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Nello scompenso il betabloccante funziona quando riduce la frequenza cardiaca
Inserito il 07 aprile 2010 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Esiste una correlazione di tipo quantitativo tra la riduzione della frequenza cardiaca e i benefici sulla sopravvivenza, e che tale correlazione sembra essere un fattore predittivo degli esiti più importante del dosaggio dei beta-bloccanti.

Diversi RCT hanno dimostrato i benefici dei beta-bloccanti nell’insufficienza cardiaca. Tuttavia, non è chiaro se tali vantaggi siano correlati al grado di riduzione della frequenza cardiaca o alla dose somministrata. Ciò è particolarmente importante in quanto gli effetti avversi dei beta-bloccanti sono dose-dipendenti. Sebbene le linee guida raccomandino di aumentare gradualmente la dose di beta-bloccanti fino alla dose target utilizzata negli studi clinici, è stato osservato che solo alcuni pazienti raggiungono tali dosi in ambiti diversi dai centri specializzati.

L’obiettivo di questa metanalisi è stato quello di esaminare l’eterogeneità tra gli studi nei trial condotti su pazienti con insufficienza cardiaca trattati con beta-bloccanti. In particolare è stato valutato se la dose di beta-bloccanti o l’entità della riduzione della frequenza cardiaca potessero giustificare le differenze tra i diversi studi negli effetti del trattamento.

La ricerca bibliografica è stata effettuata su MEDLINE (1966-2008), EMBASE (1980-2008), CINAHL (1982-2008), SIGLE (1980-2008), Web of Science e Cochrane Central Register of Controlled Trials, senza restrizioni di lingua, ma limitandosi ai trial clinici e agli RCT. Inoltre, sono stati inclusi i riferimenti bibliografici degli studi identificati, le metanalisi recenti sui beta-bloccanti impiegati nell’insufficienza cardiaca e le linee guida.
Sono stati selezionati tutti gli studi che riportavano l’effetto dei beta-bloccanti sulla mortalità da tutte le cause in pazienti con insufficienza cardiaca. Sono stati esclusi gli studi pubblicati solo come abstract, che non riportavano dati sulla mortalità, della durata <1 mese o che hanno arruolato <50 pazienti.
È stata considerata solo la valutazione degli outcome secondo l’analisi intention-to-treat piuttosto che per-protocol, in modo da evitare i bias derivanti dall’esclusione di pazienti per drop-out, interruzione dello studio o mancata adesione al trattamento.

Su 23 RCT inclusi nella metanalisi, 3 hanno riportato i dati in funzione della dose di beta-bloccanti nei diversi sottogruppi. In assenza di dati sulla frequenza cardiaca, 4 studi sono stati esclusi.
Tutti i trial tranne 2 erano limitati a pazienti con disfunzione sistolica e solo il 4% dei pazienti presentava una funzione sistolica preservata. Due trial hanno arruolato solo pazienti con insufficienza cardiaca non ischemica, mentre in altri 2 sono stati inclusi solo soggetti con cardiomiopatia ischemica; negli altri studi la frequenza di cardiopatia ischemica variava dal 27% al 90%, con una mediana del 59%.

Oltre alla terapia standard per l’insufficienza cardiaca, eccetto i beta-bloccanti, il gruppo di controllo ha ricevuto placebo in tutti i trial tranne che in 2 nei quali venivano somministrati ACE-inibitori. L’uso di ACE-inibitori (mediana 93%) e di digossina (mediana 75%) era elevato.
Il valore medio della frazione di eiezione ventricolare sinistra (LVEF) variava da 0,17 a 0,36 (mediana 0,24) e, in tutti i trial tranne uno, la LVEF media era <0,30. Pochi trial hanno riportato le patologie concomitanti (12-35% dei partecipanti era affetto da fibrillazione atriale e il 12-36% da diabete mellito). Al basale la maggior parte dei pazienti aveva sintomi di classe III o IV in base alla classificazione NYHA (mediana 54%).
La maggior parte dei trial aveva una durata relativamente breve e solo 6 hanno seguito i pazienti per >12 mesi.
In 15 trial non sono state effettuate analisi per sottogruppi mentre in 8 erano riportate (insufficienza cardiaca ischemica versus non ischemica; classificazione NYHA, età, sesso o etnia; patologie o condizioni concomitanti come diabete, ipertensione, fumo o nefropatia cronica).
Anche se alcuni studi hanno riportato un trend non statisticamente significativo verso un maggiore beneficio sulla sopravvivenza associato a beta-bloccanti in pazienti con LVEF inferiore, tali risultati non erano consistenti.

Su 23 trial, 4 hanno riportato una differenza statisticamente significativa nella mortalità tra pazienti che hanno ricevuto beta-bloccanti vs placebo. Per tutti i 23 trial (19.209 pazienti), l’RR era pari a 0,76 (0,68-0,84; p=0,09).

