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Follow-up a lungo termine dell'UKPDS
Inserito il 26 ottobre 2008 da admin. - metabolismo - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

In un follow-up durato 10 anni dopo il termine dell'UKPDS, i benefici del controllo glicemico continuano a persistere anche se esso viene meno; non altrettanto si può dire per il controllo della pressione arteriosa.


Sono stati pubblicati i risultati di un follow-up a lungo termine dei pazienti reclutati nello storico UKPDS, terminato nel 1997. In questo studio erano stati arruolati 5012 pazienti affetti da diabete tipo 2 di nuova diagnosi. I pazienti vennero suddivisi in due gruppi: uno trattato con terapia convenzionale ed uno con terapia intensiva (sulfonilurea o insulina oppure, nei pazienti obesi, metformina). Inoltre 1148 pazienti che erano anche ipertesi furono randomizzati a controllo stretto oppure più elastico della pressione arteriosa.
Nel primo dei due studi post-trial 884 pazienti degli iniziali 1148 ipertesi sono stati seguiti con un questionario per 10 anni [1]. La differenza nella pressione arteriosa evidenziata alla fine dello studio scomparve a due anni dal termine. Nello studio originale si era visto che il controllo stretto della pressione portava ad una riduzione degli esiti diabetci, della morte legata al diabete, delle complicanze micorvasali e dello stroke. Ma tale differenza non fu più evidente nel periodo post-trial.
Gli autori concludono che i benefici osservati nel controllo stretto della pressione si perde nel periodo post-trial quando la difefrenza tra i valori pressori nei due gruppi scompare. Questo significa che il controllo della pressione deve essere continuo per produrre benefici che duraturi.
Nel secondo studio post-trial [2] sono stati seguiti i 4209 pazienti che rano stati originariamente randomizzati a terapia intensiva o convenzionale. Di questi è stato possibile avere i dati di 3277, seguiti sempre con questionari per 10 anni. La differenza nei valori di emoglobina glicata riscontrati tra i due gruppi alla fine dello studio scomparve alla fine del primo anno di follow-up post-trial.
La riduzione riscontrata nel gruppo trattato con sulfonilurea per ogni end-point diabete-associato, per le complicanze micorvascolari, per l'infarto miocardico e per i decessi da ogni causa, si mantenne per tutti i 10 anni di follow-up. Anche nel gruppo inizialmnte trattato con iìmetformina si osservò un comportamento analogo. Gli autori concludono che anche se il controllo glicemico si perde alla fine dello studio i benefici nel ridurre il rischio micro e macrovascolare persistono a 10 anni nel gruppo trattato con terapia intensiva.



Fonte:

1. Holman RR et al. Long-Term Follow-up after Tight Control of Blood Pressure in Type 2 Diabetes.
N Engl J Med 2008 Oct 9; 359: 1565-1576
2. Holman RR et al. 10-Year Follow-up of Intensive Glucose Control in Type 2 Diabetes. N Engl J Med 2008 Oct 9; 359:1577-1589.



