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Antidepressivi solo nelle forme gravi? |
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Inserito il 09 ottobre 2008 da admin. - psichiatria_psicologia - segnala a:
Secondo una metanalisi quattro degli antidepressivi di nuova generazione sarebbero efficaci solo nelle forme gravi di depressione mentre nelle forme lievi-moderate non ci sarebbero differenze rispetto al placebo.
Precedenti metanalisi di trial clinici pubblicati hanno riportato benefici statisticamente significativi degli antidepressivi. Tuttavia, una metanalisi che ha incluso tutti gli studi clinici presentati all’FDA, sia pubblicati che non pubblicati, ha mostrato un effetto minore degli antidepressivi che ricadrebbe al di sotto della soglia di efficacia clinica. La differenza farmaco-placebo nel miglioramento medio dello score, misurato tramite la scala di Hamilton, era pari ad 1,8 punti, mentre il NICE (National Institute for Clinical Excellence) definisce come effetto clinicamente significativo nella terapia della depressione una differenza farmaco-placebo di almeno 3 punti. Il miglioramento medio degli score, tuttavia, potrebbe nascondere differenze nella risposta agli antidepressivi tra diversi sottogruppi di pazienti. In particolare, è possibile che gli antidepressivi siano efficaci nei soggetti con depressione grave ma non in quelli con depressione moderata.
Per testare questa ipotesi è stata condotta una metanalisi di tutti i trial clinici sull’efficacia degli antidepressivi, indipendentemente dal fatto che fossero pubblicati o meno, così da escludere il reporting bias.
Lo scopo era di determinare l'efficacia dei farmaci rispetto al placebo in base alla gravità della depressione.
In dettaglio, sono stati richiesti all’FDA tutti i trial clinici dei 6 antidepressivi maggiormente prescritti (fluoxetina, venlafaxina, nefazodone*, paroxetina, sertralina e citalopram), tra quelli autorizzati tra il 1987 ed il 1999. In totale, sono stati identificati 47 trial clinici. Tra questi, alla fine, ne sono stati analizzati soltanto 35, randomizzati, in doppio cieco e placebo-controllati (5 su fluoxetina, 6 su venlafaxina, 8 su nefazodone e 16 su paroxetina). Cinque studi (4 su sertralina e 1 su citalopram) sono stati esclusi perchè non era stato raggiunto un effetto statisticamente significativo del farmaco e non era stato riportato il punteggio medio della scala di Hamilton mentre in 7 studi le informazioni sul miglioramento delle condizioni cliniche non erano disponibili per tutti i trial.
I trial selezionati erano della durata media di 6 settimane ed includevano 5.133 pazienti (3.292 randomizzati al farmaco e 1.841 a placebo) affetti da depressione maggiore unipolare, in accordo ai criteri del DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders). Tutti i trial, inoltre, avevano incluso un periodo di wash out di 1-2 settimane, durante il quale tutti i pazienti ricevevano placebo. I soggetti che mostravano un miglioramento di almeno il 20% venivano esclusi dallo studio prima della randomizzazione.
L’analisi cumulativa degli studi inclusi ha riportato un miglioramento medio pesato, valutato tramite la scala di Hamilton, pari a 9.6 punti nel gruppo trattato con antidepressivi e 7.8 nel gruppo placebo, con un differenza media farmaco-placebo, quindi, di 1.8. Tuttavia, era riportata un ampia variablità tra i vari trial clinici. Per tale ragione, è stato esplorato anche l’effetto associato ai singoli farmaci, alla durata della terapia ed alla severità del quadro clinico iniziale secondo la scala di Hamilton. Le analisi aggiustate per tali variabili hanno mostrato un effetto indipendente della severità della patologia sulla differenza nel miglioramento medio tra farmaco e placebo. In particolare, il farmaco mostrava un effetto maggiore in caso di elevata severità della patologia, minore in caso di quadro clinico meno severo. In effetti la differenza tra farmaci e placebo aumentava a seconda della intensità della sintomatologia e andava da nessuna differenza per le forme lievi e moderate di depressione ad una differenza di efficacia relativamente piccola per i pazienti con depressione severa. I criteri convenzionali di significatività clinica si raggiungevano solo per i pazienti con forme molto gravi. Gli autori concludono che la differenza di efficacia tra antidepressivi e placebo aumenta in funzione della gravità della depressione, ma è comunque piccola anche per i pazienti con malattia grave. La differenza tra la gravità della depressione e l'efficacia dell'antidepressivo è da attribuire ad una ridotta risposta al placebo in questi pazienti piuttosto che ad un aumento di efficacia del farmaco.
