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PUFA ma non rosuvastatina riduce mortalità nello scompenso cardiaco
Inserito il 02 settembre 2008 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

I risultati combinati dei trial GISSI HF dimostrano che la somministrazione di una piccola quantità di n3 PUFA ma non di rosuvastatina riduce la mortalità nello scompenso cardiaco.

Background

L'insufficienza cardiaca è associata a mortalità e morbidità significative. L'indice di mortalità a cinque anni è stato stimato intorno al 50%; tuttavia i pazienti con una insufficienza cardiaca grave potrebbero avere un indice di mortalità che si avvicina al 50% in un anno.

L'ipotesi n3 PUFA

I risultati dello studio GISSI-Prevenzione hanno indicato che un trattamento di 3 anni con n-3 PUFA è in grado di ridurre significativamente (21%) la mortalità totale di pazienti reduci da un infarto miocardico acuto (IMA) in cui il trattamento era iniziato entro 3 mesi dall’inizio dei sintomi. Un’analisi a posteriori ha mostrato che la causa di decesso che veniva maggiormente ridotta dagli n-3 PUFA era la morte improvvisa. Studi sperimentali e su piccoli numeri di pazienti hanno dimostrato che gli n-3 PUFA hanno effetti antiaritmici e antifibrillatori.

Circa la metà dei decessi dei pazienti con insufficienza cardiaca (IC) sono classificati come morte improvvisa.

Un’analisi a posteriori del GISSI-Prevenzione ha rivelato che l’efficacia di n-3 PUFA su mortalità totale e improvvisa in un sottogruppo di circa 2000 pazienti con disfunzione del ventricolo sinistro o insufficienza cardiaca è simile a quella osservata nella popolazione generale.

Diventa quindi rilevante verificare con un trial se gli n-3 PUFA sono in grado di migliorare la prognosi dei pazienti con IC di ogni eziologia, con o senza riduzione della frazione di eiezione.

L'ipotesi statine

La progressione dell’IC può essere solo rallentata, ma non prevenuta, con i trattamenti di provata efficacia, visto che molti fattori e disfunzioni di differenti organi contribuiscono al peggioramento del quadro clinico.

Poiché la causa principale di IC è la cardiopatia ischemica, la sua prevenzione potrebbe essere un modo per rallentare la progressione dell’IC. Un’analisi a posteriori dello studio 4S ha mostrato che l’uso di statine, in pazienti con cardiopatia ischemica senza di segni di IC, può prevenire l’insorgenza di IC.

Inoltre, studi più recenti suggeriscono che una terapia con statine può avere effetti benefici diversi da quelli diretti sulla sintesi del colesterolo. Si pensa che l’inibizione dell’enzima HMG-CoA reduttasi non solo riduca il colesterolo, ma anche la sintesi di molecole coinvolte nella risposta infiammatoria, come citochine e chemochine, che possono essere maggiormente espresse nei pazienti con IC. D’altro canto, esistono alcune indicazioni che alti livelli di colesterolo possono avere un effetto benefico nel paziente con IC: questo effetto sarebbe mediato dalla capacità delle lipoproteine sieriche ricche in colesterolo di modulare la risposta infiammatoria, legando e inattivando il lipopolisaccaride batterico (LPS), la cui produzione è aumentata nei pazienti con IC (la cosidetta ipotesi endotossina-lipoproteina). LPS stimola fortemente il rilascio di citochine infiammatorie, che favoriscono la progressione dell’IC. Solo uno studio clinico potrà chiarire come possano bilanciarsi questi due effetti apparentemente contrastanti delle statine sulla risposta infiammatoria.

Il trattamento con statine può anche migliorare la funzione endoteliale, depressa nei pazienti con IC, indipendentemente dall’eziologia e ritenuta coinvolta nella comparsa dell’insufficienza multiorgano.

Questi dati incoraggiano a verificare se i pazienti con IC possono beneficiare di una terapia con statine. Non esistono evidenze di trial controllati sugli effetti delle statine nell’IC; sono state effettuate solo analisi a posteriori, come quella dell’ELITE-2, in cui si è osservata una riduzione di mortalità nei pazienti con IC di ogni causa trattati con statine in modo non randomizzato.

