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Tutti gli antipertensivi sono efficaci nel ridurre gli eventi cardiovascolari
Inserito il 23 maggio 2009 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Un'ennesima metanalisi suggerisce che tutti gli antipertensivi sono efficaci nel ridurre ictus e infarto miocardico, indipendentemente dall'esistenza o meno di una patologia cardiovascolare e dal valore basale della pressione arteriosa.



Lo scopo di questa metanalisi era di determinare sia l'efficacia quantitativa di differenti classi di antipertensivi nella riduzione degli eventi coronarici e dello stroke sia chi dovrebbe essere trattato.
La ricerca ha permesso di identificare 108 trials in cui i farmaci sono stati paragonati a placebo e 46 studi che hanno paragonato tra loro farmaci ipotensivi diversi. Sette trials con tre gruppi di randomizzazione appartenevano ad entrambe le categorie. I pazienti arruolati nei trials in totale erano 464.000, divisi in tre categorie: senza precedente malattia vascolare, con storia di cardiopatia ischemica o con storia di ictus.
Nei trials di paragone farmaco-placebo i betabloccanti mostravano un effetto specifico che andava oltre la riduzione della pressione nella prevenzione delle recidive in soggetti con pregressa cardiopatia coronarica: riduzione del rischio del 29% (95%CI 22%-34%) rispetto al 15% (11%-19%) degli altri antipertensivi. Questo effetto era però limitato a pochi anni dopo un infarto miocardico (riduzione del rischio del 31% rispetto al 13% visto nei pazienti con cardiopatia ischemica ma senza infarto recente).
Negli altri studi di paragone tra farmaci e placebo (dopo aver escluso i lavori con i betabloccanti nei soggetti con cardiopatia ischemica) si è trovata una riduzione del 22% (17%-27%) degli eventi coronarici e del 41% (33%-48%) dello stroke per ogni riduzione di pressione arteriosa sistolica di 10 mmHg o di 5 mmHg per la diastolica. Questi dati sono simili a quelli trovati in metanalisi di studi di coorte e indicano che il beneficio deriva dalla semplice riduzione della pressione.
Le cinque maggiori classi di farmaci testati (tiazidici, betabloccanti, aceinibitori, sartani e calcioantagonisti) mostravano un'efficacia simile con piccole differenze sia nella prevenzione degli eventi coronarici che dello stroke. Facevano eccezione i calcioantagonisti che mostravano una maggior riduzione del rischio di ictus (RR 0,92; 0,85-0,98).
La percentuale di riduzione degli eventi coronarici era simile in soggetti con malattia cardiovascolare ed in quelli senza ed era indipendente dai valori della pressione prima del trattamento.
Combinando i risultati con quelli di altre metanalisi si è visto che nei soggetti di 60-69 anni con una pressione distolica baseline di 90 mmHg l'uso di tre antipertensivi a metà del dosaggio standard riduce il rischio di eventi coronarici del 46% e di stroke del 62%; un solo farmaco ipotensivo a dosaggio standard mostra un effetto di circa la metà.
Infine i farmaci ipotensivi (con l'eccezione dei betabloccanti non cardioselettivi) riducono l'incidenza dello scompenso cardiaco del 24%; per i calcioantagonisti la riduzione è minore (19%).
Gli autori concludono che tutte le cinque classi di antipertensivi sono parimenti efficaci nel ridurre il rischio coronarico e di stroke (in tal modo escludendo l'effetto pleiotropico). Fanno eccezione i betabloccanti che mostrano un maggior effetto protettivo nel primo periodo dopo un infarto miocardico e i calcioantagonisti che hanno una maggior efficacia, modesta, nel ridurre lo stroke.
Questi effetti sono indipendenti dai valori pressori al baseline e dalla presenza o assenza di malattie cardiovascolari. Così i farmaci antipertensivi dovrebbero essere offerti a tutti, oltre una certa età, qualsiasi sia il loro livello di pressione: è importante ridurre a tutti la pressione e non misurarla e trattarla solo in certi casi.


Fonte:

Law MR et al. Use of blood pressure lowering drugs in the prevention of cardiovascular disease: meta-analysis of 147 randomised trials in the context of expectations from prospective epidemiological studies. BMJ 2009 May 23;338:b1665.



