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Rosuvastatina e omega 3 nello scompenso cardiaco: studio GISSI-HF
Inserito il 02 settembre 2008 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Nello scompenso cardiaco gli omega 3 riducono mortalità e ricoveri per cause cardiovascolari, mentre così non è per la rosuvastatina.



Lo studio italiano GISSI-HF (Heart Failure) era stato programmato con il fine di valutare l'effetto degli acidi grassi omega 3 e delle statine in pazienti con scompenso cardiaco sintomatico.
Nella parte dello studio [1] che riguardava gli acidi grassi omega 3 (n-3 PUFA) sono stati trattati con n-3 PUFA alla dose di 1 grammo/die (n = 3494) o con placebo (n = 3481) pazienti affetti da scompenso cardiaco in classe HYHA II-IV, indipendentemente dal valore della frazione di eiezione. Il follow-up è durato mediamente 3,9 anni. Gli end-point primari era la mortalità e la mortalità e le ospedalizzazioni per cause cardiovascolari. End-point secondari erano la mortalità cardiovascolare, la morte cardiaca improvvisa e i ricoveri per cause cardiovascolari.
I decessi si verificarono nel 27,3% del gruppo omega 3 e nel 29,1% del gruppo placebo (HR aggiustata 0,91; 0,833-0,998). I decessi e i ricoveri per cause cardiovascolari furono il 56,7% e il 59% rispettivamente (HR 0,92; 0,849-0,999). Gli omega 3 ridussero, in maniera statisticamente significativa anche i decessi da cause cardiovascolari (20,4% vs 22,0%; HR 0,90; 0,81-0,99), e i ricoveri per cause cardiovascolari (46,8% vs 48,5%; HR 0,93; 0,87-0,99), ma non la morte cardiaca improvvisa (8,8% vs 9,3%; HR 0,93; 0,79-1,08). Non c'era differenza statisticamente signifficativa per quanto riguarda l'infarto e lo stroke. Bisogna trattare 56 pazienti per evitare un decesso e 44 pazienti per evitare un decesso o un ricovero per cause cardiovascolari.
Gli autori spiegano che il meccanismo d'azione degli omega 3 non è chiaro (forse una riduzione della produzione delle citokine, o una riduzione dell'aggregazione piastrinica o della pressione arteriosa o un miglioramento della funzione ventricolare).
Nella parte dello studio [2] che riguardava la somministrazione di statina venne somministrata rosuvastatina 10 mg/die ( n = 2285) o placebo ( n = 2289) . Anche in questo caso il follow-up medio fu di 3,9 anni. Gli end-point primari erano rappresentati dal tempo di morte o dal tempo di morte o di ricovero per cause cardiovascolari. Alla fine del follow-up non si osservò differenze tra i due gruppi: mortalità: 29,0% vs 28,0% (HR 1,00; 0,898-1,122); mortalità e ricoveri per cause cardiovascolari: 57.,0% vs 56,0% (HR 1,01; 0,908-1,112). L'esame per sottogruppi (presenza di diabete, valore della frazione di eiezione, età) ha confermato i dati dell'analisi principale. Il colesterolo LDL risultò ridotto dalla rosuvastatina del 27%.


Fonte:

1. GISSI-HF investigators. Effect of n-3 polyunsaturated fatty acids in patients with chronic heart failure (the GISSI-HF trial): a randomized, double-blind, placebo-controlled trial. Lancet 2008 Oct 4; 372:1223-1230.
2. GISSI-HF investigators. Effect of rosuvastatin in patients with chronic heart failure (the GISSI-HF trial): a randomized, double-blind, placebo-controlled trial. Lancet 2008 Oct 4; 372:1231-1239.


Commento di Renato Rossi

Lo studio GISSI-HF, pubblicato anticipatamente dal Lancet e contemporaneamente presentato in anteprima a Monaco al Congresso Europeo di Cardiologia, era molto atteso. In effetti l'esame di alcuni studi faceva ipotizzare che le statine potessero essere utili anche nello scompenso cardicaco oltre che nella cardiopatia ischemica e nei pazienti ad alto rischio cardiovascolare [1]. Tuttavia nessuno di questi studi era stato appositamente disegnato per testare l'ipotesi di un'efficacia delle statine nello scompensato. L'ipotesi era però attraente e portò alla programmazione di due studi effettuati in pazienti con insufficienza cardiaca: lo studio CORONA e lo studio GISSI-HF.
Lo studio CORONA (che riguardava pazienti con scompenso di natura ischemica) è stato pubblicato nel 2007: anche in quel caso però la statina non riuscì a ridurre l'end-point primario, composto da morte da cause vascolari, infarto non fatale, stroke non fatale.
Ora lo studio GISSI-HF (in cui i pazienti con scompenso di natura ischemica rappresentavano circa il 40% della popolazione arruolata) conferma che non si hanno benefici dall'aggiunta di una statina nel paziente con insufficienza cardiaca. Nel nostro commento allo studio CORONA avanzavamo l'ipotesi che forse la statina non riesce più ad agire quando ormai lo scompenso si è instaurato. Di questo stesso avviso sono un editorialista che, sul Lancet, commenta i risultati del trial e gli autori dello studio. Qualsiasi sia il motivo, l'impressione è che comunque dalle statine si stia pretendendo un po' troppo. Lo studio SEAS [3] ne è un chiaro esempio: in questo trial l'associazione ezetimibe/simvastatina era stata testata per valutare se riusciva utile in pazienti affetti da stenosi aortica! Le statine sono sicuramente un'ottima classe di farmaci, ma non si può pretendere che siano la "pallottola magica" per tutte le patologie cardiache.
Rimane da commentare la parte del GISSI-HF che ha riguardato gli omega 3. In questo caso i risultati positivi sono sicuramente una piacevole sorpresa, anche se la significatività statistica è molto risicata: d'altra parte il trattamento attuale del paziente con insufficienza cardiaca è, probabilmente, arrivato al massimo delle nostre attuali possibilità tecniche, quindi qualsiasi passo in avanti, anche se piccolo, è il benvenuto. Infatti un editorialista sottolinea che, alla luce di questi risultati, gli acidi omega 3 dovebbero ora entrare a far parte della strategia terapeutica dello scompenso cardiaco.


Referenze


1. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=2841
2. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=3599
3. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=4155


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