In 897 pazienti con disfunzione del ventricolo sinistro o insufficienza cardiaca, randomizzati a pravastatina o controllo nello studio GISSI-Prevenzione, la statina è risultata ben tollerata e l’effetto sulla mortalità totale è risultato tendenzialmente simile a quello osservato nella popolazione generale.

I risultati dello studio HPS (Heart Protection Study), presentati per la prima volta in novembre del 2001, indicano che le statine sono efficaci nella prevenzione secondaria di eventi ischemici indipendentemente dai livelli di colesterolo, in pazienti che non avevano insufficienza cardiaca.

Disegno dello studio

Secondo la caratteristica degli studi GISSI, anche il GISSI-HF è uno studio pragmatico, su pazienti poco selezionati in modo da avvicinarsi il più possibile alla realtà clinica.

Il trial GISSI-HF è uno studio prospettico, multicentrico, in doppio cieco, controllato con placebo, in cui pazienti con diagnosi di IC reclutati presso 357 centri italiani ((326 cardiologie, 31 medicine interne) che sono stati randomizzati a

n-3 PUFA o placebo (Randomizzazione 1);

rosuvastatina o placebo (Randomizzazione 2).


Obiettivi principali

Lo studio GISSI HF si propone di dimostrare, in pazienti con IC trattata, se una terapia a lungo termine con

(a) n-3 PUFA

(b) rosuvastatina

riduca

la mortalità totale,

la mortalità totale o il ricovero per motivi cardiovascolari, rispetto ai corrispondenti gruppi placebo.

Altre valutazioni di efficacia

La superiorità rispetto al placebo di una terapia a lungo termine con (a) n-3 PUFA, (b) rosuvastatina è stata valutata sulla base di una riduzione di:

mortalità cardiovascolare,

mortalità cardiovascolare o ricovero, per IC o per qualsiasi ragione,

mortalità improvvisa,

ricovero per qualsiasi ragione,

ricovero per ragioni cardiovascolari,

ricovero per IC congestizia,

infarto miocardico,

ictus

Trattamenti concomitanti

I pazienti sono stati trattati al meglio delle terapie oggi raccomandate per lo scompenso cardiaco (in particolare, ACE inibitori, betabloccanti, diuretici, digitale, spironolattone, quando indicati). Erano permessi i trattamenti con amiodarone, aspirina e/o anticoagulanti orali, sulla base della decisione del curante. Non era permesso alcun farmaco ipolipemizzante in aperto nei pazienti randomizzati nello studio rosuvastaina vs placebo.

Da notare che sono stati arruolati pazienti affetti anche da scompenso non ischemico e che la maggior parte dei pazienti era in classe NYHA inferiore alla terza.

Dimensioni del campione

Ipotesi per l’endpoint mortalità totale

a. pazienti con IC di gravità paragonabile hanno una mortalità del 9-10% anno, quindi la mortalità totale attesa dello studio dopo 3 anni di follow-up è del 25%;

b. i risultati di trial precedenti suggeriscono che circa la metà dei pazienti ha una IC conseguente a cardiopatia ischemica, di cui una metà potrebbe essere candidata a un trattamento con statine. D’altra parte, solo il 10% dei pazienti con IC di causa non ischemica dovrebbe essere candidato a trattamento con statine. Ci si aspetta quindi che il 70-75% dei pazienti arruolati in R1 (n-3 PUFA vs placebo) possa essere randomizzato a R2 (rosuvastatina vs placebo);

c. il beneficio minimo clinicamente accettabile del trattamento in studio è una riduzione del 15% della mortalità totale con un errore di tipo I (alfa) del 5%.

Ipotesi per l’endpoint combinato di mortalità totale e ospedalizzazione per motivi cardiovascolari

a. l’incidenza cumulativa attesa di decessi e ospedalizzazioni per ogni causa nel corso di 3 anni di follow-up è del 40-45%;

b. il beneficio minimo clinicamente rilevante dei trattamenti in studio sull’endpoint cumulativo è una riduzione di rischio del 20%