Valutando ogni beta-bloccante separatamente, è stato evidenziato che la scelta del farmaco era associata all’entità del beneficio sulla sopravvivenza. Ad esempio, i pazienti trattati con bucindololo presentavano un beneficio inferiore del 36% (9-69%; p=0,009) rispetto al carvedilolo (RR nei confronti contro placebo, rispettivamente, 0,91 vs 0,66; 0,82-1,02 vs 0,51-0,87). Con altri farmaci, non sono state osservate differenze statisticamente significative rispetto al carvedilolo (p=0,85 vs metoprololo, 0,68 vs bisoprololo; 0,83 vs atenololo; 0,056 vs nebivololo).
Tuttavia, anche se rispetto al placebo, metoprololo, carvedilolo e bisoprololo erano associati ad una riduzione statisticamente significativa della mortalità, i dati erano inconclusivi per nebivololo e atenololo.

L’associazione tra riduzione della frequenza cardiaca e benefici dovuti al blocco dei recettori beta è stata confermata utilizzando la riduzione della frequenza cardiaca come variabile lineare nella meta-regressione (p=0,006) che ha evidenziato che per ogni riduzione della frequenza cardiaca pari a 5 battiti/minuto, il rischio relativo di decesso diminuiva del 18% (6-29%).
Anche considerando alcune variabili (sesso, età, ischemia, LVEF basale, uso di digossina, fibrillazione atriale e dose del beta-bloccante), l’associazione tra grado di riduzione della frequenza cardiaca e beneficio associato ai beta-bloccanti era sovrapponibile, mantenendosi statisticamente significativa (p=0,025).
Infine, non è stata osservata una correlazione statisticamente significativa tra dose raggiunta del beta-bloccante e riduzione della mortalità da tutte le cause (p=0,69). Il valore di RR per la mortalità era pari a 0,74 (0,64-0,86) nei 15 trial in cui i pazienti stavano ricevendo dosi elevate di beta-bloccanti (50% della dose target di beta-bloccanti raccomandata nelle linee guida) e a 0,78 (0,63-0,96) nei 7 trial in cui i pazienti stavano ricevendo basse dosi di beta-bloccanti. In 1 trial la dose di beta-bloccanti non è stata riportata.


In pazienti con insufficienza cardiaca, i beta-bloccanti hanno ridotto la mortalità di circa il 25%.
I benefici associati a carvedilolo, bisoprololo e metoprololo sembravano simili. Non si dispone di dati conclusivi, invece, per atenololo, bucindololo e nebivololo.
La metanalisi ha dimostrato, quindi, che esiste una correlazione di tipo quantitativo tra la riduzione della frequenza cardiaca e i benefici sulla sopravvivenza, e che tale correlazione sembra essere un fattore predittivo degli esiti più importante del dosaggio dei beta-bloccanti.


Commento

Questi risultati sono coerenti con quelli dello studio BEAUTIFUL (Fox K et al. Lancet 2008; 372: 817-21), che ha riportato un aumento dell’8% della mortalità cardiovascolare e del 16% dei ricoveri per insufficienza cardiaca per ogni aumento della frequenza cardiaca pari a 5 battiti/minuto in pazienti con disfunzione del ventricolo sinistro di natura ischemica.

Tuttavia, la metanalisi presenta alcuni limiti. Innanzitutto, la valutazione è stata ristretta alla misurazione di frequenze cardiache a riposo al basale e dopo la fase di aumento graduale della dose di farmaco, poiché questi erano i parametri più spesso riportati. È innegabile che la misurazione della frequenza cardiaca dopo attività fisica o nelle 24 ore avrebbe fornito una valutazione più accurata.
In secondo luogo, poichè la maggior parte di questi trial non ha riportato la causa del decesso, non è stato possibile valutare l’effetto dei beta-bloccanti sulla morte cardiovascolare e in particolare sul rapporto tra morte cardiaca improvvisa e morte da insufficienza cardiaca progressiva.
In terzo luogo, poichè tutti questi trial hanno escluso pazienti con bradicardia al basale e mancando dati su pazienti con fibrillazione atriale o disfunzione diastolica, non si possono trarre conclusioni certe in questi importanti sottogruppi di pazienti.


La metanalisi ha evidenziato che i benefici sulla sopravvivenza determinati dai beta-bloccanti sono stati associati in misura statisticamente significativa all’entità della riduzione della frequenza cardiaca e non alla dose somministrata.
Resta da chiarire se l’aumento graduale della dose, fino al raggiungimento di quella target utilizzata negli studi, aggiunge ulteriori benefici nei casi in cui la riduzione della frequenza cardiaca venga ottenuta a dosi inferiori e se è opportuno superare la dose target quando la riduzione della frequenza cardiaca è minima.



Conflitto di interesse

Nessuno dichiarato.

Dottoressa Alessandra Russo

Riferimento bibliografico

McAlister FA et al. Meta-analysis: ß-blocker dose, heart rate reduction, and death in patients with heart failure. Ann Intern Med 2009; 150: 784-94.

Contributo gentilmente concesso dal Centro di Informazione sul Farmaco della Società Italiana di Farmacologia - http://www.sifweb.org/farmaci/info_farmaci.php/

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