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Due nuovi studi sul trattamento dell'infarto miocardico
Inserito il 14 gennaio 2009 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Due nuovi studi sul trattamento dell'infarto miocardico ad ST elevato (STEMI) portano ulteriori tasselli alle nostre conoscenze sull'argomento.


Il New England Journal of Medicine pubblica due studi randomizzati e controllati sul trattamento dell'infarto miocardico ad ST elevato (STEMI).
Nel primo [1] quasi 2500 pazienti sono stati trattati entro 6 ore dall'inizio dei sintomi con abciximab + metà dose di reteplase e successiva PCI (PCI facilitata con associazione), oppure abciximab e successiva PCI (PCI facilitata con solo abciximab) oppure PCI primaria. L'end-point primario era costituito da mortalità totale, fibrillazione ventricolare, shock cardiogeno, scompenso cardiaco nei primi 90 giorni. La PCI facilitata in entrambe le modalità non ha portato a nessun miglioramento dell'end-point primario rispetto alla PCI primaria che prevedeva la somministrazione di abciximab al momento di effettuare la procedura.
Nel secondo studio [2] poco più di 3600 pazienti con STEMI sono stati trattati entro 12 ore dall'inizio dei sintomi con eparina + un inibitore della glicoproteina IIb/IIIa oppure con bivalirudina. I due end-point primari dello studio erano le emorragie maggiori e gli eventi clinici avversi (emorragie maggiori + eventi cardiovascolari maggiori) comparsi entro il 30° giorno.
La bivaluridina ha ridotto le emorragie e la mortalità, tuttavia risultò associata ad una maggior frequenza di trombosi acuta dello stent entro 24 ore.


Fonte:

1. Ellis SG et al. for the FINESSE Investigators. Facilitated PCI in Patients with ST-Elevation Myocardial Infarction. N Engl J Med 2008 May 22; 358:2205-2217
2. Stone GW et al. for the HORIZONS-AMI Trial Investigators. Bivalirudin during Primary PCI in Acute Myocardial Infarction. N Engl J Med 2008 May 22; 358:2218-2230



Commento di Renato Rossi

Il primo studio conferma la bontà delle recenti linee guida sul trattamento dello STEMI che considerano potenzialmente pericolosa la PCI facilitata usando dosi piene di trombolitico. Per la verità suggerisce che anche quella effettuata con metà dose di trombolitico non migliora gli esiti.
La PCI "facilitata", tuttavia, potrebbe trovare un razionale di impiego quando il paziente sia ad alto rischio, la procedura non sia disponibile entro 90 minuti e il rischio di sanguinamento sia basso (pazienti giovani, assenza di ipertensione non controllata, peso corporeo normale). In questi casi si deve somministrare un trombolitico a dosi ridotte e poi trasportare il paziente ad un centro attrezzato per la PCI.
Il secondo studio mostra dei risultati promettenti per la bivalirudina, un inibitore diretto della trombina. Tuttavia un editorialista richiama alla prudenza e suggerisce di aspettare altri studi perchè la riduzione della mortalità rsicontrata ha in intervallo di confidenza molto ampio (0,44-1,00). A rigore, aggiungiamo noi, potrebbe anche non essere statisticamente significativo. Il dato di una riduzione delle emorragie maggiori è più consistente (4,9% vs 8,3%; RR 0,60; IC95% 0,46-0,77), tuttavia andrà studiato e spiegato anche il fenomeno di un aumento precoce delle trombosi dello stent riscontrato con il nuovo trattamento.


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