Numero di pazienti da arruolare

Per ottenere un livello di significatività statistica complessivo pari al 5%, è stato previsto un aggiustamento ai livelli di significatività dei due endpoint primari come segue: a= 0.045 per l’endpoint mortalità totale e a= 0.01 per l’endpoint combinato di mortalità totale e ospedalizzazione motivi cardiovascolari. Al fine di individuare una differenza di almeno il 15% tra i trattamenti randomizzati, si devono raggiungere 1252 decessi nel corso dello studio, sia per R1 che per R2 (disegno “event driven”) con una potenza statistica del 90% in entrambi i trial ed un errore complessivo di tipo I del 5%. La randomizzazione di 7000 e 5250 pazienti appare adeguata per verificare l’efficacia di n-3 PUFA e rosuvastatina, rispettivamente, alle condizioni di cui sopra, durante una fase di arruolamento di 18 mesi. Il follow-up previsto era di almeno di 3 anni, fino ad un massimo di 4,5 anni, a condizione che:

l’efficacia o il danno non raggiunga il livello nominale di significatività di p<0,001 e di p<0,05, rispettivamente a favore o sfavore dei trattamenti in R1 e/o in R2, all’analisi ad interim programmata quando è stata osservata circa la metà dei decessi;

la mortalità osservata nel follow-up permetta di valutare le differenze attese tra i trattamenti sulla base di un disegno “event driven”;se il numero di eventi sarà raggiunto per R1 prima che per R2, R2 verrà continuato fino a che saranno raggiunti 1252 decessi.

Principali risultati

I risultati dei due studi sono stati presentati in anteprima al Congresso Esc (European society of cardiology e pubblicati sul Lancet.


Studio n3 PUYFA vs placebo

Nello studio n3 PUFA vs placebo sono stati arruolati soggetti di età pari o superiore a 18 anni, di classe Nyha II-IV, senza esclusioni o differenze in merito alla causa dello scompenso che sono stati randomizzati a n-3 PUFA 1 g die (n=3494) o placebo (n=3481).
Il follow-up mediano è stato di 3,9 anni (IQR 3,0–4,5).
955 (27%) pazienti sono deceduti nel braccio n-3 PUFA e 1014 (29%) in quello placebo (adjusted hazard ratio [HR] 0,91 [95,5% CI 0,833–0,998], p=0,041). 1981 (57%) pazienti nel braccio n-3 PUFA e 2053 (59%) in quello placebo sono deceduti o sono stati ricoverati per cause cardiovascolari (adjusted HR 0,92 [99% CI 0,849–0,999], p=0,009). Cinquantasei pazienti devono essere trattati per un periodo mediano di 3,9 anni per evitare una morte o 44 per evitare una morte o un ricovero per cause cardiovascolari.



Conclusioni dello studio n3 PUFA vs placebo

Gli Autori conludono che un semplice e sicuro trattamento con n3 PUFA può ridurre, sia pure di poco, ma in modo significativo, la mortalità per tutte le cause o le ospedalizzazioni per cause cardiovascolari in pazienti con scompenso cardiaco.

Studio rosuvastatina vs placebo

I soggetti arruolati, di età pari o superiore a 18 anni, con scompenso per qualsiasi causa, con classe NYHA II-IV, sono stati randomizzati a ricevere 10 mg/die di rosuvastatina (n=2285) o placebo (n=2289), in aggiunta alla terapia ottimale standard. I pazienti sono stati seguiti per un periodo medio di 3,9 anni.

Risultati dello studio rosuvastatina vs placebo

Il 29% dei pazienti del gruppo rosuvastatina e il 28% di quelli del gruppo placebo è morto per ogni causa (p=0,943); non si è rilevata alcuna differenza significativa (p=0,903) tra i due gruppi anche per l’altro endpoint ossia la combinazione della mortalità per tutte le cause e le ospedalizzazioni cardiovascolari (57% e 56%, rispettivamente).




Non sono state osservate differenze in merito agli end points primari considerati in relazione alla presenza di diabete, di frazione di eiezione superiore al 40% e nei pazienti anziani.

Il trattamento con rosuvastatina ha diminuito il colesterolo LDL del 27% a 3 anni (da 123 mg/dL al basale a 90 mg/dL) e un'analisi preliminare, non ha mostrato variazioni negli end point primari in base ai livelli di colesterolo LDL raggiunti.

Commento di Luca Puccetti

Dopo la pubblicazione dello studio CORONA, che aveva dimostrato una riduzione delle ospedalizzazioni, ma non della mortalità in pazienti con scompenso cardiaco avanzato, c'era una grande aspettativa per i risultati degli studi GISSI-HF.

