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Meglio il controllo della glicemia standard vs quello intensivo in pazienti critici
Inserito il 14 gennaio 2010 da admin. - metabolismo - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Un controllo intensivo della glicemia aumenta la mortalità tra i pazienti adulti ricoverati nelle UTI: un livello glicemico <=180 mg/dl determina una mortalità inferiore rispetto ad un valore compreso tra 81 e 108 mg/dl.

L’iperglicemia, in particolare l’iperglicemia grave, è associata ad un aumento della morbilità e della mortalità in vari gruppi di pazienti. I trial che hanno esaminato gli effetti di un più stretto controllo glicemico hanno fornito risultati contrastanti e sia le revisioni sistematiche sia le metanalisi effettuate sono giunte a conclusioni differenti. Ciò nonostante, molte società scientifiche raccomandano lo stretto controllo glicemico per i pazienti trattati nelle unità di terapia intensiva (UTI).

Lo studio NICE-SUGAR, a gruppi paralleli, randomizzato e controllato, ha valutato l’ipotesi che un controllo glicemico intensivo possa ridurre la mortalità a 90 giorni.

Sono stati coinvolti pazienti di medicina e di chirurgia ricoverati nelle UTI di 42 ospedali in Australia, Nuova Zelanda e Canada. I pazienti eleggibili erano i soggetti per i quali era stata prevista la necessità di un trattamento per >=3 giorni consecutivi nelle UTI.
Entro 24 h dal ricovero nelle UTI, i partecipanti sono stati randomizzati in due gruppi definiti in base al valore desiderato della glicemia: “controllo intensivo” (glucosio 81–108 mg/dl) o “controllo convenzionale” (glucosio <=180 mg/dl) della glicemia. Il controllo della glicemia è stato realizzato attraverso l’infusione ev di insulina in fisiologica. Nel gruppo “controllo convenzionale” l’insulina è stata somministrata quando la glicemia superava i 180 mg/dl, l’infusione è stata ridotta e poi interrotta per valori <144 mg/dl. In entrambi i gruppi, i livelli di glucosio sono stati gestiti dagli staff clinici come parte delle normali procedure e seguendo un algoritmo di trattamento accessibile al sito web http://https://studies.thegeorgeinstitute.org/nice/.

Il trattamento in studio è stato interrotto una volta che il paziente ha iniziato ad alimentarsi o alla dimissione dalla UTI, mentre è stato ripreso nel caso di nuovo ricovero nella UTI entro i 90 giorni. Il trattamento è stato interrotto definitivamente al momento della morte o 90 giorni dopo la randomizzazione. All’arruolamento, sono state registrate le caratteristiche demografiche e cliniche, compresi il punteggio sulla scala Acute Physiology and Chronic Health Evaluation II (APACHE II; valori maggiori, tra 0 e 71, indicano una condizione più grave) e i criteri diagnostici per la sepsi grave. I pazienti sono stati classificati come affetti da diabete, in base alla loro storia clinica, traumatizzati, se ricoverati nelle UTI entro 48 h dal ricovero in ospedale per un trauma. Un precedente trattamento con corticosteroidi è stato definito come una terapia con corticosteroidi per via sistemica per >=72 h immediatamente prima della randomizzazione.

L’outcome primario era la morte per qualsiasi causa entro 90 giorni dalla randomizzazione, aggiustato per le caratteristiche basali. Gli outcome secondari erano il tempo di sopravvivenza a 90 giorni, le specifiche cause di morte, la durata della respirazione meccanica e delle terapie di renal replacement, la permanenza nella UTI e in ospedale. Gli outcome terziari sono stati la morte per qualsiasi causa entro 28 giorni dalla randomizzazione, il luogo dove il paziente è deceduto (UTI, ospedale o altro), l’incidenza di una nuova insufficienza d’organo, di colture ematiche positive a patogeni, di trasfusioni di eritrociti e il volume delle trasfusioni.

L’outcome primario è stato esaminato in 6 sottogruppi predefiniti: pazienti operati vs non operati, diabetici vs non diabetici, traumatizzati vs non traumatizzati, pazienti con sepsi grave vs senza sepsi grave, trattati con corticosteroidi vs non trattati e soggetti con punteggio APACHE II >=25 vs <=25. Un livello della glicemia <=40 mg/dl è stato considerato un evento avverso grave.

