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Rosuvastatina e acidi grassi polinsaturi n-3 nell'insufficienza cardiaca cronica
Inserito il 04 giugno 2009 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

In pazienti con insufficienza cardiaca cronica di qualunque origine, la rosuvastatina 10 mg/die non influenza gli outcome clinici, mentre gli n-3 PUFA danno un piccolo beneficio in termini di mortalità ed ospedalizzazione per cause cardiovascolari.

In due articoli distinti, il GISSI ha valutato l’efficacia e la sicurezza della rosuvastatina e se gli acidi grassi polinsaturi n-3 (PUFA, polyunsaturated fatty acids) possano migliorano la morbidità e la mortalità in pazienti con insufficienza cardiaca cronica.

Gli studi sono stati condotti in Italia ed hanno coinvolto 326 centri di cardiologia e 31 di medicina interna. I pazienti eleggibili, di entrambi i sessi, erano di età =18 anni, con insufficienza cardiaca sintomatica di classe II-IV secondo la classificazione della New York Heart Association (NYHA). I criteri di esclusione comuni ai due studi sono stati: ipersensibilità ai trattamenti considerati; presenza di qualunque comorbidità non cardiaca (es. cancro) verosimilmente incompatibile con un follow-up sufficientemente lungo; trattamento con gli agenti in studio nel mese precedente la randomizzazione; sindrome coronarica acuta o una procedura di rivascolarizzazione effettuata nel mese precedente la randomizzazione; interventi chirurgici al cuore da effettuarsi nei 3 mesi successivi la randomizzazione; epatopatia di grado severo; gravidanza, allattamento o inadeguata protezione dal concepimento. Nello studio sulla rosuvastatina sono stati inoltre esclusi i pazienti con creatinemia >221 µmol/L, livelli di ALT e AST >1,5 volte il limite normale superiore, livelli di creatina fosfochinasi superiori al limite normale superiore; nello studio sugli n-3 PUFA una specifica indicazione o controindicazione a questi agenti.

Tra il 6 agosto 2002 e il 28 febbraio 2005, i pazienti sono stati randomizzati a ricevere rosuvastatina (10 mg/die), n-3 PUFA (1 g/die: 850-882 mg di esteri etilici degli acidi eicosapentaenoico e docosaesaenoico in rapporto 1:1,2) oppure placebo. In assenza di specifiche indicazioni o controindicazioni alle statine, i pazienti nel gruppo n-3 PUFA sono stati randomizzati a ricevere anche rosuvastatina (10 mg/die). Tutti i trattamenti di provata efficacia per l’insufficienza cardiaca (es. ACE inibitori, ß-bloccanti, diuretici, digitalici, spironolattone) sono stati raccomandati. Dopo la randomizzazione, è stato chiesto di tornare presso i rispettivi centri di riferimento ai mesi 1, 3, 6 e 12 e, successivamente, ogni 6 mesi fino alla fine dello studio, per sottoporsi alle visite programmate: visita cardiovascolare, misura dei segni vitali, elettrocardogramma a 12 lead, controllo della compliance, rilevamento degli eventi avversi gravi ed esami ematochimici.

Entrambi gli studi sono stati disegnati con due end point primari: la mortalità e la mortalità o l’ospedalizzazione per cause cardiovascolari.

Gli outcome secondari hanno compreso la mortalità cardiovascolare, la mortalità cardiovascolare o il ricovero in ospedale per qualsiasi causa, la morte cardiaca improvvisa (definita come la morte per cause cardiache entro 1 ora dalla comparsa dei sintomi), il ricovero in ospedale per qualsiasi causa, l’ospedalizzazione per cause cardiovascolari, per insufficienza cardiaca, l’infarto del miocardio e lo stroke.

Nello studio sulla rosuvastatina sono stati arruolati 4574 pazienti (rosuvastatina n=2285, placebo n=2289), in quello sugli n-3 PUFA 6975 pazienti (n-3 PUFA n=3494, placebo n=3481). Per entrambi gli studi il follow-up è terminato il 31 marzo 2008 e ha avuto una durata media di 3,9 anni. I pazienti inclusi nei due studi hanno presentato caratteristiche simili: età media 67–68 anni (42–44% >70 anni), 22–23% donne. Al momento dell’arruolamento i pazienti stavano assumendo un bloccante del sistema renina-angiotensina (94%), un ß-bloccante (62–65%) e lo spironolattone (39–40%).

Rosuvastatina vs placebo

Durante lo studio, 657 pazienti (29%) nel gruppo rosuvastatina e 644 (28%) in quello placebo sono deceduti per qualsiasi causa (HR 1,00; CI 95,5% 0,898–1,122; p=0,943). 1305 (57%) pazienti trattati con rosuvastatina e 1283 (56%) con placebo sono deceduti o sono stati ospedalizzati per cause cardiovascolari (HR 1,01; CI 99% 0,908 – 1,112; p=0,903).

