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Più morti con una terapia ipoglicemizzante aggressiva del diabete tipo 2
Inserito il 08 febbraio 2008 da admin. - metabolismo - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

E' stato interrotto anticipatamente lo studio ACCORD per un eccesso di morti nel gruppo di diabetici trattati con una terapia ipoglicemizzante intensiva.


Il National Heart, Lung, and Blood Institute (NHLBI) ha interrotto anticipatamente lo studio ACCORD (Action to Control Cardiovascular Risk in Diabetes), 18 mesi prima della fine programmata.
Nello studio erano stati arruolati 10.251 pazienti con diabete tipo 2 e almeno altri due fattori di rischio cardiovascolare. L'età dei partecipanti era di 40-82 anni, la durata media del diabete di 10 anni. I pazienti sono stati randomizzati a controllo intensivo del profilo glicemico (in modo da raggiungere valori di Hb A1c inferiori a quanto raccomandato dalle attuali linee guida, ossia inferiori al 6%) oppure a controllo standard (HBA1c tra 7 e 7,9%). Potevano essere usati tutti i farmaci ritenuti opportuni allo scopo (metformina, tiazolidinedioni, acarbosio, insulina, exenatide, sulfaniluree). L'interruzione anticipata è dovuta al fatto che si sono registrati 257 decessi nel gruppo "controllo intensivo" contro 203 nel gruppo "controllo standard". Si tratta di 54 decessi in più in un periodo di circa 4 anni, pari a 3 decessi ogni 1000 pazienti/anno in più. In entrambi i gruppi comunque i decessi sono stati minori di quanto visto in studi con popolazioni simili. I pazienti continueranno a ricevere trattamenti di tipo standard fino alla conclusione del trial (giugno 2009) e ad essere monitorati. In pratica i pazienti randomizzati al gruppo "intensivo" verranno trattati in modo da arrivare a target standard di glicoemoglobina (tra 7% e 7,9%). Nel gruppo "strategia intensiva" la metà dei pazienti presentava livelli di HBA1c inferiori al 6,4% mentre nel gruppo trattamento standard la metà dei pazienti presentavano valori di HBA1c inferiori a 7,5%.
L'end-point primario dello studio erano gli eventi cardiovascolati (infarto, stroke, morte da cause cardiovascolari).
L'analisi compiuta dal comitato per la sicurezza non ha evidenziato un trattamento specifico o una combinazione specifica di farmaci responsabili dell'aumento della mortalità. In particolare non si è visto nessuna associazione tra aumento dei decessi e uso di rosiglitazone.
Lo studio prevedeva anche altri bracci in cui venivano studiati gli effetti del trattamento ipotensivo e ipocolesterolemizzante, bracci che invece continuano.


Fonte:

