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Outcome a lungo termine post stent in pazienti trattati con doppia antiaggregazione e TAO
Inserito il 24 ottobre 2009 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

In pazienti sottoposti a stent, trattati con triplice terapia, valori di INR entro il range terapeutico inferiore possono ridurre il rischio di complicanze emorragiche.

Le attuali linee guida sugli interventi coronarici percutanei (PCI) e la sindrome coronarica acuta (ACS) raccomandano una terapia combinata a base di aspirina e clopidogrel per =12 mesi. Tuttavia, tale regime terapeutico è associato ad un incremento del rischio di emorragia, che aumenta ulteriormente nei pazienti che necessitano di anticoagulanti orali (triplice terapia).
Finora, la maggior parte delle segnalazioni relative alla triplice terapia è limitata ad esiti a breve termine e pochi sono i dati relativi all’impatto dell’INR sulle complicanze di tipo emorragico in questi pazienti. Inoltre, nessuno studio ha valutato quanto influisca una riduzione dell’INR sul rischio di sviluppare emorragie.
Questo studio, condotto da ricercatori italiani in collaborazione con un’Università della Florida, è stato disegnato allo scopo di valutare gli outcome a lungo termine in pazienti sottoposti a stent in trattamento con la triplice terapia e quanto questi outcome possano risultare influenzati da valori di INR mantenuti al range terapeutico inferiore.
In 3 centri sono stati valutati in modo prospettico tutti i pazienti sottoposti a stent e trattati con aspirina (100 mg/die) e clopidogrel (75 mg/die) e che necessitavano anche di terapia anticoagulante per via orale. Tra ottobre 2005 ed agosto 2006, un totale di 1.678 pazienti hanno subito l’impianto di uno stent. In 118 (7%) di questi era necessario instaurare anche una terapia anticoagulante per via orale. Sono stati esclusi i pazienti con protesi valvolare (n=16).
Nei pazienti che incontravano i criteri di eleggibilità dello studio (n=102), è stato raccomandato un attento monitoraggio dei valori di INR che dovevano essere mantenuti tra 2 e 2,5. Per il primo mese dopo l’inizio della terapia anticoagulante per via orale, è stato effettuato settimanalmente il controllo dell’INR e, successivamente, ogni 2 settimane. Quando necessario, è stata aggiustata la dose di anticoagulante orale.

Al momento dell’intervento, tutti i pazienti hanno ricevuto una dose da carico di 300 mg di clopidogrel. La duplice terapia antiaggregante è stata prescritta secondo le linee guida: (a) 12 mesi nei pazienti con ACS, indipendentemente dal tipo di stent; (b) 12 mesi nei pazienti con stent medicati; (c) 1 mese nei pazienti con stent metallici, ma senza ACS. Dopo l’impianto di stent medicati, la durata più lunga (=24 mesi) della duplice terapia antiaggregante è stata utilizzata nei pazienti a rischio più elevato (es. con stent a livello dell’arteria coronarica principale sinistra).
Come controlli sono stati selezionati pazienti con caratteristiche simili da una popolazione totale con PCI, trattata durante lo stesso periodo, presso gli Ospedali Riuniti di Bergamo.
Per stabilire la durata della triplice terapia e l’incidenza di eventi emorragici, tutti i pazienti sono stati seguiti per 18 mesi dall’inizio della terapia antitrombotica. Le visite mediche sono state effettuate a 30 giorni e a 18 mesi. I valori di INR sono stati calcolati in occasione delle visite di follow-up e al momento di un evento emorragico.

L’end point primario era rappresentato dalle complicanze emorragiche maggiori e minori a 18 mesi. L’end point secondario era definito come l’insorgenza di eventi avversi cardiaci maggiori (MACE) a 18 mesi. Le complicanze emorragiche sono state classificate come maggiori o minori secondo i criteri del Thrombolysis in Myocardial Infarction.
I sanguinamenti maggiori comprendevano tutte le emorragie endocraniche o tutte le emorragie associate a segni clinicamente evidenti con una riduzione dell’emoglobina >5 g/dl, mentre i sanguinamenti minori erano definiti come qualsiasi segno clinicamente evidente di emorragia (compresa l’osservazione tramite indagini strumentali) con una riduzione dell’emoglobina compresa tra =3 e =5 g/dl. Lo stroke emorragico comprendeva l’emorragia cerebrale e quella subaracnoidea. Nella definizione di MACE erano inclusi il decesso da tutte le cause, lo stroke non fatale e l’infarto miocardico acuto non fatale.
È stata valutata anche l’insorgenza di rivascolarizzazione del vaso target e la trombosi dello stent. Lo stroke è stato definito come un infarto cerebrale ischemico da occlusione embolica o trombotica di un’arteria intracranica maggiore, mentre l’infarto del miocardio è stato diagnosticato nei casi in cui è stato rilevato un aumento della troponina con sintomi indicativi di ACS oppure la presenza di nuove onde Q patologiche all’ECG.
Per rivascolarizzazione del vaso target si intendeva un reintervento a livello del vaso cui è stato applicato lo stent; l’indicazione si basava su sintomi anginosi e/o ischemia miocardica nel vaso target e una significativa stenosi del lume (>50% del diametro). La trombosi dello stent è stata diagnostica in presenza di ACS con evidenze angiografiche di occlusione trombotica del vaso o di trombi nello stent o all’autopsia. Sono state registrate anche le complicanze tromboemboliche diverse dallo stroke embolico (occlusione embolica di un’arteria a livello degli arti, embolia polmonare).