*In Italia nefazodone è stato revocato nel 2003
Fonte:
Kirsch I et al. (2008) Initial Severity and Antidepressant Benefits: A Meta-Analysis of Data Submitted to the Food and Drug Administration. PLoS Med 5(2): e45 doi:10.1371/journal.pmed.0050045
Dottor Gianluca Trifirò
Contributo gentilmente concesso dal Centro di Informazione sul Farmaco della Società Italiana di Farmacologia - http://www.sifweb.org/farmaci/info_farmaci.php/
Commento di Renato Rossi
Dopo la tempesta che gli antidepressivi hanno dovuto affrontare circa il possibile aumento del rischio di suicidio associato al loro uso [1], si profila all'orizzonte un' altra controversia. Questi farmaci sono in grado di trattare la depressione oppure la loro efficacia è stata perlomeno sopravvalutata? Ad aprire il fuoco è stato quest'anno il New England Journal of Medicine [2] che ha pubblicato uno studio in cui sono stati analizzati i dati disponibili presso la FDA su 12 antidepressivi (per un totale di oltre 12.500 pazienti). Gli autori hanno poi condotto una revisione sistematica per identificare quali studi erano stati pubblicati e quali non lo erano stati. Il 31% dei 74 studi registrati presso la FDA non risultava essere pubblicato, per quasi 3.500 pazienti. Erano stati pubblicati 34 studi disponibili presso la FDA con esiti positivi per i farmaci testati, 1 studio con risultati positivi non era stato pubblicato. Gli studi che avevano dato risultato negativo, con l'eccezione di 3, o non erano stati pubblicati (22 studi) oppure erano pubblicati in maniera tale che i risultati, secondo l'opinione degli autori di questa analisi, mostravano una positività degli outcomes. In definitiva se si analizzano i dati solo pubblicati sembra che il 94% dei trials abbia dato risultato positivo, mentre valutando i dati disponibili presso la FDA questa percentuale scende al 51%. Gli autori concludevano di non aver potuto stabilire quale sia la ragione di una mancata pubblicazione: incapacità degli autori o dello sponsor ad inviare il manoscritto alle riviste o decisione di non pubblicare da parte degli editori e dei revisori. Ovviamente i medici danno molta importanza ai risultati degli studi pubblicati nelle riviste specializzate perchè su di essi basano le loro decisioni terapeutiche. Lo studio del NEJM mette il dito su un punto cruciale ed essenziale della ricerca bio-medica: se fosse vero che molti studi con risultati negativi non vengono pubblicati la percezione di efficacia di un determinato trattamento ne risulterebbe immancabilmente deformata, visto che le informazioni a cui la maggior parte dei medici ha accesso mostra solo o preferibilmente risultati positivi. Le autorità regolatorie avrebbero, in questo contesto, una enorme responsabilità. A queste problematiche, già di per sè di notevole spessore, si affianca ora la metanalisi recensita in questa pillola. Gli autori hanno analizzato i dati disponibili presso la FDA americana relativamente a quattro antidepressivi (fluoxetina, venlafaxina, nafazodone e paroxetina) arrivando a concludere che l'utilità di questi farmaci è limitata alle forme molto gravi di depressione, mentre per i pazienti affetti da malattia lieve o moderata non ci sarebbero differenze rispetto al placebo. Questo pone un interrogativo inquietante: molte prescrizione di antidepressivi sono inappropriate per eccesso? I pazienti, a meno che non siano affetti da depressione maggiore, migliorerebbero ugualmente se si usasse un semplice placebo? In realtà, come sostenuto altrove [3], i pazienti visti nella pratica corrente in medicina di base, molto spesso, soffrono di depressione lieve, mentre gli studi principali sulla depressione riguardano pazienti affetti da disturbo maggiore. La depressione lieve, in un'elevata percentuale di casi, tende a migliorare o a guarire spontaneamente nel giro di qualche settimana o qualche mese. Tuttavia vi possono essere delle recidive e alcuni casi possono andare incontro a cronicizzazione. E' anche vero che la maggior parte di questi pazienti preferisce un counselling da parte del medico curante piuttosto che la semplice somministrazione di un farmaco. Anche se non di rado manca una preparazione adeguata per affrontare un counselling strutturato, quasi sempre è sufficiente avere un atteggiamento empatico e di ascolto. La base del counselling è in ogni caso sempre l’ascolto, evitando di dare consigli diretti. Il fine ultimo è quello di consentire al paziente di pensare alle proprie difficoltà e di costruirsi un senso di quello che gli sta succedendo. L'abitudine di prescrivere un placebo può ritenersi allora,a parere di chi scrive, ragionevolmente giustificata, soprattutto se accompagnata da una adeguata disponibilità ad ascoltare il paziente. Questo approccio è accettabile (purché il medico sia consapevole che sta usando un placebo) perché sfrutta il fattore tempo. Anche l'abitudine di prescrivere un antidepressivo per qualche settimana per sfruttare l'eventuale effetto sintomatico può essere ragionevole, perché permette di lasciar passare quel lasso di tempo che può essere sufficiente per la risoluzione spontanea del disturbo. In ogni caso i pazienti vanno attentamente seguiti per identificare e trattare farmacologicamente quelli che tendono a peggiorare o a cronicizzare. Counselling e psicoterapia da soli non sono però proponibili nelle depressioni psicotiche gravi con rischio suicidiario. In queste forme è necessaria, comunque, la terapia farmacologica e consigliabile la supervisione dello specialista.
Referenze
1. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=3564 2. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=3774 3. http://www.pillole.org/public/manuale/articles.asp?id=146&page=21
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