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Fallisce ancora il controllo intensivo della glicema nel diabete tipo 2 |
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Inserito il 30 dicembre 2008 da admin. - metabolismo - segnala a:
Pubblicato lo studio VADT che dimostra, ancora una volta, come il controllo aggressivo della glicemia sia poco utile nel diabete di tipo 2 di vecchia data.
Nello studio VADT (Veterans Affairs Diabetes Trial) sono stati arruolati 1791 pazienti (età media 60,4 anni; 97% maschi; durata media del diabete circa 11 anni) con diabete tipo 2 in cattivo controllo (glicoemoglobina media: 9,4%). I pazienti che avevano un BMI superiore o uguale a 27 sono stati trattati con metformina + rosiglitazone, mentre quelli che avevano un BMI inferiore a 27 hanno ricevuto glimepiride + rosiglitazone. I partecipanti sono stati randomizzati in due gruppi, uno a controllo intensivo dell'equilibrio glicemico e uno a controllo più morbido. Nei pazienti del primo gruppo i farmaci venivano somministrati a dosaggio pieno, in quelli del secondo gruppo a metà dose. I medici potevano aggiungere insulina alla terapia già in atto se non si raggiungevano valori di emoglobina glicata inferiori al 6% o al 9% a seconda del gruppo. L'end-point primario era la comparsa di un primo evento cardiovascolare. La glicoemoglobina si stabilizzò attorno a valori di 8,4% nel gruppo "controllo morbido" e 6,9% nel gruppo "controllo intensivo". Dopo un follow-up mediano di 5,6 anni non si registrò alcun beneficio, per quanto riguarda l'end-point primario, nel gruppo "controllo intensivo" rispetto al gruppo "controllo standard" (HR 0,88; 0,74-1,05; p = 0,14). Anche i decessi non differivano statisticamente tra i due gruppi: rispettivamente 99 e 102. Non differivano le complicanze microvascolari (retinopatia, nefropatia e neuropatia). Gli eventi avversi, in primis l'ipoglicemia, si manifestò nel 17,6% del gruppo "controllo standard" e nel 24,1% del gruppo "controllo intensivo". Gli autori concludono che, in diabetici tipo 2 poco controllati, una terapia ipoglicemizzante aggressiva non riduce gli eventi cardiovascolari maggiori, i decessi o le complicanze microvascolari.
Fonte:
Duckworth W et al for the VADT Investigators. Glucose control and vascular complications in veterans with type 2 diabetes. N Engl J Med 2009 Jan 8; 360:129-139.
Commento di Renato Rossi
Non c'è due senza tre. Questo è il terzo studio pubblicato nel giro di pochi mesi, dopo l'ACCORD e l'ADVANCE [1], che mostra come il controllo intensivo dell'equilibrio glicemico non comporti benefici clinici rilevanti sulle maggiori complicanze cardiovascolari del diabete tipo 2. In realtà i risultati del VADT erano già stati anticipati e questa testata lo aveva puntualmente riferito [1]. Rimane poco altro da dire, se non concordare con gli autori del trial che raccomandano di porre attenzione e trattare al meglio soprattutto i fattori di rischio (ipertensione, ipercolesterolemia, obesità, etc.) che spesso sono associati al diabete, piuttosto che accanirsi ad ottenere target di emoglobina glicata prossimi ai valori normali e molto difficili da raggiungere se non a patto di usare molti farmaci, con gli effetti collaterali che questo comporta e la difficoltà di avere un' adeguata compliance. Anzi vi è il pericolo che il paziente, di fronte alla necessità di assumere molti farmaci, continui gli antidiabetici, ma smetta un antipertensivo o la statina. Ovviamente i risultati del VADT, come quelli dell'ACCORD e dell'ADVANCE, sono validi soprattutto in diabetici di vecchia data, mentre quelli nei quali la malattia è di più recente insorgenza potrebbero beneficiare maggiormente di uno stretto controllo glicemico, come suggerisce il follow-up a lungo termine dello storico UKPDS [2]. Però i dati derivanti dal lungo follow-up dell'UKPDS presentano delle criticità [2], per cui non è del tutto certo che nei diabetici di recente diagnosi il controllo intensivo della glicemia sia utile a ridurre le complicanze cardiovascolari. Tuttavia è ragionevole in questi casi pensare che sia così ed essere più aggressivi, tenuto conto che si ha a che fare con pazienti in genere più giovani, con una aspettativa di vita più lunga e nei quali è presumibile che le lesioni aterosclerotiche non abbiano ancora avuto il tempo di svilupparsi in modo completo.
Referenze
1. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=4056 2. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=4282
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