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La più ampia metanalisi conferma: l'importante è abbassare la pressione
Inserito il 31 marzo 2010 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Ridurre la pressione sistolica di 10 mmHg o diastolica di 5 mmHg, utilizzando una qualunque delle principali classi di antipertensivi, riduce gli eventi coronarici fatali e non fatali e lo scompenso cardiaco di circa un quarto e lo stroke di circa un terzo, a prescindere dalla presenza o meno di comorbidità vascolari o dai livelli di pressione arteriosa all’inclusione dei pazienti negli studi.

L’incertezza in merito alla scelta terapeutica più appropriata tra i diversi farmaci antipertensivi disponibili può essere esplicitata dai cinque quesiti oggetto di questa metanalisi:

1) i beta-bloccanti offrono vantaggi rispetto agli altri antipertensivi nella prevenzione della cardiopatia coronarica in pazienti con storia positiva per questa patologia?

2) L’effetto degli antipertensivi nella prevenzione della cardiopatia coronarica e dello stroke è differente nei pazienti con storia positiva per patologie cardiovascolari rispetto a quelli con storia negativa?

3) Può la sola riduzione della pressione arteriosa spiegare l’effetto degli antipertensivi nella prevenzione della cardiopatia coronarica e dello stroke?

4) Gli antipertensivi dovrebbero essere utilizzati solo nei pazienti con elevati valori pressori o anche in quelli a rischio cardiovascolare ma con valori pressori nella norma?

5) Esistono differenze relative a mono e politerapia, dosaggio del farmaco ed età del paziente nella riduzione dei valori pressori e nella prevenzione della cardiopatia coronarica e dello stroke?


Gli autori di questo studio hanno dato risposta a queste domande grazie ai risultati provenienti da una metanalisi di 147 trial clinici randomizzati che hanno valutato la correlazione tra pressione arteriosa e cardiopatia coronarica (22000 eventi) e stroke (12000 eventi). Tali studi sono stati esaminati considerando il contesto clinico emerso da un’ampia metanalisi di studi prospettici di coorte che valutavano la medesima correlazione (Prospective Studies Collaboration. Lancet 2002;360:1903-13).

Gli studi sono stati individuati grazie ad una revisione sistematica di trial clinici randomizzati pubblicati tra il 1996 ed il 2007. Sono stati esclusi tutti gli studi che riportassero meno di 5 eventi di cardiopatia coronarica, quelli effettuati in pazienti con insufficienza renale o che assumevano farmaci anticolesterolemici e gli studi che includevano pazienti con un alto grado di compromissione cardiovascolare, dal momento che in questi ultimi lo schema terapeutico può essere variabile e dunque non standardizzabile.

Sono stati estratti i dati di tutti i pazienti con >=1 eventi coronarici (infarto del miocardio non fatale, morte cardiaca improvvisa) manifesti e dei pazienti con >=1 stroke (sia emorragico che ischemico). Inoltre, sono stati estratti i dati dei pazienti con nuova diagnosi di scompenso cardiaco o con esacerbazione dello stesso che ne aveva causato l’ospedalizzazione o la morte.

I trial sono stati suddivisi in tre categorie in base alle caratteristiche cliniche dei pazienti:

1) storia negativa per patologie vascolari, in cui normalmente i pazienti hanno elevati livelli pressori e sono trattati allo scopo di ridurre la pressione, inizialmente con un solo farmaco del quale normalmente viene aumentata la dose oppure viene associato un altro antipertensivo.

2) Pazienti con storia positiva per cardiopatia coronarica (inclusi infarto acuto del miocardio, malattia coronarica senza recenti segni di infarto, scompenso cardiaco), in cui i pazienti vengono normalmente arruolati a prescindere dai livelli pressori e sono trattati con un farmaco predefinito a dose fissa, che varia solo in presenza di eventuali effetti indesiderati.

3) Pazienti con storia positiva per stroke (o per altre patologie cerebrovascolari), la maggior parte dei quali segue o un trattamento legato all’obbiettivo o un trattamento con un farmaco specifico.