http://www.nih.gov/news/health/feb2008/nhlbi-06.htm


Commento di Renato Rossi

L'interruzione anticipata dello studio ACCORD ci dice, in poche parole, che, nel diabetico tipo 2 ad alto rischio, tentare di raggiungere livelli di emoglobina glicata il più vicino possibile a quelli normali non è auspicabile. La spiegazione di questo fenomeno sarà sicuramente oggetto di analisi e studi futuri. Peraltro non sappiamo se questi stessi dati siano applicabili a soggetti diabetici meno a rischio cardiovascolare oppure con un diabete iniziato da meno tempo, nè ai diabetici tipo 1. In ogni caso sarà utile per il momento accontentarsi di arrivare a valori di glicoemoglobina compresi tra 7% e 8%, cosa comunque già di per sè non sempre facile.
I risultati dell'ACCORD sono, per certi versi, sorprendenti, in quanto si dava per scontato, o quasi, che più si riduce l'emoglobina glicata e meglio è. Ma pare che non sia affatto così, almeno in una particolare sottopopolazione di diabetici. D'altra parte che una terapia ipoglicemizzante aggressiva riducesse gli eventi, almeno quelli microvascolari, era stato attribuito allo studio UKPDS. In realtà dal punto di vista metodologico il risultato ottenuto dallo studio inglese è abbastanza contestabile: all'end-point primario composto da ben 12 sotto-end-point ne venne aggiunto, in itinere, un tredicesimo, e solo grazie a questo si ottenne una riduzione statisticamente significativa degli eventi (soprattutto degli interventi di fotocagulazione laser). Si tratta di una violazione del protocollo del trial che non dovrebbe passare sotto silenzio.
Contemporaneamente il New England Journal of Medicine pubblica i risultati a lungo termine dello studio STENO 2. In questo studio erano stati reclutati 160 pazienti con diabete tipo 2 e microalbuminuria, randomizzati a ricevere un trattamento standard oppure un trattamento intensivo (emoglobina glicata inferiore a 6,5%, colesterolo totale inferiore a 175 mg/dL, pressione arteriosa inferiore a 130/80 mmHg). I dati iniziali dello studio vennero pubblicati nel 2003, mentre ora sono stati dati alle stampe i risultati di un follow-up addizionale di ulteriori 5 anni e mezzo. In tutto il follow-up è durato, in media, più di 13 anni e la mortalità da tutte le cause risultò essere minore nel gruppo trattato intensivamente (30%) rispetto al gruppo trattato in maniera standard (50%).
Alla luce di quanto successo con l'ACCORD trial i risultati dello STENO 2 vanno però rivisti e interpretati in maniera prudenziale, anche perchè lo studio aveva arruolato un campione esiguo di pazienti: trattiamo bene i diabetici e in modo adeguato i fattori di rischio come l'ipertensione e l'ipercolesterolemia, ma non si esageri con la terapia ipoglicemizzante.
Insomma, si può dire che per questa terapia vale probabilmente quanto si è visto con l'eritropoietina: anche in medicina talora è valido il vecchio adagio "il troppo stroppia".


Commento di Luca Puccetti

Dopo la vicenda dell'eritropoietina e, per certi versi dell'Enhance, adesso lo stesso concetto viene convalidato dallo studio ACCORD. Lo schema è il seguente: tramite studi osservazioni o cross sezionali si associa un parametro biologico agli eventi. Poi si stratifica il rischio e si individuano delle soglie cui corrisponde un rischio piuttosto elevato. Ma la pressione dei vari portatori di interesse, tra cui le associazioni dei malati, le riviste mediche, alcuni ricercatori in cerca di notorietà e, ovviamente, chi vende i presidi, ben presto inizia a far spostare le soglie di rischio sempre più in basso spesso in base a studi di metaregressione, basandosi su un ragionamento logico: il parametro che voglio "curare" è correlato (in vario modo, lineare, esponenziale, etc) al rischio, quanto più abbasso il parametro tanto più dovrebbe diminuire il rischio. Ma prima o poi si deve procedere alla prova diretta, verificando con studi finalizzati se riducendo il parametro (colesterolo LDL, glicemia, ipoemoglobinemia, iperomocisteinemia, etc.) davvero si riducono gli eventi. E qui arrivano le delusioni la teoria lower is better non sempre si rivela corretta, anzi spesso espone a rischi iatrogeni senza apportare benefici. Questo perché si è voluto inseguire la moda di far scendere sempre più in basso le soglie di rischio. Invece, in una logica di sanità pubblica e per non creare inutili allarmismi aumentando vieppiù lo stress occorre fare il contrario, ossia definire le soglie di rischio molto elevato. Quelli sono i veri nemici, obiettivi perseguibili anche dalle persone comuni con modifiche dello stile di vita e, quando servono, con farmaci "giusti e a dosi "giuste".


Referenze

1. Gæde P et al. Effect of a multifactorial intervention on mortality in type 2 diabetes. N Engl J Med 2008 Feb 7; 358:580.





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