Su 102 pazienti, 64 sono stati dimessi con una triplice terapia; 34 di questi pazienti erano già in trattamento con un anticoagulante per via orale da >1 mese al momento del ricovero. La terapia anticoagulante è stata interrotta nei pazienti che già l’assumevano, eccetto che in quelli con infarto del miocardio con elevazione del tratto ST (n=11) e la PCI è stata effettuata quando è stato raggiunto un valore <1,5.
Nei rimanenti 38 pazienti, la necessità di effettuare una terapia anticoagulante per via orale si è verificata 42±33 giorni dopo le dimissioni dall’ospedale. La durata media della triplice terapia era di 157±134 giorni (range 30-540). Tutti i pazienti sono stati seguiti per 18 mesi dall’inizio della terapia anticoagulante.
Tra i due gruppi non sono state evidenziate differenze nelle complicanze emorragiche a 30 giorni.

Dopo 18 mesi di follow-up, è stato osservato un aumento non significativo delle emorragie nel gruppo con triplice terapia vs duplice. L’incidenza di sanguinamenti maggiori era simile nei due gruppi e non si sono verificati episodi fatali.
Rispetto ai controlli, è stata osservata un’incidenza superiore, sebbene non statisticamente significativa, di emorragie minori nei pazienti con triplice terapia sia a 30 giorni (p=0,3) sia a 18 mesi (p=0,1). Il valore medio di INR al momento dell’emorragia era statisticamente superiore nei pazienti con qualsiasi tipo di emorragia (2,8±1,1 vs 2,3±0,2; p=0,0001), con sanguinamenti maggiori (3,3±0,6 vs 2,3±0,2; p=0,0003) e minori (2,6±0,3 vs 2,3±0,2; p=0,006), con un trend verso un’incidenza superiore nei pazienti con triplice terapia.
In tutta la popolazione in studio, i valori di INR a 30 giorni erano 2,4±0,5; l’INR si è mantenuto superiore rispetto al valore minimo terapeutico di 2. In 81 pazienti (79,4%) i valori di INR erano entro il target raccomandato (2-2,5) e risultavano statisticamente inferiori rispetto agli altri 21 pazienti (20,6%; 3,1±0,8 vs 2,2±0,2; p<0,0001). Rispetto agli altri pazienti, in quelli con valori di INR compresi nel target, l’incidenza di complicanze emorragiche era inferiore a 30 giorni (0% vs 4,8%; p=0,05) e a 18 mesi (4,9% vs 33%; p=0,00019). Nei pazienti che mantenevano i valori di INR raccomandati, è stata osservata un’incidenza inferiore di sanguinamenti maggiori (0% vs 14,3%; p=0,001) e minori (4,9% vs 19%; p=0,03).
L’incidenza totale di sanguinamento era simile nei pazienti con triplice terapia i cui valori di INR erano nel target e nei controlli in duplice terapia antiaggregante (4,9% vs 4,9%; p=ns). A 18 mesi, nel gruppo in trattamento con triplice terapia, i fattori predittivi statisticamente significativi di qualsiasi tipo di emorragia erano rappresentati dall’uso di inibitori del recettore per la glicoproteina (OR 2,7; CI 95% 1,1-6,2; p=0,03), da valori di INR >2,6 (OR 9,8; 2,6-27,1; p=0,0007), dal sesso femminile (2; 0,6-4,7; p=0,04) e dal fumo (2,9; 1,1-7,1; p=0,02). L’analisi multivariata ha evidenziato che soltanto valori di INR >2,6 rappresentavano un fattore predittivo di sanguinamento (HR 19,2; 4,3-44,6; p=0,0003).
L’incidenza totale di MACE era simile nei due gruppi. Nel gruppo in trattamento con triplice terapia, si sono verificati 3 casi di decesso (1 da cause cardiache), 1 di stroke ischemico e 2 di infarto miocardico non fatale, mentre nei controlli 1 caso di morte cardiaca, 2 di stroke ischemico e 2 di infarto miocardico non fatale.
I casi di morte da cause non cardiache, verificatisi in pazienti trattati con triplice terapia, erano dovuti ad occlusione intestinale e ad incidente automobilistico. Tra i due gruppi è stata osservata una simile incidenza di rivascolarizzazione del vaso target (1% vs 2,9%; p=0,3) e di trombosi dello stent (1% vs 2%; p=0,5). Tutti e 3 gli episodi di trombosi dello stent hanno determinato l’insorgenza di infarto miocardico non fatale.
Nel gruppo trattato con triplice terapia, l’unico episodio di trombosi dello stent si è verificato in un paziente a 60 giorni dall’impianto di uno stent metallico dopo che aveva sospeso la terapia con aspirina, mentre nel gruppo con duplice terapia antiaggregante si è verificato un caso in un paziente due giorni dopo l’impianto di uno stent metallico e un altro caso in un paziente 16 mesi dopo PCI in seguito all’interruzione della terapia con clopidogrel.