Inoltre gli studi sono stati differenziati in quelli che valutavano la differenza dei livelli di pressione arteriosa e quelli impostati come trial di confronto d’efficacia tra due diversi antipertensivi.

Complessivamente, 147 trial sono stati inclusi nell’analisi (108 valutavano la differenza dei livelli di pressione arteriosa, 46 erano trial di confronto, 7 appartenevano ad entrambe le categorie).

I beta-bloccanti offrono vantaggi rispetto agli altri antipertensivi nella prevenzione delle cardiopatia coronarica in pazienti con storia positiva per questa patologia?

Trial disegnati per valutare i differenti livelli di pressione arteriosa

Nei pazienti con storia positiva per cardiopatia coronarica (37 studi), i beta bloccanti hanno ridotto del 29% (RR 0.71; 95% IC 0.66-0.78) l’incidenza di eventi coronarici. Questa riduzione è stata significativa (p<0,001) rispetto al 15% di riduzione di tali eventi in pazienti con storia negativa per coronaropatie.
Tale effetto era particolarmente rilevante in 27 trial che hanno reclutato pazienti con storia recente di infarto del miocardio (range 1-4 mesi), che mostravano una riduzione del rischio del 31% (0.69; 0.62-0.76). La durata del follow-up era comunque relativamente breve e quasi tutti gli eventi registrati (94%) si sono manifestati nei due anni successivi al primo evento. Gli altri trial, su pazienti con infarto avvenuto molti anni prima dello studio, hanno mostrato una riduzione del rischio del 13% (0.87; 0.71-1.06), significativamente inferiore rispetto ai pazienti con storia recente (p=0,04). Tale riduzione del 13% era simile alla riduzione del 15% che si è verificata con gli altri antipertensivi.
Dunque, i beta-bloccanti usati nei primi due anni dall’infarto del miocardio presentano un’efficacia doppia nel prevenire un secondo evento coronarico in pazienti con storia recente di infarto del miocardio sia rispetto ai beta-bloccanti assunti in altre circostanze che ad altri antipertensivi.

Trial di confronto

I quattro trial di confronto nei quali i beta-bloccanti erano somministrati a pazienti con cardiopatia coronarica (ma senza infarto recente), hanno mostrato l’assenza di un particolare effetto protettivo rispetto agli altri farmaci (0.99, 0.82-1.20).

L’effetto degli antipertensivi nella prevenzione di cardiopatia coronarica e stroke è differente nei pazienti con storia positiva per patologie cardiovascolari rispetto a quelli con storia negativa?

Il rischio relativo di cardiopatia coronarica e stroke era simile sia in pazienti con storia positiva che negativa, sia nei trial disegnati per valutare i livelli di pressione arteriosa che in quelli di confronto.

Può la sola riduzione della pressione arteriosa spiegare l’effetto degli antipertensivi nella prevenzione di cardiopatia coronarica e stroke?

Trial disegnati per valutare i differenti livelli di pressione arteriosa

La stima del rischio relativo per una riduzione di 10 mmHg dei valori sistolici e di 5 mmHg di quelli diastolici in pazienti di 60-69 anni era del 22% (17-27%) per la cardiopatia coronarica e del 41% (33-48%) per lo stroke.
Questi risultati sono simili a quelli della metanalisi di studi di coorte (25% e 36% per la cardiopatia coronarica e per lo stroke, rispettivamente; Prospective Studies Collaboration. Lancet 2002;360:1903-13). Dopo solo un anno di follow-up la riduzione del rischio di cardiopatia coronarica era del 20% (9-29%) e del 32% (18-44%) per lo stroke.

Risultati molto simili derivano dagli studi clinici a lungo termine (22% e 41% per cardiopatia coronarica e stroke rispettivamente), così come dalla metanalisi di studi di coorte (25% e 36%). Le cinque classi di farmaci analizzati riducevano il rischio di cardiopatia coronarica in modo simile, ad eccezione dei sartani, ancora poco studiati su questo outcome. Inoltre, i beta-bloccanti riducevano il rischio di stroke in misura minore rispetto agli altri farmaci (17% vs 29%, p=0.03).