Lo studio GISSI-HF ha arruolato un maggior numero di pazienti con scompenso non ischemico e con classe NYHA meno avanzata ispetto a quanto avvenuto nel CORONA. Molti avevano osservato che lo studio CORONA aveva un follow-up troppo breve (mediana di 32,8 mesi) per evidenziare differenze in termini di mortalità.

Lo studio GISSI HF- non ha un follow-up molto più lungo pertanto i dubbi su effetti sulla mortalità a lungo termine possono rimanere, tuttavia è da considerare che la mortalità media nella IC è di circa il 50% a 5 anni, pertanto i 3,9 anni mediani del follow-up del GISSI HF sono un tempo ragionevolmente lungo per evidenziare effetti sulla mortalità. Inoltre è da rilevare che gli eventi su cui è stata tarata la potenza dello studio si sono verificati in percentuali addirittura superiori a quelle previste, dunque non c'è stato alcun effetto di underpowerment legato ad una riduzione della frequenza di eventi.

Seguendo una certa logica ci si sarebbe potuti aspettare che, contrariamente a quanto successo nello studio CORONA ove i pazienti erano molto anziani, nel GISSI-HF, rosuvastaina vs placebo, la presenza di pazienti più giovani ed in classe NYHA meno avanzata avrebbe potuto dare una chance maggiore alla statina, tuttavia è da osservare che nel GISSI-HF una parte rilevante di pazienti non erano affetti da scompenso ischemico e questo potrebbe aver avuto un certo effetto. Si conferma la dicotomia tra effetto ipolipemizzante sulle LDL e mancanza di conseguimento di risultati clinici, che era già stato evidenziato, prevalentemente su end point biologici, in altri studi sulle statine. Un ulteriore elemento che andrà analizzato a fondo è la percentuale di pazienti che già erano in terapia con statina prima dell'arruolamento e per quanto tempo erano in tale trattamento.

La lezione dall'esame combinato del GISSI HF e del CORONA sembra dunque indicare che allorquando la cardiopatia ischemica sia talmente progredita da causare insufficienza cardiaca la terapia con statina non appare apportare benefici apprezzabili su end point clinicamente rilevanti.

Tuttavia rimangono aperti alcuni interrogativi circa il tempo e il tipo di scompenso ischemico. Infatti un conto è un deficit di pompa conseguente ad un evento ischemico acuto ed in cui la terapia con statina sia stata iniziata precocemente, magari dopo rivascolarizzazione, un conto è uno scompenso non ischemico, o uno scompenso ischemico conseguente ad una lunga storia di ischemia cronica in cui la terapia con statine sia stata iniziata tardivamente. Sembra dunque che la statina possa apportare benefici soprattutto prima che il deficit di pompa dia origine al complesso meccanismo dello scompesno con l'entrata in funzione della cascata delle citochine.

Indubbiamente interessante è il risultato dello studio n3 PUFA vs placebo che dimostra un effetto ancora non chiaro degli omega 3 che forniscono un vantaggio piccolo, ma significativo, in pazienti con scompenso cardiaco sulla mortalità per qualsiasi causa.

Questo se da una parte lascia aperti una serie di interrogativi circa il timing e le dosi più adeguate a garantire un effetto più pronunciato sulla mortalità, fa anche intravedere un meccanismo che va al di là della riduzione delle morti improvvise, che possono essere legate all'effetto antiaritmico, ben noto, dei n3 PUFA e che era già stato evidenziato dal GISSI PREVENZIONE. Quindi è ipotizzabile un qualche meccanismo dei n3 PUFA che, diversamente dalle statine, incida sulla progressione stessa dello scompenso, anche quando esso si sia già instaurato.

Riferimenti

1) http://www.gissi.org/index.html
2) The Lancet early on line publication: 31 Agosto 2008: Effect of n-3 polyunsaturated fatty acids in patients with chronic heart failure (the GISSI-HF trial): a randomised, double-blind, placebo-controlled trial
3) The Lancet early on line publication: 31 Agosto 2008:Effect of n-3 polyunsaturated fatty acids in patients with chronic heart failure (the GISSI-HF trial): a randomised, double-blind, placebo-controlled trial
4) http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=2841
5) http://www.pillole.org/public/aspnuke/newsall.asp?id=3599
6) http://www.pillole.org/public/aspnuke/newsall.asp?id=3672
7) http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=4220



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