Le frequenze degli outcome secondari sono risultate simili tra i due gruppi. Non sono state osservate differenze significative nelle cause di morte sia di tipo cardiovascolare che non-cardiovascolare. Nel gruppo rosuvastatina la concentrazione media delle LDL è diminuita da 3,16 mmol/L al basale a 2,15 mmol/L dopo 1 anno e a 2,31 mmol/L dopo 3 anni. Nel gruppo placebo la concentrazione di LDL non si è modificata in misura significativa. Il numero dei pazienti che ha interrotto il trattamento per eventi avversi è stato simile tra i due gruppi (104 vs 91, p=0,36) e i disturbi gastrointestinali sono stati l’evento avverso più comune.


I risultati mostrano che, in pazienti con insufficienza cardiaca cronica di qualunque origine, la rosuvastatina 10 mg/die non influenza gli outcome clinici.


n-3 PUFA vs palcebo

Durante lo studio 955 (27%) pazienti nel gruppo n-3 PUFA e 1014 (29%) in quello placebo sono deceduti per qualsiasi causa (HR 0,91; CI 95,5% 0,833–0,998; p=0,041). 1981 (57%) pazienti nel gruppo n-3 PUFA e 2053 (59%) in quello placebo sono deceduti o sono stati ospedalizzati per cause cardiovascolari (HR 0,92; CI 99% 0,849–0,999; p=0,009). In termini assoluti, 56 pazienti dovrebbero essere trattati per 3,9 anni per evitare una morte oppure 44 pazienti per evitare un evento come la morte o l’ospedalizzazione per cause cardiovascolari.

Le frequenze di tutti gli outcome secondari, ad eccezione di quella per lo stroke, sono risultate inferiori nel gruppo n-3 PUFA rispetto a placebo. Il peggioramento dell’insufficienza cardiaca è stata la principale causa di morte (9% vs 10% nei gruppi n-3 PUFA e placebo, rispettivamente; HR 0,92, CI 95% 0,79–1,07, p=0,275), seguita dalla presunta morte da aritmia (8% vs 9% nei gruppi n-3 PUFA e placebo, rispettivamente; HR 0,88, CI 95% 0,75–1,04, p=0,141).

Come previsto, nel gruppo n-3 PUFA la concentrazione plasmatica dei trigliceridi è diminuita da un valore medio di 1,42 mmol/L al basale a 1,36 mmol/L dopo 1 anno e a 1,34 mmol/L dopo 3 anni. Il numero dei pazienti che hanno interrotto il trattamento per eventi avversi è stato simile nei due gruppi (102 vs 104, p=0,87) e i disturbi gastrointestinali sono stati l’evento avverso più comune.

In pazienti con insufficienza cardiaca, nel contesto della terapia standard, il trattamento, semplice e sicuro con n-3 PUFA è in grado di fornire un piccolo beneficio in termini di mortalità e ospedalizzazione per cause cardiovascolari.



Commento

Nell’editoriale di accompagnamento Fonarow GC evidenzia che, nonostante i dati sperimentali suggeriscano i potenziali benefici associati all’uso di statine, i risultati sia dello studio GISSI-HF che di quello CORONA (Kjekshus J et al. N Engl J Med 2007; 47: 332-37), mostrano che la terapia con statine, in grado di ridurre i livelli del colesterolo LDL, ben tollerata e ragionevolmente sicura, non produce miglioramenti degni di nota sulla sopravvivenza dei pazienti con insufficienza cardiaca cronica. Peraltro, è noto che in questi pazienti livelli ridotti di colesterolo totale si associano ad un peggioramento degli outcome (Horwich TB et al. J Card Fail 2002; 8: 216-24). È stato suggerito che le lipoproteine potrebbero rimuovere le endotossine assorbite attraverso l’intestino che, nei pazienti con insufficienza cardiaca, può essere edematoso e più permeabile (Rauchhaus M et al. Lancet 2000; 356: 930-33). Così, qualsiasi potenziale beneficio delle statine nell’insufficienza cardiaca potrebbe essere compromesso dagli effetti negativi conseguenti alla riduzione dei livelli di colesterolo.

Relativamente agli effetti degli n-3 PUFA, Fonarow sottolinea che, sebbene modesti, sono additivi a quelli delle altre terapie per l’insufficienza cardiaca. La terapia con n-3 PUFA è sicura e ben tollerata e, sebbene rimangano incertezze sui meccanismi d’azione, sulla scelta della dose ottimale e sulla formulazione, dovrebbe essere aggiunta alla lista delle terapie per l’insufficienza cardiaca che si sono dimostrate capaci di prolungare la sopravvivenza.


Dottor Gianluca Miglio

Riferimenti bibliografici

1) Gissi-Hf investigators. Effect of rosuvastatin in patients with chronic heart failure (the GISSI-HF trial): a randomised, double-blind, placebo-controlled trial. Lancet 2008; DOI:10.1016/S0140-6736(08)61240-4.

2) Gissi-Hf investigators. Effect of n-3 polyunsaturated fatty acids in patients with chronic heart failure (the GISSI-HF trial): a randomised, double-blind, placebo-controlled trial. Lancet 2008; DOI:10.1016/S0140-6736(08)61239-8.
Fonarow GC. Statins and n-3 fatty acid supplementation in heart failure. Lancet 2008; DOI:10.1016/S0140-6736(08)61241-6.


Contributo gentilmente concesso dal Centro di Informazione sul Farmaco della Società Italiana di Farmacologia - http://www.sifweb.org/farmaci/info_farmaci.php/

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