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I nuovi biomarkers di rischio cardiovascolare: servono?
Inserito il 31 marzo 2010 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

L'aggiunta ai fattori convenzionali di nuovi biomarkers di rischio cardiovascolare non sembra portare ad un miglioramento apprezzabile del potere predittivo di eventi

Lo scopo di questo studio di coorte svedese era di valutare l'utilità dei nuovi biomarkers di rischio cardiovascolare quando aggiunti ai fattori di rischio tradizionali. Sono stati studiati 5067 soggetti (età media 58 anni; 60% donne) senza precedenti cardiovascolari, esaminati per la prima volta tra il 1991 e il 1994. Ai partecipanti venne misurata la PCR, la cistatita C, la lipoprotein-fosfolipasi 2, la MR-proADM (midregional proadrenomedullin), il midregional proatrial petide natriuretico, il peptide natriuretico N-terminale pro B. Il follow-up è durato fino al 2006.
Durante lo studio si sono registrati 418 eventi cardiovascolari e 230 eventi coronarici.
L'aggiunta dei nuovi biomarkers alla valutazione del rischio cardiovascolare effettuata con i fattori di rischio convezionali portò ad una riclassificazione del rischio in una proporzione modesta dei partecipanti: 8% per il rischio cardiovascolare globale e 5% per il rischio coronarico.
Il miglioramento della classificazione del rischio si osservò soprattutto nei soggetti a rischio intermedio. Tuttavia questa riclassificazione era confinata interamente agli individui che non ebbero eventi cardiovascolari piuttosto che agli individui che svilupparono tali eventi.
Gli autori concludono che i nuovi biomarkers di rischio cardiovascolare possono essere utili a predire futuri eventi, ma il guadagno aggiuntivo rispetto ai fattori convenzionali è minimo. La riclassificazione del rischio migliora negli individui a rischio intermedio molti dei quali, tuttavia, probabilmente non vanno incontro a complicanze cardiovascolari.


Fonte:

Melander O et al. Novel and Conventional Biomarkers for Prediction of Incident Cardiovascular Events in the Community. JAMA 2009 Jul 1;302(1):49-57.


Commento di Renato Rossi

E' noto che la previsione del rischio cardiovascolare di un paziente si basa su fattori tradizionali ben studiati: diabete, fumo, colesterolemia, pressione arteriosa, età, sesso, obesità, familiarità.
Negli ultimi anni sono stati messi a punto alcuni biomarkers di rischio che potrebbero migliorare il potere predittivo dei fattori convenzionali. Ma è davvero così? Lo studio svedese recensito in questa pillola ci dice di no, in questo confermando i risultati di lavori precedenti [1,2].
Melander e coll. concludono che i nuovi biomarkers possono portare ad una riclassificazione del rischio in soggetti a rischio intermedio, ma questa riclassificazione è limitata soprattutto a persone che con poche probabilità avranno degli eventi. Questo dato limita ancor più l'utilità dei nuovi biomarkers: a cosa serve riclassificare dei pazienti se poi questi non sono quelli più a rischio di eventi cardiovascolari?
La ricerca prosegue senza soste e, in un prossimo futuro, potranno, forse, essere disponibili nuovi markers che ci permetteranno di migliorare la nostra abilità predittiva. Per il momento, però, sembra più utile ed economico e meno dispersivo, concentrare l'attenzione sui fattori di rischio più tradizionali.


Referenze

1. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=2616
2. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=2993



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