In pazienti sottoposti ad impianto di stent, l’interruzione della terapia antiaggregante aumenta il rischio di trombosi dello stent; anche una sospensione temporanea di anticoagulanti può determinare un incremento del rischio di eventi tromboembolici. Di contro, l’aggiunta di un anticoagulante orale ad un regime terapeutico a base di due antiaggreganti può aumentare il rischio di emorragie.

Il risultato principale di questo studio è che i pazienti in triplice terapia che mantenevano un valore di INR entro il range terapeutico inferiore (2-2,5), cioè il target raccomandato, presentavano un rischio di emorragie sovrapponibile a quello di pazienti in duplice terapia. Inoltre, un valore di INR >2,6 rappresentava l’unico fattore predittivo indipendente di emorragia.


Commento

Complessivamente, questi dati supportano le recenti linee guida su PCI (King SB III et al. J Am Coll Cardiol 2008; 51: 172–209) in cui si raccomanda di mantenere i livelli di INR tra 2 e 2,5 in pazienti trattati con warfarin, clopidogrel e aspirina dopo la procedura. In uno studio retrospettivo (Ruiz-Nodar JM et al. J Am Coll Cardiol 2008; 51: 818–25), che ha valutato l’importanza dell’aggiunta di un anticoagulante alla terapia antiaggregante in pazienti con fibrillazione atriale sottoposti a PCI (n=426), è stata osservata un’incidenza inferiore di MACE, così come una riduzione della mortalità, anche se l’uso di anticoagulanti orali in aggiunta ad una terapia antiaggregante è stato associato ad aumento non significativo di sanguinamenti maggiori.
Questo studio prospettico è il primo che correla l’INR agli outcome in pazienti in triplice terapia; la maggior parte delle complicanze emorragiche si è verificata in pazienti con valori di INR superiori a quelli raccomandati. Recenti studi (Rao SV et al. Eur Heart J 2007; 28; 1193–204; Eikelboom JW et al. Circulation 2006; 114: 774–82) hanno sottolineato che ridurre questo tipo di complicanze può avere un’importante implicazione prognostica, compresa la mortalità.
Dallo studio sopra riportato però si evince che, in pazienti in triplice terapia, il mantenimento di valori di INR entro il range terapeutico inferiore riduce il rischio di emorragie, garantendo al contempo l’efficacia nella prevenzione di complicanze ischemiche, come dimostrato dalla bassa incidenza di MACE al follow-up a lungo termine. In particolare, è stato osservato che l’incidenza di stroke ischemico era identica al gruppo in terapia duplice.
Una piccola percentuale di pazienti arruolati presentava una forte indicazione alla terapia con anticoagulanti orali con un INR di 2-3 (es. embolismo polmonare, trombi a livello del ventricolo sinistro), che potrebbe aver indotto a sovrastimare l’efficacia della triplice terapia con un basso range di INR (2-2,5) nella prevenzione di complicanze tromboemboliche. Tuttavia, questi risultati non possono essere estesi a pazienti con protesi valvolari meccaniche, in cui di solito è necessario mantenere valori di INR superiori e che sono stati esclusi da questo studio.
Inoltre, la riduzione degli eventi emorragici, soprattutto quelli gastrointestinali, potrebbe essere attribuita all’ampio utilizzo a scopo profilattico degli inibitori di pompa protonica che possono ridurre anche l’effetto antiaggregante del clopidogrel.


In conclusione, in pazienti sottoposti a stent, trattati con triplice terapia, valori di INR entro il range terapeutico inferiore possono ridurre il rischio di complicanze emorragiche. Per confermare questi dati è necessario, comunque, effettuare ulteriori studi di dimensioni più ampie.


Conflitto di interesse

Nessuno riportato.


Dottoressa Alessandra Russo

Riferimento bibliografico

Rossini R et al. Long-term outcomes in patients undergoing coronary stenting on dual oral antiplatelet treatment requiring oral anticoagulant therapy. Am J Cardiol 2008; 102: 1618-23.



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