioni sulla mortalità e sulle cause di decesso sono state ottenute dallo Statistics Finland mentre i dati di prescrizione dalla Social Insurance Institution of Finland, che assicura tutti i residenti finlandesi. La durata del trattamento antipsicotico è stata calcolata in base all’acquisto (sul territorio) per DDD. Sono stati identificati i farmaci più utilizzati di prima generazione (perfenazina orale, tioridazina ed aloperidolo orale) e di seconda generazione (clozapina, olanzapina, risperidone orale e quetiapina) ed i pazienti sono stati suddivisi in gruppi in base alla terapia seguita: pazienti in monoterapia (ulteriormente suddivisi secondo il farmaco usato), politerapia (uso di più farmaci, ma solo nell’ambito dell’uso corrente), pazienti che raramente assumevano farmaci e pazienti che non avevano mai assunto un antipsicotico negli 11 anni di follow-up previsti dallo studio. Ogni paziente poteva rientrare in più categorie di monoterapia, in base alla propria storia clinica. Nell’analisi dell’uso cumulativo, sono state inserite tutte le morti, ma nell’analisi dell’uso corrente i periodi di trattamento ospedaliero sono stati considerati solo fino al secondo giorno (perché non sono disponibili i dati sui farmaci assunti durante il ricovero) e quindi i decessi avvenuti dopo il 2° giorno di ricovero non sono stati considerati. I confronti tra specifici antipsicotici sono stati effettuati utilizzando come farmaco di riferimento la perfenazina (come nello studio CATIE, N Engl J Med 2005; 353: 1209-23). L’outcome primario era la mortalità per tutte le cause durante l’esposizione corrente o cumulativa a qualsiasi antipsicotico verso nessun uso di antipsicotici e l’esposizione corrente o cumulativa ai 6 antipsicotici più usati (tioridazina, aloperidolo orale, clozapina, olanzapina, risperidone orale e quetiapina) vs perfenazina nei pazienti ambulatoriali. L’outcome secondario era dato da decesso per suicidio e per cardiopatia ischemica.

La popolazione in esame era costituita da 66881 pazienti schizofrenici (di cui 36078 donne; età media all’inizio del follow-up 51 anni). La durata media del trattamento ospedaliero è stata < 0,4 anni per i pazienti che non avevano mai usato antipsicotici a livello ambulatoriale (18914) e < 0,3 anni per tutti gli altri pazienti (47967). Negli 11 anni di follow-up, sono state prescritte 156456368 DDD di antipsicotici; la percentuale di antipsicotici di seconda generazione (risperidone, olanzapina, clozapina e quetiapina) è aumentata dal 12,6% nel 1996 al 64,0% nel 2006. Aripiprazolo, sertindolo e ziprasidone hanno rappresentato lo 0,3% di tutte le DDD. Le DDD medie di perfenazina, aloperidolo e tioridazina sono state rispettivamente 0,34, 0,66 e 0,54 in 1996 e 0,35, 0,65 e 0,57 nel 2006. A 20 anni, i pazienti schizofrenici avevano un’aspettativa di vita di 32,5 anni nel 1996, rispetto ai 57,5 della popolazione generale, con una differenza di 25 anni. Nel 2006, la differenza era di 22,5 anni (37,4 anni per i pazienti schizofrenici vs 59,9 nella popolazione generale). Per i pazienti di 40 anni, l’aspettativa di vita differiva di 18,5 anni (1996) e 17,0 anni (2006). L’aspettativa di vita dei pazienti schizofrenici non si è ridotta durante il periodo dello studio rispetto alla popolazione generale. Il rischio complessivo di decesso era più basso (HR aggiustato 0,68, IC 95% 0,65-0,71, p<0,0001) durante l’uso corrente di qualsiasi antipsicotico rispetto al non uso di questi farmaci. Nell’analisi della mortalità per tutte le cause durante specifiche monoterapie vs l’uso di perfenazina, la quetiapina è stata associata al rischio più alto di morte, mentre la clozapina al rischio più basso. L’HR per la mortalità totale è stato di 0,33 (0,25-0,42), quando gli antipsicotici sono stati confrontati con il non uso di farmaci. La clozapina è stata associata ad un rischio sostanzialmente più basso di suicidio rispetto agli altri farmaci, mentre non sono state riscontrate differenze di rilievo nella mortalità per cardiopatia ischemica. Il rischio di decesso era significativamente più basso nei pazienti sottoposti a trattamento antipsicotico a lungo termine (7–11 anni) rispetto a chi non aveva assunto antipsicotici durante il follow-up (HR 0,81, 0,77–0,84; p<0,0001). Nei pazienti con almeno una prescrizione, è stata riscontrata una correlazione inversa tra mortalità e durata dell’uso cumulativo di farmaci antipsicotici (HR per il trend per anno di esposizione 0,991; 0,985–0,997). Non sono stati riscontrati segni di aumento del rischio di morte per cardiopatia ischemica dopo 7–11 anni di esposizione cumulativa a trattamenti antipsicotici. L’HR per la mortalità tra 7 ed 11 anni rispetto all’uso di perfenazina è stato di 0,74 (0,45–1,22) per olanzapina, 0,83 (0,65–1,07) per clozapina, 1,10 (0,91–1,34) per tioridazina, 1,11 (0,88–1,41) per aloperidolo, 1,12 (0,82–1,53) per risperidone e 1,54 (1,04–2,29) per quetiapina (a 3–4 anni). Per il rischio complessivo di decesso, le differenze più rilevanti rispetto a perfenazina sono state riscontrate per clozapina (rischio significativamente più basso nei primi 2 intervalli temporali: 0,68 [0,52–0,90] a 1-2 anni e 0,70 [0,51–0,96] a 2-3 anni) e per aloperidolo (1,30 [1,11–1,52] a 0-0,5 anni, 1,33 [1,05–1,70] a 0,5-1 anni e 1,41 [1,08–1,84] a 3-4 anni) e quetiapina (1,26 [1,03–1,55], a 0-0,5 anni e 1,54 [1,04–2,29] a 3-4 anni).