Commento di Renato Rossi

Va premesso che i risultati di studi come questi andrebbero sempre interpretati con una certa prudenza. Infatti, come si può vedere, di un numero rilevante di pazienti inizialmente arruolati si perdono le tracce e questo potrebbe inficiare i dati ottenuti. Un altro limite è rappresentato dalle modalità di raccolta dei dati stessi, che prevedeva l'uso di questionari.
Detto questo, si può passare ad analizzare in dettaglio i due lavori.
Il primo studio non desta meraviglia perchè è logico attendersi che se si smette di tener sotto controllo la pressione con una terapia adeguata si perdono anche i benefici clinici conseguenti.
Più interessanti sono invece i risultati del secondo studio. Ci si dovrebbe aspettare un comportamento analogo anche per il controllo glicemico, invece in questo caso i benefici cardiovascolari si mantengono pure quando viene meno la partecipazione al trial e scompare, rispetto al gruppo controllo, la differenza nei valori di glicoemoglobina. Per spiegare questo strano comportamento un editorialista invoca il cosiddetto "effetto eredità". E' probabile che questo dipenda dal fatto che nel diabetico di nuova diagnosi il processo ateromasico sia ancora in una fase in cui la ridotta esposizione ai prodotti della glicosilazione che si ottiene con il controllo glicemico possa influenzarne il decorso per vari anni.
Balza subito agli occhi che questi risultati sono apparentemente in contrasto con quelli dei recenti studi ACCORD ed ADVANCE. Nel primo, il controllo aggressivo della glicemia ha portato ad un eccesso di mortalità rispetto ad un controllo più morbido (tanto che lo studio è stato interrotto anticipatamente); nel secondo, il controllo glicemico stretto ha ridotto le complicanze microvascolari ma non ha avuto alcun impatto positivo su quelle macrovascolari. Come spiegare questa contraddizione? Gli autori dei due studi recensiti in questa pillola ricordano che le popolazioni arruolate erano diverse. Nell'UKPDS i pazienti erano diabetici di nuova diagnosi, negli studi ACCORD e ADVANCE erano diabetici di vecchia data, molti con patologia cardiovascolare già in atto. Questo confermerebbe che i benefici del controllo glicemico sono massimi solo se la terapia ipoglicemizzante aggressiva viene attuata all'inizio della malattia, mentre si perdono o si attenuano quando la malattia ha già avuto il tempo di produrre danni più o meno manifesti.
Tuttavia vi è un'altra spiegazione che non va sottovalutata, a nostro avviso, e la contraddizione osservata è solo apparente. Se si analizza la figura 2a del lavoro originale si nota che nel gruppo sulfanilurea alla fine dell'UKPDS (nel 1997) il valore medio della glicoemoglobina era di poco superiore all'8% mentre nel gruppo controllo era superiore all',8,5%. Nella figura 2b vengono invece riportati valori medi di emoglobina glicata nel gruppo degli obesi trattati con metformina e negli obesi di controllo: in entrambi i casi i valori erano superiori all'8,5%. Va ricordato invece che negli studi ACCORD ed ADVANCE i valori medi di glicoemoglobina nei gruppi randomizzati a controllo metabolico intensivo, alla fine del trial, erano rispettivamente di 6,4% e di 6,5%. Questo significa che il controllo metabolico ottenuto nei due studi più recenti è molto diverso rispetto a quello ottenuto nell'UKPDS e non ha molto senso paragonare i due tipi di intervento che sono sicuramente diversi per intensità e quantità di farmaci usati.
Cosa si può dedurre da tutta questa messe di dati? Ci sembra che il messaggio take-away possa così
riassumersi:
1) nel diabetico non bisogna mai abbassare la guardia e cercare sempre di tenere sotto controllo i valori tensivi
2) nei diabetici di vecchia data, in cui verosimilmente le complicanze cardiovascolari sono già presenti, in forma più o meno manifesta, ci si può accontentare di un controllo morbido dell'equilibrio glicemico: probabilmente è ragionevole cercare di arrivare a valori di HbA1c attorno a 7-7,5%
3) nei diabetici tipo 2 di nuova insorgenza può valere la pena di adottare una terapia ipoglicemizzante più intensiva e di arrivare a valori di glicoemoglobina più bassi: probabilmente valori attorno al 6,5% sono adeguati.
Nelle ultime linee guida dell'American Diabetes Association e dell'European Association for the Study of Diabetes, pur consigliando un target di emoglobina glicata di 6,5%, viene riconosciuto che la terapia ipoglicemizzante va modulata in base al tipo di paziente, considerando la comorbidità, l'aspettativa di vita, il rischio di ipoglicemie gravi [1]. Sullo stesso registro si era espresso l'Amercian College of Physicians [2], quando ancora non erano disponibili i risultati degli studi ACCORD ed ADVANCE.


Referenze

1. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=4308
2. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=3559





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