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Uso di antidepressivi nei bambini ed adolescenti incrementa il rischio di suicidio
Inserito il 20 dicembre 2008 da admin. - psichiatria_psicologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

E' stato osservato un aumento del rischio di tentativo di suicidio nei pazienti in età pediatrica con farmaci antidepressivi, in particolare nei primi mesi di trattamento con SSRI.

Studi sulla prescrizione di farmaci antidepressivi e rischio di suicidio sono già stati effettuati, in seguito agli “alert” dell’FDA sull’aumento del rischio di comportamenti e pensieri suicidari nei pazienti pediatrici trattati con antidepressivi, soprattutto nei primi mesi di terapia. Nell’ultimo numero del Journal of Clinical Psychiatry, sono stati pubblicati altri due lavori sempre sullo stesso tema: il rischio di suicidio in pazienti pediatrici e adulti (Olfson M et al.) ed in pazienti anziani (Rhame E et al.) in trattamento con farmaci antidepressivi.
Il primo studio (Olfson et al), caso-controllo di tipo nested, ha coinvolto un numero ristretto di pazienti pediatrici ed adulti, prendendo in considerazione la prescrizione di farmaci antidepressivi in genere. Il secondo studio (Rahme et al), di coorte retrospettivo, ha valutato l’incidenza di suicidio in oltre 120.000 pazienti anziani in trattamento con diversi principi attivi appartenenti alla famiglia degli inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI) ed in particolare paroxetina, citalopram, fluoxetina, sertralina e fluvoxamina.
Il lavoro di Olfson et al. ha coinvolto pazienti inseriti nel Medicaid Analytic eXtract Files del Centers for Medicare and Medicaid Services di Baltimora (USA) nel corso di due anni (1999-2000). Le caratteristiche dei pazienti selezionati sono descritte nella tabella:



In questa coorte sono stati considerati i pazienti con un’anamnesi positiva per tentato suicidio entro i primi 120 giorni dalla diagnosi. Per ogni paziente selezionato come “caso” sono stati selezionati fino a 5 controlli in base a età, sesso, etnia. In totale, 236 casi sono stati confrontati con 1132 pazienti di controllo.
Sono stati considerati come “tentativo di suicidio” tutti gli atti di auto-lesionismo (classificati secondo l’ ICD9 con i codici da 950 a 959). I due gruppi di pazienti sono stati ulteriormente suddivisi in base all’uso di farmaci antidepressivi. Inoltre sono stati considerati separatamente i pazienti in trattamento con SSRI rispetto a quelli in terapia con altri antidepressivi.
La durata del trattamento è stata arbitrariamente divisa in < 30 o > 30 giorni di uso nei 35 giorni precedenti l’evento (cioè il tentato suicidio). L’analisi statistica dei dati raccolti ha permesso agli autori di affermare che i pazienti pediatrici in trattamento con farmaci antidepressivi presentavano un rischio significativamente maggiore di tentativo di suicidio rispetto al controllo, senza differenze significative in base al tipo di antidepressivo utilizzato, alla dose o alla durata del trattamento. Inoltre, la stratificazione dei risultati in base al sottotipo di depressione indicava che il trattamento antidepressivo era significativamente associato a tentativi di suicidio in pazienti pediatrici in fase depressiva del disturbo bipolare e con episodi di depressione maggiore di grado lieve.
Gli stessi autori concludono, tuttavia, che queste associazioni dovranno essere rivalutate in quanto la numerosità dei campioni è scarsa. I risultati riportati in questo studio rinforzano comunque le indicazioni contenute negli “alert” della FDA e cioè che i pazienti pediatrici devono essere seguiti con particolare cura soprattutto nei primi mesi della terapia con farmaci antidepressivi, in particolare con SSRI.
Infine, è da sottolineare che l’analisi stratificata in base al sesso dimostra che i pazienti maschi adulti in trattamento presentano un ridotto rischio di tentato suicidio rispetto al corripondente controllo.
Gli autori presentano anche alcuni limiti del loro lavoro, in particolare il fatto che tutti i dati raccolti provengono da un database di tipo amministrativo nel quale, per esempio, non è possibile valutare correttamente il grado di severità della malattia e l’adeguatezza della psicoterapia e la bassa numerosità della popolazione inclusa.
Nel lavoro condotto sui pazienti anziani (Rahme et al), è stato utilizzato il database amministrativo del “Quebec Health Care Found”. Gli autori hanno ricavato i dati demografici, le prescrizioni terapeutiche di tutti i pazienti di età >65 anni con almeno una prescrizione di SSRI tra gennaio 1998 e dicembre 2004. Il follow-up è stato poi esteso per un anno dalla sospensione della terapia o fino al decesso del soggetto o al termine del periodo dello studio. I dati sulla mortalità sono stati ottenuti dal database Vital Statistics che contiene informazioni sulla data e la causa del decesso codificati secondo l’ICD-9/ICD-10 ed i suicidi sono stati registrati come causa di morte secondo i rapporti medico-legali.
L’end point primario era il decesso per suicidio. Gli autori hanno considerato gli episodi di intossicazione con farmaci o con ogni altro agente chimico riportati nel database come indicatori di possibile tentativo di suicidio.

