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Vita vs privacy all'esame della Corte europea
Inserito il 21 agosto 2009 da admin. - medicina_legale - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

La legge tedesca, che non ritiene errore grave per un medico (nel 1992) anteporre la privacy di un soggetto ponendo a rischio la vita di un altro, pone l'onere della prova del danno subito al soggetto querelante. Se questa non puo' provare il nesso causale, il medico va assolto anche se ha compiuto un errore di trattamento. Per il futuro, pero', va applicato uno standard piu' elevato nella valutazione della diligenza.
In ogni caso la legge tedesca non violava la Convenzione dei diritti dell'uomo

CORTE EUROPEA DI GIUSTIZIA, STRASBURGO, QUINTA SEZIONE
SENTENZA 5/3/2009, CASO COLAK /TSAKIRIDIS, GERMANIA

I fatti:
La ricorrente nel dicembre 1992 aveva notato un ingrossamento delle ghiandole del suo convivente. Questi aveva scoperto di essere malato di tumore e di AIDS; aveva rivelato alla compagna il tumore, ma aveva taciuto l' AIDS.

Il 21 gennaio 1993 il malato ha informato il loro medico di famiglia, ma gli vietava espressamente di rivelare a chicchessia di aver contratto l'AIDS. Quando la sua compagna (la ricorrente) ha consultato il medico il 29 gennaio 1993, questi non faceva menzione della cosa.
Il 22 dicembre 1994, il malato moriva.
Nel marzo 1995, in occasione di una visita, il medico informava la ricorrente che il suo compagno era morto di Aids. Nel mese di aprile 1995 un esame del sangue stabiliva che la ricorrente era a sua volta HIV-positiva.

Questa citava in giudizio il medico affermando che egli aveva omesso di informarla della malattia del partner e quindi non le aveva permesso di proteggersi dall' infezione.

Nel corso del processo di "primo grado" (Corte regionale di Wiesbaden), un perito dichiarava che, con elevata probabilita', la ricorrente era HIV positiva gia' in epoca precedente ai fatti in causa e che comunque all' epoca non esisteva una pratica medica generale per il trattamento delle infezioni da HIV.

Il giudice di primo grado respingeva quindi il ricorso della donna ritenendo che, nel caso specifico, il medico avrebbe avuto obbligo di derogare dal segreto solo se non vi fossero stati altri mezzi utili per prevenire il contagio. Ma il medico aveva informato il paziente delle misure necessarie da adottare per prevenire il contagio, e riteneva ragionevolmente che quest'ultimo avrebbe seguito i suoi consigli. La corte non ritenne neppure di entrare nel merito dell'esame del nesso causale tra la contrazione dell'infezione da parte della partner querelante ed il medico che aveva omesso di rivelare la sieropositività del partner maschile defunto.

La ricorrente presentava appello e la Corte d'Appello di Francoforte ritenne che il medico, nella sua posizione di medico di famiglia, aveva mancato il suo dovere di diligenza nei confronti della ricorrente, e aveva invece "sovrastimato" il suo dovere di riservatezza verso il suo compagno.

Il dovere di riservatezza di un medico nei confronti di un paziente, afferma la Corte, doveva essere limitato o addirittura abolito se un valore superiore fosse stato in gioco (art. 34 del codice penale tedesco) . Non informare la ricorrente circa la minaccia mortale per la sua salute, aveva configurato un errore di trattamento.

Tuttavia la Corte considerava che il medico non aveva effettuato una violazione di un trattamento consolidato, ma aveva solo mal valutato, a causa delle scarse informazioni dell' epoca sull' argomento, il bilanciamento tra diversi interessi.

Di conseguenza l’ errore di valutazione del medico non era di gravita' tale da consentire, secondo la legge tedesca, l' inversione dell' onere della prova. Restava quindi a carico della ricorrente dimostrare che questo errore l’ aveva danneggiata essendo stata contagiata (contrariamente al parere dei periti) in epoca successiva al gennaio 1993, allorche' il medico era stato informato dell' infezione e aveva omesso di metterla in guardia. Inolre la corte di appello confermava che le cure disponibili nel 1993 non sarebbero state in grado di modificare la sua salute anche se la ricorrente fosse stata informata della sua condizione di sieropositività.

La Corte Federale di Giustizia dispose nell'Aprile del 2000 la mancanza di prospettive di successo nelle ulteriori richieste di appello della querelante.

Parimenti la Corte Costizionale Federale sentenziò nel novembre 2000 contro le richieste della querelante.

Oltre alla causa civile di risarcimento, nei confronti del medico iniziava anche una causa penale: nell'agosto 2002 un altro perito esprimeva il parere, sia pure con un grado di probabilita' minore rispetto al primo perito, che l' infezione della donna potesse essere essersi verificata prima del gennaio 1993.

Non potendosi stabilire con certezza la responsabilita' del medico nel causare il contagio, il procedimento veniva archiviato.

Il 14 settembre 2007 la ricorrente chiedeva al medico una copia completa del suo fascicolo sanitario, ma il sanitario, essendo decorsi i termini di legge per la sua conservazione, comunicava di averlo distrutto.

La Corte Europea di Giustizia di Strasburgo venne investita del caso da parte della querelante la quale sosteneva che la legislazione tedesca fosse contraria agli articoli 2, 6 ed 8 della Convenzione dei diritti dell'uomo.

Art. 2: “Everyone's right to life shall be protected by law.”

Art. 6: “In the determination of his civil rights and obligations ..., everyone is entitled to a fair ... hearing ... by [a] ... tribunal...”

Art. 8: “1. Everyone has the right to respect for his private and family life, his home and his correspondence.

2. There shall be no interference by a public authority with the exercise of this right except such as is in accordance with the law and is necessary in a democratic society in the interests of national security, public safety or the economic well-being of the country, for the prevention of disorder or crime, for the protection of health or morals, or for the protection of the rights and freedoms of others.”




La Corte Europea ha sentenziato che nel procedimento che vedeva implicata la querelante nei vari gradi di giudizio non vi era violazione degli articoli 2, 6 ed 8 della Convenzione dei diritti dell'uomo.


Altre eccezioni di carattere giuridico presentate dalla ricorrente venivano del pari respinte.

Commento di Daniele Zamperini

Nel caso in esame la sentenza della Corte d'appello tedesca riconosceva che il medico aveva violato i suoi doveri professionali nei confronti della ricorrente, avendo “sovrastimato” il suo dovere di riservatezza verso il malato rispetto alla tutela della salute della sua partner. Tuttavia, il fatto che all’epoca non esistessero norme precise in materia, non permetteva di classificare questo errore come “grave”, e quindi non era consentito invertire l’ onere della prova: restava a carico della ricorrente dimostrare di aver contratto l’ infezione in epoca successiva alla scoperta della malattia da parte del medico, e non nel corso della convivenza precedente. Si riteneva corretta, quindi, l’ assoluzione del medico.

Tuttavia la Corte riteneva che, dopo la sentenza della Corte d’ Appello di Francoforte, che aveva chiarito l’ aspetto legale della questione, andrebbe applicato uno standard più elevato nei giudizi sulla diligenza medica in materia.

Una doverosa precisazione: il dovere di avvertire, naturalmente, e' diretto verso gli assistiti del medico, che certamente non e' tenuto ad andare alla ricerca di partners sconosciuti.

Si ricorda inoltre che la normativa italiana sulla privacy consente la divulgazione di dati personali e sensibili qualora cio' avvenga per tutelare la vita o la salute di un terzo, previa autorizzazione del Garante. Sara' comunque utile (anche se forse superfluo) rispettare questa procedura.

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