Trial di confronto

I dati ricavati da questi trial non evidenziavano nessuna differenza tra le classi di farmaci studiate, ad eccezione degli studi con tiazidici ad alte dosi. In tali studi, il rischio di morte improvvisa nei pazienti trattati con tiazidici ad alte dosi rispetto ai farmaci di confronto era di 2.1 volte superiore ed era probabilmente dovuto ad aritmie ventricolari secondarie ad ipokaliemia.
Per quel che riguarda lo stroke, i dati ricavati suggeriscono un ruolo preventivo ed indipendente dai livelli basali di pressione arteriosa, superiore agli altri antipertensivi per i calcio antagonisti (RR 0.91; 0.84-0.98), inferiore per i beta-bloccanti (RR 1.18; 1.03-1.36).
Se dai dati vengono esclusi i trial di confronto diretto tra calcio antagonisti e beta-bloccanti, i risultati perdono la loro significatività statistica.

Gli antipertensivi dovrebbero essere utilizzati solo nei pazienti con elevati valori pressori o anche in quelli a rischio cardiovascolare ma con valori pressori nella norma?

Nel complesso, il rischio relativo di cardiopatia coronarica e di stroke era simile in tutti gli studi che reclutavano pazienti che prima del trattamento presentavano valori pressori fino a 110/70 mmHg.

Una differenza si osservava nella prevenzione dello stroke nei soggetti con elevati livelli pressori all’inclusione. Questa differenza era dovuta allo schema terapeutico più aggressivo.

Esistono differenze relative a mono e politerapia, dosaggio del farmaco ed età del paziente nella riduzione dei valori pressori e nella prevenzione della cardiopatia coronarica e dello stroke?

Un antipertensivo assunto a dosi normali riduceva del 24% l’incidenza di cardiopatia coronarica e del 33% quella di stroke in pazienti di 60-69 anni. Di contro, 3 farmaci assunti alla metà del dosaggio normale, riducevano del 45% l’incidenza di cardiopatia coronarica e del 60% quella di stroke.

In pazienti con 180/105 mmHg di pressione arteriosa, un antipertensivo riduceva il rischio di 7 punti percentuali, 3 antipertensivi di 12.

In pazienti con valori pressori di 120/75 mmHg, un antipertensivo riduceva il rischio di 9 punti percentuali, 3 antipertensivi di 14. Tale differenza non variava molto in base all’età (3% ogni 10 anni per un farmaco, 5% per tre farmaci).

Scompenso cardiaco e mortalità non vascolare o da tutte le cause

I dati provenienti da 17872 episodi di scompenso cardiaco mostravano come i beta bloccanti non cardioselettivi o senza proprietà alfa bloccanti (es. propranololo, oxeprololo) non proteggevano dallo scompenso cardiaco (RR 1.01; 0.76-1.35). Di contro, i beta bloccanti che possedevano almeno una di queste proprietà, mostravano un effetto protettivo (RR 0.77; 0.69-0.87, p=0.01).

I calcio antagonisti riducevano il rischio di scompenso del 19% (p=0.007) nei trial disegnati per valutare i differenti livelli di pressione arteriosa, mentre i trial di confronto mostravano un’efficacia significativamente più bassa rispetto alle altre classi di farmaci (1.22; 1.10-1.35, p<0.001).

Tutte le altre classi di farmaci riducevano il rischio del 24% in media. L’effetto era simile sia in prevenzione primaria che secondaria dello scompenso cardiaco.

La mortalità da tutte le cause e da cause non vascolari non era aumentata per nessuna classe di farmaci. Di contro, si riduceva in pazienti che all’inclusione non presentavano patologie vascolari di rilievo (RR 0.89; 0.84-95) o con storia positiva per coronaropatie (RR 0.89; 0.84-0.95) o stroke (RR 0.91; 0.83-1.01).


Questa metanalisi, la più ampia mai effettuata fino ad oggi, mostra che ridurre la pressione sistolica di 10 mmHg o diastolica di 5 mmHg, utilizzando una qualunque delle principali classi di antipertensivi, riduce gli eventi coronarici fatali e non fatali e lo scompenso cardiaco di circa un quarto, mentre lo stroke di circa un terzo. Tutto ciò, a prescindere dalla presenza o meno di comorbidità vascolari o dai livelli di pressione arteriosa all’inclusione dei pazienti negli studi.