Per ogni paziente il periodo di follow-up è stato diviso in: esposizione a SSRI, esposizione ad altri antidepressivi, esposizione a SSRI e altri antidepressivi contemporaneamente e nessuna esposizione ad antidepressivi.
Nella categoria “altri antidepressivi” sono stati inclusi i triciclici (amitriptilina, amoxapina, clomipramina, desipramina, doxepina, imipramina, nortriptilina, protriptilina, trimipramina); i farmaci inibitori non selettivi della ricaptazione della serotonina (bupropione, nefazodone, trazodone, mirtazapina, venlafaxina).
I pazienti sono stati caratterizzati in base a variabili demografiche (sesso, età, luogo di residenza, reddito); ad assunzione di farmaci psicotropi (barbiturici, benzodiazepine, carbonato di litio), abuso di alcool e droghe, uso di naltrexone, condizioni che potevano essere associate a depressione, alla specializzazione del medico prescrittore e alla possibilità di essere stati sottoposti ad una visita psichiatrica nel corso dell’anno precedente. I dati ottenuti sono stati poi analizzati per mezzo di un’elaborata analisi statistica.
Lo studio ha incluso 128229 pazienti (70% donne) con una età media di 75.4 anni. Il 36% ha ricevuto paroxetina (58% <20 mg/die, considerato basso dosaggio); il 24% citalopram (44% <20 mg/die, basso dosaggio); il 26% sertralina (58% <50 mg/die, basso dosaggio); il 9% fluvoxamina (25 % <50 mg/die) e il 5% fluoxetina (44% <20 mg/die). È importante sottolineare che a distanza di 6 mesi dall’inizio della terapia, solo il 39% dei pazienti non aveva interrotto la terapia.

Durante l’anno di osservazione, sono state registrati 37 decessi per suicidio in pazienti in trattamento con SSRI (15 in terapia con paroxetina, 14 con citalopram, 6 con sertralina; 1 con fluvoxamina ed 1 con fluoxetina); 16 suicidi durante il trattamento con altri antidepressivi; 5 suicidi con un l’associazione SSRI + un altro antidepressivo e 29 in pazienti non in trattamento farmacologico. Il rischio relativo di suicidio era molto più basso nelle donne rispetto agli uomini (RR: 0,14 [0,09-0,22]).
È stato inoltre osservato che il precedente utilizzo di benzodiazepine e di antipsicotici era associato ad un incremento del rischio di suicidio, rilevato anche nei pazienti che nel periodo di osservazione avevano avuto uno “switch” terapeutico e nei trattati con un’associazione fra SSRI ed un altro antidepressivo.

