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Omega 3 riducono rischio di fibrillazione atriale in infartuati
Inserito il 26 gennaio 2009 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

La terapia farmacologica con n-3 PUFA ha ridotto significativamente il rischio ad un 1 anno di AF in una coorte di pazienti ospedalizzati per IM e senza fibrillazione atriale alla dimissione.

Attualmente non esiste ancora un consenso su come migliorare la prevenzione e il trattamento della fibrillazione atriale (AF).
Negli ultimi anni sono aumentate le evidenze e l’attenzione sull’azione cardioprotettiva degli acidi grassi omega-3 (n-3 polyinsaturated fatty acids, PUFA*). Studi epidemiologici (Kromhout D et al. Int J Epidemiol 1995; 24: 340–5. Daviglus ML et al. N Engl J Med 1997; 336: 1046–53. Yuan JM et al. Am J Epidemiol 2001; 154: 809–16. Hu FB et al. JAMA 2002; 287: 1815–21. Mozaffarian D et al. Circulation 2003; 107: 1372–77. Fraser GE et al. Arch Intern Med 1992; 152: 1416–24. Rodriguez BL et al. Circulation 1996; 94: 952–56. Albert CM et al. JAMA 1998; 279: 23–28) e studi clinici controllati e randomizzati (Burr ML et al. Lancet 1989; 30: 757–61. GISSI Prevenzione Investigators, Gruppo Italiano per lo Studio della Sopravvivenza nell’Infarto miocardico. Lancet 1999; 354: 447–55) hanno confermato il ruolo degli n-3 PUFA nel ridurre la mortalità per tutte le cause e gli eventi cardiovascolari nei pazienti con precedente infarto miocardico (IM).
Questi effetti sembrano essere mediati da una riduzione delle aritmie ventricolari (Marchioli R et al, GISSI-Prevenzione Investigators. Circulation 2002; 105: 1897–903).

L'obiettivo del presente studio, condotto dal Dipartimento di Farmacologia ed Epidemiologia del Consorzio Mario Negri Sud, era quello di analizzare, nella reale pratica clinica, l'uso degli n-3 PUFA come terapia farmacologica e verificare il potenziale rapporto tra questo trattamento e il verificarsi di AF, mediante l’impiego di database amministrativi.

Sono state effettuate analisi mediante il record-linkage di tre banche dati (i registri di dimissione ospedaliera, le banche dati di prescrizione, il registro civile) su un totale di 2.239.205 soggetti in sei unità sanitarie locali nel Nord e del Sud Italia, nel periodo gennaio 2002-dicembre 2004.
La popolazione dello studio era rappresentata da tutti i pazienti dimessi nel corso di 12 mesi, con una diagnosi primaria di infarto acuto del miocardio (codice ICD-9: 410), sopravvissuti alla data indice di ospedalizzazione e nei quali non era stata riscontrata AF durante l’IM.
Il follow-up per ogni paziente è stato esteso dalla data indice a 1 anno o fino al verificarsi di un evento importante prima del 360mo giorno.

Gli end point primari erano la mortalità da qualsiasi causa e il primo evento di AF che ha richiesto l’ospedalizzazione.

Nello studio sono stati identificati e inclusi 3242 pazienti in totale. Di questi, 215 (6,6%) hanno ricevuto almeno una prescrizione di n-3 PUFA nel corso del follow-up e si sono resi disponibili per l’analisi di mortalità da tutte le cause.
Relativamente all’evento “sopravvivenza all’IM senza la presenza di AF”, erano disponibili i dati di 208 pazienti, perché a 7 pazienti era stato prescritto n-3 PUFA dopo ospedalizzazione in presenza di AF.
I pazienti esposti al trattamento (anche una sola prescrizione a questi agenti sia prima che dopo il ricovero ospedaliero) con n-3 PUFA durante il follow-up erano più giovani (65 vs 68 anni), prevalentemente di sesso maschile (79 vs 68%) e con un profilo di rischio cardiovascolare inferiore, espresso da una prevalenza significativamente minore di ipertensione (53 vs 60%), diabete (18 vs 28%), precedente coronaropatia (CAD, 7 vs 13%), insufficienza cardiaca (8 vs 14%) e BPCO (6 vs 14%).

Nei pazienti esposti a n-3 PUFA è stato osservato un miglioramento degli outcome sia per la mortalità da tutte le cause sia per la sopravvivenza libera da AF. Quattro dei 208 pazienti (1,9%) esposti a n-3 PUFA sono stati ricoverati in ospedale con AF rispetto ai 467 dei 3034 (15,4%) non esposti al trattamento [PS- quintile aggiustato (HR 0.19 (95% CI 0.07–0.51, p= 0.001).
Tre su 215 (1,4%) pazienti esposti a n-3 PUFA sono deceduti nel corso del primo anno di follow-up rispetto ai 374 dei 3027 (12,4%) non esposti [PS-quintile aggiustato (HR 0,15 (95% CI 0.05-0.46, p=0.001).


Questo studio è il primo a dimostrare che una formulazione farmaceutica a base di acidi grassi omega 3 ha un effetto favorevole sull’incidenza a un 1 anno di AF nei pazienti in cui si è già verificato un IM. Nello specifico, la terapia farmacologica con n-3 PUFA ha ridotto significativamente il rischio ad un 1 anno di AF in una coorte di pazienti ospedalizzati per IM e senza fibrillazione atriale alla dimissione.


Commento

I meccanismi biochimici e cellulari dell’azione antiaritmica rimangono ancora controversi, come sottolineato da una metanalisi (Jordan H et al. Evid Rep Technol Assess 2004; 92: 1–8) che ha rivisitato e confrontato i dati ottenuti in modelli animali, organi e cellule isolate. Inoltre, la loro efficacia nel prevenire alterazioni elettrofisiologiche è stata documentata anche in miociti atriali isolati di ratto (Jahangiri A et al. Mol Cell Biochem 2000; 206: 33–41).

I risultati di questo studio epidemiologico hanno contribuito alla formulazione e all'avvio di un clinical trial randomizzato per verificare l'efficacia degli acidi grassi omega-3 nella AF.

(*) In Italia gli esteri etilici degli acidi omega-3, alla dose di 1 g per via orale (Seacor®, Esapent®, Eskim® ), ATC C10AX06, sono in classe A con nota AIFA 13. Le condizioni di rimborsabilità a carico del SSN prevedono il trattamento delle dislipidemie familiari e la prevenzione secondaria in soggetti con pregresso infarto del miocardio.
Oltre ai prodotti precedentemente citati occorre ricordare che esistono in commercio diversi integratori alimentari, quindi come tali non classificati come specialità medicinali e a totale carico del cittadino, che contengono varie percentuali di n-3 PUFA.

Dottoressa Paola D’Incau

Riferimento bibliografico

Macchia A et. al. Omega-3 fatty acid supplementation reduces one-year risk of atrial fibrillation in patients hospitalized with myocardial infarction. Eur J Clin Pharmacol 2008; 64: 627–34.

Contributo gentilmente concesso dal Centro di Informazione sul Farmaco della Società Italiana di Farmacologia - http://www.sifweb.org/farmaci/info_farmaci.php/

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