Commento

Nelle conclusioni, gli autori cercano di interpretare questi risultati in base a tre ulteriori fattori: comorbidità, effetti indesiderati, costi del trattamento.

Per quel che riguarda le comorbidità, tutti i farmaci e basse dosi di calcio antagonisti prevengono la cefalea (Law M et al. Circulation 2005;112:2301-6; Law MR et al. BJCP 2007;63:157-8). È inoltre da ricordare la controindicazione relativa dei beta-bloccanti in pazienti con ostruzioni delle vie aeree o arteriopatie periferiche, anche se una recente metanalisi ha mostrato come i beta-bloccanti cardioselettivi non producano alterazioni respiratorie in pazienti con lieve o moderata ostruzione repiratoria (Salpeter SR et al. Cochrane Database Syst Rev 2002:(4);CD002992).

Gli autori sottolineano anche come i diuretici tiazidici prevengano la formazione di calcoli renali e come possano prevenire la frattura del femore (Schoofs MWCJ et al. Ann Intern Med 2003;139:476-82), i beta-bloccanti siano utili nel glaucoma (J Hypertens 2007;25:1105-87), gli ACE inibitori ed i sartani riducano l’incidenza di diabete e della nefropatia diabetica e non-diabetica (J Hypertens 2007;25:1105-87).

Usare questi farmaci in combinazione, piuttosto che da soli, può dunque dare diversi benefici clinici.
Per quel che riguarda le reazioni avverse, impiegare più farmaci a dosi inferiori aiuta a minimizzare il rischio di comparsa di un effetto indesiderato.

Di contro, alcune interazioni tra gli antipertensivi possono essere rischiose, altre possono ridurre un potenziale effetto benefico su patologie diverse dall’ipertensione. Alcuni esempi: i tiazidici ad alte dosi possono essere potenzialmente letali, ma anche utilizzare dosi nomali di tiazidici in pazienti in trattamento con sartani od ACE-inibitori (che aumentano i livelli serici di potassio) può essere una scelta potenzialmente rischiosa (Mann JFE et al. Clin Nephrol 2005;63:181-7); l’effetto diabetogeno dei tiazidici può essere contrastato dagli ACE-inibitori o dai sartani (Mann JFE et al. Clin Nephrol 2005;63:181-7); i tiazidici possono causare gotta od un incremento dei livelli serici di acido urico a basse dosi, effetto contrastato da ACE-Inibitori e sartani (Law MR et al. BMJ 2003;326:1427-31).

Infine, il costo del trattamento diventa sempre più un aspetto marginale nella scelta terapeutica, vista la disponibilità di farmaci equivalenti per la maggior parte degli antipertensivi, compresi i sartani nella seconda parte del 2009.

L’editoriale d’accompagnamento sottolinea che i risultati dello studio escludono l’effetto pleiotropico degli antipertensivi sul rischio cardiovascolare, mentre supportano l’abbassamento della pressione come unico fattore protettivo.

Infine, si ricorda che lo studio, indicando una minore tossicità di tre farmaci a basse dosi, supporta implicitamente l’uso della “polipillola” in pazienti che potrebbero essere a rischio cardiovascolare, come quelli >55 anni.



Conflitto di interesse

Nessuno dichiarato.

Dottor Francesco Salvo

Riferimenti bibliografici

Law MR et al. Use of blood pressure lowering drugs 2 in the prevention of cardiovascular disease: meta-analysis of 147 randomised trials in the context of expectations from prospective epidemiological studies. BMJ 2009;338: doi:10.1136/bmj.b1665.

McManus RJ, Mant J. Management of blood pressure in primary care. BMJ 2009; 338: 1219-20.


Contributo gentilmente concesso dal Centro di Informazione sul Farmaco della Società Italiana di Farmacologia - http://www.sifweb.org/farmaci/info_farmaci.php/

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