Tra dicembre 2004 e novembre 2008, 6104 pazienti sono stati arruolati e assegnati ai gruppi “controllo glicemico intensivo” (n=3054) o “controllo glicemico convenzionale” (n=3050). Per le analisi sono stati considerati i dati di 3016 pazienti nel gruppo “controllo intensivo” e 3014 in quello “controllo convenzionale”.
Le caratteristiche basali dei pazienti erano simili: età media 60,4±17,2 e 59,9±17,1 anni, rispettivamente nel gruppo “controllo intensivo” e in quello “controllo convenzionale”, percentuali di maschi 62,6% e 64,2%, punteggi APACHE II medi 21,1±7,9 e 21,1±8,3 e percentuali di ricoveri nella UTI di pazienti operati 36,9% e 37,2%.
La durata mediana del trattamento in studio è stata 4,2 giorni nel gruppo “controllo intensivo” e 4,3 giorni con il “controllo convenzionale” (p=0,69). Una percentuale maggiore di pazienti nel primo gruppo, rispetto al secondo, ha ricevuto insulina (97,2% vs 69,0%; p<0,001), inoltre, anche le dosi di insulina sono risultate maggiori nel primo gruppo rispetto al secondo (50,2±38,1 vs 16,9±29,0 U/die; p<0,001); la glicemia media pesata nel tempo è risultata significativamente inferiore nel primo gruppo rispetto al secondo (115±18 vs 144±23 mg/dl; p<0,001).

A 90 giorni dalla randomizzazione il 27,5% dei pazienti nel gruppo “controllo intensivo” e il 24,9% di quelli nel gruppo “controllo convenzionale” è deceduto (OR per il decesso nel gruppo “controllo intensivo 1,14; CI 95% 1,02–1,28; p=0,02). Anche il tempo di sopravvivenza mediano è risultato inferiore nel primo gruppo rispetto al secondo (HR, 1,11; CI 95% 1,01–1,23; p=0,03).
Le morti per cause cardiovascolari sono state più frequenti nel gruppo “controllo intensivo” rispetto a quello “controllo convenzionale” (41,6% vs 35,8%). In entrambi i gruppi la maggior parte delle morti è avvenuta nelle UTI (65,9% vs 66,3%) o in ospedale dopo la dimissione dalle UTI (26,5% e 26,2%). Durante il periodo di 90 giorni, non è stata rilevata una differenza significativa tra i due gruppi nella permanenza nelle UTI o in ospedale.
Il numero di pazienti che ha sviluppato una nuova insufficienza di uno o più organi è risultato simile tra i due gruppi. Non è stata rilevata una differenza significativa nel numero di giorni di ventilazione forzata, di terapia di renal replacement, nel numero di colture ematiche positive a patogeni o di trasfusioni di eritrociti. L’ipoglicemia grave è stata rilevata nel 6,8% dei pazienti nel gruppo “controllo intensivo” e nello 0,5% di quelli nel gruppo “controllo convenzionale” (OR 14,7; CI 95% 9,0–25,9; p<0,001). Non è stata riportata alcuna sequela a lungo termine dell’ipoglicemia grave.

I risultati di questo ampio studio indicano che un controllo intensivo della glicemia aumenta la mortalità tra i pazienti adulti ricoverati nelle UTI: un livello glicemico <=180 mg/dl determina una mortalità inferiore rispetto ad un valore compreso tra 81 e 108 mg/dl.


Limiti dello studio comprendevano l’aver adottato un criterio soggettivo per l’inclusione (la prevista durata di permanenza nelle UTI), la non cecità e il raggiungimento di un livello glicemico inferiore all’intervallo prefissato in una percentuale significativa dei pazienti nel gruppo “controllo intensivo”. Punti di forza sono l’aver utilizzato un algoritmo standardizzato e accessibile per via informatica per la gestione della glicemia e la potenza statistica superiore a quella di studi precedenti.

Commento

Nell’editoriale di accompagnamento allo studio, sono stati evidenziati ulteriori punti di forza: l’ampio e rappresentativo spettro di malattie e di pazienti considerati e l’uso di un outcome primario preciso e significativo. Vanno considerati, invece, ulteriori limiti come la differenza tra i gruppi nell’uso di corticosteroidi. Inoltre, il 10% dei pazienti randomizzati al gruppo “controllo intensivo” ha interrotto prematuramente il trattamento, tuttavia non è chiaro quanto questi pazienti abbiano contribuito alla differenza tra i gruppi in termini di mortalità. Un ulteriore aspetto non chiaro è relativo all’assenza di differenze tra i gruppi nella durata di permanenza nelle UTI o in ospedale e nella percentuale di disfunzioni d’organo, nonostante l’alta mortalità nel gruppo “controllo intensivo”.
I risultati di NICE-SUGAR indicano, quindi, che nelle coorti di pazienti come quella studiata non è stato evidenziato un beneficio addizionale derivante da un ulteriore abbassamento dei livelli di glucosio al di sotto dell’intervallo 140–180 mg/dl, semmai ci potrebbe essere un rischio che comunque rimane da chiarire.

Conflitto di interesse

Alcuni autori dichiarano di aver ricevuto finanziamenti da aziende farmaceutiche.

Dottor Gianluca Miglio

Riferimento bibliografico

NICE-SUGAR Study Investigators. Intensive versus conventional glucose control in critically ill patients. N Engl J Med 2009; 360: 1283-97.

Inzucchi SE, Siegel MD. Glucose control in the ICU-how tight is too tight?. N Engl J Med 2009; 360: 1346-9.

Contributo gentilmente concesso dal Centro di Informazione sul Farmaco della Società Italiana di Farmacologia - http://www.sifweb.org/farmaci/info_farmaci.php/


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