Commento di Renato Rossi

Commentando le recenti metanalisi presentate a San Francisco al Meeting annuale dell'American Hypertension Society [1] eravamo stati facili profeti nel prevedere che presto o tardi sarebbe sbucata una metanalisi che avrebbe mostrato risultati in parte discordanti.
Le due metanalisi di San Francisco suggerivano che tutti i farmaci antipertensivi più usati sono più efficaci del placebo nel ridurre il rischio di stroke, mentre per quanto riguarda il rischio di infarto sono tutti efficaci eccetto i sartani.
La metanalisi pubblicata ora dal BMJ scompiglia ancora una volta le carte perchè dimostra che in realtà non ci sono grandi differenze tra le cinque classi di ipotensivi usati: sono tutti efficaci tanto nella riduzione del rischio di ictus che nelle riduzione del rischio coronarico, compresi i sartani. In effetti non è tanto importante quale o quali farmaci si usano quanto ridurre la pressione. Solo i calcioantagonsti si dimostrano un poco più efficaci degli altri nella riduzione dell'ictus, dato peraltro in comune con le metanalisi precedenti.
Lo studio riporta in auge anche i betabloccanti, relegati recentemente a farmaci di seconda scelta per una loro minor efficacia nella riduzione degli eventi ischemici cardiaci e della mortalità [2]. I betabloccanti sarebbero invece efficaci come gli altri farmaci. Anzi, nei soggetti con recente infarto miocardico, avrebbero un effetto additivo nelle prevenzione delle recidive, seppur limitato nel tempo ai primi anni dopo l'evento acuto.
Quali conclusioni per il medico pratico? La prima ci sembra questa: è inutile, a questo punto, rincorrere l'ultima metanalisi che rischia di essere confutata da una successiva. La seconda è questa: se tutti i farmaci ipotensivi hanno pari dignità ed efficacia simile, quello che più conta è riuscire a ridurre la pressione, non tanto il tipo di farmaco usato. A questo punto i maggiori criteri che dovrebbero guidare la scelta sono soprattutto la tollerabilità e la semplicità del trattamento, onde favorire la compliance del paziente, e, non meno importante, il costo della terapia.
Vi è tuttavia un altro aspetto della metanalisi pubblicata dal BMJ che merita un approfondimento perchè mette radicalmente in discussione la strategia finora suggerita dalle linee guida nella gestione dell'ipertensione. Gli autori infatti evidenziano che i benefici del trattamento si manifestano indipendentemente dalla presenza o meno di pregresse patologie cardiovascolari e dai valori di partenza della pressione arteriosa. Secondo i calcoli degli autori usando tre antipertensivi a metà dose un soggetto nella fascia d'età 60-69, anche non iperteso, avrebbe una riduzione del rischio di coronaropatia del 46% e di ictus del 62%. Qualche anno fa gli stessi autori avevano proposto, invece di individuare e trattare solo i soggetti ad alto rischio cardiovascolare, di prescrivere indistintamente la "polipillola" dopo i 50 anni. Questa polipillola dovrebbe contenere ASA, una statina, acido folico, e tre antipertensivi (un tiazidico, un aceinibitore e un betabloccante) a metà dose.
Con questa metanalisi Law e coll. ritornano sulla questione: perchè perdere tempo a misurare la pressione e a trattare solo gli ipertesi? Un cocktail di tre antipertensivi a metà dose è utile a tutti, dopo una certa età! Tuttavia, come fa notare un editoriale di commento, non ci sono trial che abbiano valutato una strategia di questo tipo e, comunque, il ragionamento presuppone che l'effetto dei tre farmaci sia additivo: la riduzione del rischio calcolata dalla metanalisi di Law è quindi teorica, ma non dimostrata da RCT. E' probabile che il trattamento estensivo con un cocktail di antipertensivi a dosi ridotte diminuisca, a livello di popolazione, gli eventi cardiovascolari, ma è anche possibile che il beneficio per il singolo paziente sia piccolo e che il numero di soggetti a basso rischio che è necessario trattare per evitare un evento sia molto alto. L'altro lato della medaglia è ovviamente rappresentato dagli effetti collaterali dei farmaci e dal costo. Vedremo comunque se le linee guida delle maggiori società scientifiche internazionali recepiranno le conclusioni degli autori.
Dal canto nostro ci sembra che, per ora, in assenza di RCT ad hoc, non sia ancora arrivato il momento della polipillola per il rischio cardiovascolare.


Referenze

1. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=4639
2. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=3352


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