Per quanto riguarda gli episodi di intossicazione, nel corso dell’anno di follow-up sono stati riportati 1481 casi di intossicazione durante la terapia con SSRI; 359 (11.9/1000 pazienti-anno) con altri antidepressivi; 117 (13.1/1000 pazienti-anno) con SSRI + un altro antidepressivo; 1534 (6.0/1000 pazienti-anno) tra i non trattati. Di tutti i casi di intossicazione, 36.4% erano da farmaci non specificati; 31.5% da farmaci d’abuso in pazienti non tossicodipendenti; 9.4% da sostanze non medicinali; 4.1% da farmaci cardiovascolari; 3.9% da gas; 2.7% da sostanze alcoliche e 1.3% da agenti psicotropi. La percentuale rimanente comprendeva analgesici, anticonvulsivanti, antiallergici e antimicrobici.
L’analisi effettuata dimostra che il rischio di intossicazione era più alto nei pazienti in terapia con SSRI, con un altro antidepressivo o con i farmaci in associazione rispetto ai pazienti non in trattamento. Il rischio di intossicazione era inoltre diverso a seconda del SSRI usato, con un RR di 0.93 (0.74-1.16) per la fluoxetina e 1.45 (1.23-1.71) per la fluvoxamina.

Uno dei limiti di questo lavoro consiste nel fatto che il trattamento antidepressivo non è stato adeguato, in quanto molti pazienti hanno interrotto precocemente la terapia dopo la risoluzione dei sintomi. Un’altra osservazione riportata è la presenza di un maggior rischio di suicidio nei pazienti che hanno avuto “switch” terapeutico, tuttavia non sono noti i motivi per i quali era stato effettuato lo switch, né il protocollo seguito per effettuarlo. Non è quindi possibile stabilire se l’aumentato rischio di suicidio è ascrivibile alla mancanza di efficacia degli SSRI somministrati o all’interruzione della terapia.
Infine, è stato osservato che il rischio di suicidio sembra maggiore fra i pazienti che ricevevano un dosaggio più elevato di SSRI, ma questo potrebbe essere legato alla maggiore gravità del depressione.

I risultati di questo studio sono in accordo con quelli di altri studi (Am J Psychiatry 156: 190-194, 1999; Am J Psychiatry 163: 813-821, 2006; Arch Gen Psychiatry 63: 1358-1367, 2006; Acta Psychiatr Scand 85: 444-448, 1992; Acta Psychiatr Scand 96: 94-100, 1997; J Am Geriatr Soc 44: 1205-1209, 1996) dai quali emergeva che l’utilizzo di farmaci antidepressivi era correlato ad una diminuzione del rischio di suicidio in pazienti depressi e che al momento del suicidio la maggior parte dei pazienti non era in terapia con farmaci antidepressivi.


Le conclusioni alle quali giungono gli autori dei due lavori sono in accordo con le osservazioni e le raccomandazioni disposte dalla FDA dal 2004 in poi: è stato osservato un aumento del rischio di tentativo di suicidio nei pazienti in età pediatrica, soprattutto nei primi mesi di trattamento con farmaci antidepressivi, in particolare con gli SSRI. Il rischio è inversamente proporzionale all’età, con l’assenza o la riduzione del rischio nella popolazione adulta ed anziana. I meccanismi psicofarmacologici che inducono questa suscettibilità, età-correlata, al trattamento con farmaci antidepressivi non sono ancora noti.



Dottoresse Laura Franceschini e Sandra Sigala

Riferimenti bibliografici

1) Rahme E et al. Risks of suicide and poisoning among elderly patients prescribed selective serotonine reuptake inibitors: a retrospective cohort study. J Clin Psychiatry 2008; 69: 349-57.
2) Olfson M, Marcus SC. A case-control study of antidepressants and attempted sucidie during early phase treatment of major depressive episodes. J Clin Psychiatry 2008; 69: 425-32.


Contributo gentilmente concesso dal Centro di Informazione sul Farmaco della Società Italiana di Farmacologia - http://www.sifweb.org/farmaci/info_farmaci.php/


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