Secondo questo studio l’aspettativa di vita a 20 anni è aumentata di 2,4 anni nella popolazione generale finlandese e di 4,9 anni nei pazienti schizofrenici, mentre l’uso di antipsicotici di seconda generazione è aumentato dal 13% al 64% nel periodo 1996–2006. Il confronto tra specifici antipsicotici e perfenazina, ha mostrato che l’uso corrente di quetiapina, aloperidolo e risperidone si associa ad un aumento della mortalità (41, 37% e 34%), mentre clozapina ad una riduzione (–26%), suggerendo che l’aumentato uso di antipsicotici di seconda generazione rispetto a quelli di prima non ha un effetto negativo sull’aspettativa di vita dei pazienti schizofrenici, con la possibile eccezione di quetiapina e risperidone.



Commento

I pazienti che sono deceduti prima del gennaio 1996 non son ostati inseriti e quelli che avevano una lunga storia di malattia e di uso di farmaci di prima generazione e che erano ancora vivi nel 1996, rappresentano una coorte di sopravvissuti. Quindi la mortalità dei pazienti trattati con antipsicotici di prima generazione (vs seconda generazione) potrebbe essere sottostimata.
L’uso corrente di più farmaci si è associato ad una moderata mortalità per cardiopatia ischemica, ma non ad una mortalità totale più alta rispetto a quella registrata con la maggior parte dei farmaci assunti in monoterapia. Il prolungamento del QTc non è un potente predittore di rischio di morte durante il trattamento con antipsicotici perché la tioridazina non si associa ad un’alta mortalità complessiva nell’analisi dell’uso corrente. Tuttavia, un accurato monitoraggio dei pazienti che assumono tioridazina potrebbe aver contribuito al conseguimento di una mortalità più bassa. La differenza nella mortalità tra clozapina e gli altri antipsicotici potrebbe riconoscere diverse cause: monitoraggio più accurato durante il trattamento con clozapina, aumentata efficacia della clozapina, minore sicurezza degli altri farmaci o tutti questi fattori insieme. La clopazina, inoltre, è stata associata alla miglior compliance, che nel lungo termine potrebbe portare ad uno stile di vita più sano, compensando gli effetti avversi cardiometabolici della clozapina. L’uso a lungo termine si associa ad una mortalità più bassa rispetto all’uso a breve termine, quindi le condizioni di vita e la malattia potrebbero essere fattori più importanti rispetto agli eventi avversi a lungo termine. Sono comunque necessari più di 11 anni di follow-up per registrare l’eventuale aumento della mortalità cardiovascolare da antipsicotici. I risultati di questo studio sollevano la questione se la clozapina (il cui uso è stato ristretto per motivi di sicurezza) dovrebbe essere usata come prima linea di trattamento. Secondo le raccomandazioni nazionali, la clozapina può essere usata solo dopo 2 tentativi infruttuosi con altri antipsicotici, quindi i pazienti raramente passano dalla clozapina ad altre monoterapie.. Gli autori dello studio ritengono che le restrizioni d’uso di clozapina dovrebbero essere riviste.

Nell’editoriale di accompagnamento allo studio si sottolinea come la clozapina, pur essendo l’antipsicotico di seconda generazione più efficace nelle forme di schizofrenia resistenti al trattamento, si associ ad una serie di eventi avversi gravi, tra cui l’incidenza dell’1% di agranulocitosi potenzialmente fatale. Con una riduzione dei suicidi completati ed una mortalità sostanzialmente più bassa, il rapporto rischio beneficio della clozapina sembra più favorevole rispetto agli altri antipsicotici di seconda generazione. Inoltre, i benefici di un monitoraggio standardizzato sono evidenti. Lo studio di Tiihonen et al. ricorda che gli effetti avversi dei farmaci non sono il solo fattore implicato nell’eccesso di mortalità: i pazienti schizofrenici non sempre beneficiano del sistema sanitario come la popolazione generale e pazienti non adeguatamente seguiti tendono ad avere scarsi risultati in termini di salute.

Conflitto di interesse

lo studio FIN11 è stato finanziato da Ministero della Salute Finlandese.

Dottoressa Maria Abtonietta Catania

Riferimenti bibliografici

Tiihonen J. et al., 11-year follow-up of mortality in patients with schizophrenia: a population-based cohort study (FIN11 study). Lancet 2009; 374: 620-7.

Chwastiak L.A. & Tek C. The unchanging mortality gap for people with schizophrenia. Lancet 2009; 374: 590-2.

Contributo gentilmente concesso dal Centro di Informazione sul Farmaco della Società Italiana di Farmacologia - http://www.sifweb.org/farmaci/info_farmaci.php/

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