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Trattare aggressivamente la pressione sistolica nei non diabetici?
Inserito il 22 agosto 2009 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Lo studio Cardio-Sis dimostra che un trattamento aggressivo della pressione arteriosa sistolica riduce il rischio di comparsa di ipertrofia ventricolare sinistra in ipertesi non diabetici.



Questo studio italiano ha voluto verificare l'ipotesi che il controllo aggressivo della pressione arteriosa sistolica, rispetto al controllo standard, è utile nei soggetti non diabetici.
Sono stati arruolati 1.111 ipertesi non diabetici con una pressione sistolica di 150 mmHg o più, randomizzati ad ottenere valori inferiori a 140 mmHg (n=553) oppure inferiori a 130 mmHg (n=558).
I farmaci antipertensivi erano usati in aperto per ottenere il target pressorio cui il paziente era stato randomizzato, mentre la lettura degli elettrocardiogrammi avveniva in cieco. End-point primario era la comparsa di ipertrofia ventricolare sinistra a due anni.
Al termine dello studio la pressione sistolica e diastolica risultarono ridotte, in media, rispettivamente di 23,5 e 8,9 mmHg nel gruppo controllo e di 27,3 e 10,4 mmHg nel gruppo controllo intensivo.
L'end-point primario si verificò in 82 su 483 pazienti del gruppo terapia usuale (17%) e in 55 su 484 del gruppo terapia intensiva (11,4%).
L'end-point composto cardiovascolare si verificò rispettivamente in 52 pazienti (9,4%) e in 27 pazienti (4,8%) per una hazard ratio di 0,50 (95%CI 0,31-0,79).
Gli effetti collaterali furono rari e non differivano significativamente tra i due gruppi.
Gli autori concludono che il loro studio consiglia di raggiungere valori di pressione sistolica più bassi di quanto raccomandato negli ipertesi non diabetici.


Fonte:

Verdecchia P et al on behalf of the Cardio-Sis investigators. Usual versus tight control of systolic blood pressure in non-diabetic patients with hypertension (Cardio-Sis): an open-label randomised trial
Lancet 2009 Aug 15; 374:525-533


Commento di Renato Rossi

E' appena stata pubblicata una revisione Cochrane secondo la quale non vi sono prove che arrivare a valori di pressione arteriosa inferiori a 140/90 mmHg porti ad una riduzione della mortalità e della morbidità, neppure nei diabetici e nei nefropatici [1].
Gli autori del trial denominato Cardio-Sis sostengono invece che i loro risultati dovrebbe portare a ridurre il target attualmente raccomandato dalle linee guida per la pressione arteriosa negli ipertesi non diabetici. Un editorialista conclude che i dati del trial effettivamente vanno in questo senso, tuttavia necessitano ulteriori studi prima di cambiare le linee guida per gli ipertesi a basso rischio [2].
In realtà lo studio italiano è inadatto a rispondere alla domanda se in questo tipo di pazienti sia preferibile una pressione sistolica inferiore a 130 mmHg. Infatti l'end-point primario dello studio era la comparsa di ipertrofia ventricolare sinistra: si tratta di un outcome surrogato che, per quanto importante, non può sostituirsi ad esiti hard clinicamente più importanti. La riduzione degli eventi cardiovascolari del 50% osservata nel gruppo intervento era un end-point secondario e, come si è ripetuto più volte, un RCT non può essere interpretato basandosi su quanto riscontrato per questo tipo di end-point. Non toglie che studi futuri potrebbero dimostrare l'utilità di un approccio terapeutico più
aggressivo anche negli ipertesi non diabetici. Devono però essere studi con adeguata potenza statistica e con end-point primari clinicamente rilevanti. Rimane poi il problema della effettiva trasferibilità di tali risultati nella pratica, stante la difficoltà di ottenere, nel paziente ambulatoriale, una compliance ottimale ai trattamenti prescritti, soprattutto se di tratta di terapie polifarmacologici che devono essere assunte per tutta la vita.


Referenze

1. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=4736
2. Carlberg B. Time to lower treatment BP targets for hypertension? Lancet 2009 Aug 15; 374:503-504



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