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Va indicata la diagnosi nei certificati per i pubblici dipendenti?
Inserito il 23 maggio 2009 da admin. - medicina_legale - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Il recente provvedimento del Garante Privacy del 30/10/2008 ha destato non poche perplessita', sia per le difficolta' che possono sorgere in occasione di accertamento dello stato morboso mediante visita di controllo, sia per la diversa indicazione fornita da alcune leggi precedenti.
Si sono verificati quindi comportamenti difformi presso diverse Amministrazioni. Pubblichiamo il parere in merito dello Studio Legale Cermignani, di Roma.


- Commento al “Provvedimento Garante Privacy del 30.10.2008” -

Con il provvedimento in esame, l’Autorità Garante per la Privacy ha risolto la controversia, insorta tra il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (S.A.P.Pe.) ed il Ministero della Giustizia - Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, relativa alla necessaria indicazione, nel certificato medico prodotto dal pubblico dipendente che richieda un congedo per motivi di salute, oltre che della prognosi, anche della diagnosi.

Il Garante ha accolto le prospettazioni del S.A.P.Pe. e, conseguentemente, ha vietato all’Amministrazione “di trattare i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute concernenti l’indicazione della diagnosi nei certificati di malattia del personale del Corpo di polizia penitenziaria”.

Tale decisione rispetta la normativa vigente: peraltro, sono state avanzate critiche in ordine alla mancata osservanza di altre norme che, al contrario, espressamente prevedono l’obbligo di indicare, nel certificato medico prodotto dal pubblico dipendente, anche la relativa diagnosi.
Trattasi, in particolare, dell'art. 1 legge n. 395/1990, dell'art. 68 D.P.R. n. 3/1957 (T.U. impiegati civili dello Stato) e dell'art. 30 D.P.R. n. 686/1957 (norme di esecuzione al suddetto T.U.).
Tali norme, rispettivamente:

- qualificano gli agenti di polizia penitenziaria come “Corpo civile” al quale sono applicabili “le norme relative agli impiegati civili dello Stato”;

- prevedono che “l’aspettativa per infermità è disposta quando sia accertata (…) l’esistenza di una malattia che impedisca temporaneamente la regolare prestazione del servizio”;

- impongono che “la domanda di collocamento in aspettativa per infermità (…) deve essere corredata da un certificato medico, nel quale devono essere specificate l’infermità e la presumibile durata di questa”.

Dunque, a mente di tali disposizioni, è imposta, al pubblico dipendente, la produzione di un certificato medico che indichi tanto la diagnosi (“l’infermità”), quanto la prognosi (“la presumibile durata”).

Tuttavia, va sottolineato che le richiamate norme riguardano “in generale” la materia del lavoro alle dipendenze dello Stato, e, comunque, risalgono agli anni 1957 e 1990.

Pertanto, considerato che la legge n. 196/2003 (cd. “Codice della privacy”) concerne “in particolare” la materia della tutela della riservatezza e che tale norma è comunque entrata in vigore nell’anno 2003, deve necessariamente dedursi l’intervenuta tacita abrogazione delle incompatibili norme del T.U. impiegati civili, in quanto “generali” ed “anteriori” rispetto alle statuizioni contenute nel Codice della Privacy: e ciò, in ossequio ai principi “lex specialis derogat generali” e “lex posterior derogat priori”, che disciplinano il fenomeno delle “antinomie normative”.

In conclusione, dunque, la decisione del Garante è conforme alla normativa in essere.

Avv. Carlo Cermignani - Roma - avvcarlocermignani@virgilio.it

N.d.R.: In certi casi e' il paziente stesso ad esigere dal medico l' apposizione della diagnosi sul certificato. Ci sembra logico che in tale circostanza il medico debba ottemperare a quanto richiesto, essendo oltretutto libero, il paziente, di comunicare a chi desideri le proprie condizioni di salute.

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