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Il calcio farebbe male al cuore: un allarme ingiustificato?
Inserito il 09 marzo 2008 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Uno studio con molti difetti mette in guardia circa un presunto aumento del rischio di infarto nelle donne sane in postmenopausa che ricevono la supplemetazione calcica di 1 gr/die.

Premesse: Alcuni studi hanno sottolineato il possibile ruolo del calcio nell’accelerazione del processo di calcificazione dei vasi sanguigni, con potenziale aumento del rischio di eventi avversi vascolari.

Pertanto è stato studiato l’effetto dei supplementi di calcio sull’incidenza di infarto del miocardio, ictus e morte improvvisa in donne sane in post-menopausa. Si tratta di un’analisi secondaria dei dati provenienti da un trial clinico randomizzato (RCT) della durata di 5 anni, che era stato disegnato con l’obiettivo di valutare gli effetti del calcio sulla densità ossea e sull’incidenza di fratture.

Metodi e Pazienti: Sono state incluse nell’analisi donne in menopausa da almeno 5 anni, di età =55 anni e con aspettativa di vita superiore ai 5 anni. Sono state escluse dallo studio le donne in terapia farmacologica per osteoporosi; con patologie maggiori in atto (malattie epatiche o renali, disfunzioni tiroidee, neoplasie, malattie ossee di origine metabolica); livelli serici di 25-idrossivitamina D inferiori a 25 nmol/l.
Le principali misure di esito erano i singoli eventi avversi cardiovascolari a 5 anni (decesso, morte improvvisa, infarto del miocardio, angina, dolore toracico di altra natura, stroke, attacco ischemico transitorio); è stato inoltre valutato un end point composito, costituito da infarto del miocardio, stroke e morte improvvisa.
È stato esaminato il database nazionale dei ricoveri ospedalieri della Nuova Zelanda, al fine di individuare casi non segnalati di ospedalizzazione per cause cardiovascolari, e sono state revisionate anche le corrispondenti cartelle cliniche.
Sono state ran domizzate 1471 donne (età media 74 anni) a ricevere calcio citrato 1 gr/die (732 soggetti) o placebo per 5 anni (739 soggetti).
Gli outcomes valutati a 5 anni sono stati morte, morte improvvisa, infarto miocardico, angina, precordialgia, ictus, TIA, e indice composito comprendente IMA, ictus e morte improvvisa.

Risultati: L’infarto miocardico è risultato più frequente nel gruppo calcio rispetto a quello placebo (45 eventi in 31 donne rispetto a 19 eventi in 14 donne, P=0.01) e così pure l’indice composito 101 eventi in 69 donne rispetto a 54 eventi in 42 donne, P=0.008). Aggiungendo al calcolo anche gli eventi non riferiti dai pazienti e trovati analizzando le schede di dimissioni ospedaliere, il rischio relativo di infarto è stato di 1.49 (da 0.86 a 2.57), quello dell’indice composito 1.21 (da 0.84 a 1.74) e quello dell’ictus 1.37 (da 0.83 a 2.28). Le curve di sopravvivenza relative alle frequenze di infarto miocardico nei due gruppi erano sovrapponibili fino a 24 mesi, mentre divergevano successivamente, suggerendo così una lenta insorgenza dell’evento.
Il metodo di regressione di Poisson è stato utilizzato per determinare se l’effetto del trattamento sul numero di eventi per partecipante fosse indipendente da potenziali fattori di confondimento, quali età e velocità di filtrazione glomerulare; storia di ischemia cardiaca, stroke, ipertensione, dislipidemia e diabete; e compliance del paziente al trattamento farmacologico. I valori statistici (p) non risultavano significativamente modificati da tali elementi, ma l’alta compliance e la storia pregressa di patologie ischemiche cardiache costituivano dei fattori di rischio indipendenti.

Gli autori hanno stimato che il numero di donne da trattare (NNT - Number Needed to Treat) con calcio per 5 anni al fine di osservare un episodio di infarto del miocardio è pari a 44, mentre è pari a 56 nel caso dello stroke. Il valore di NNT per la prevenzione di una frattura sintomatica in donne trattate con calcio è uguale a 50.
Il metodo di regressione di Poisson è stato utilizzato per determinare se l’effetto del trattamento sul numero di eventi per partecipante fosse indipendente da potenziali fattori di confondimento, quali età e velocità di filtrazione glomerulare; storia di ischemia cardiaca, stroke, ipertensione, dislipidemia e diabete; e compliance del paziente al trattamento farmacologico. I valori statistici (p) non risultavano significativamente modificati da tali elementi, ma l’alta compliance e la storia pregressa di patologie ischemiche cardiache costituivano dei fattori di rischio indipendenti.

Gli autori hanno stimato che il numero di donne da trattare (NNT - Number Needed to Treat) con calcio per 5 anni al fine di osservare un episodio di infarto del miocardio è pari a 44, mentre è pari a 56 nel caso dello stroke. Il valore di NNT per la prevenzione di una frattura sintomatica in donne trattate con calcio è uguale a 50.


Conclusioni La supplementazione calcica in donne sane in menopausa si associa con una tendenza verso l’incremento dell’incidenza di eventi cardiovascolari e si dovrebbe tenere di conto di tale potenziale effetto negativo rapportandolo al potenziale effetto positivo sull’osso.


Fonte: BMJ 2008; 0: bmj.39440.525752.BEv1 http://www.bmj.com/cgi/content/full/bmj.39440.525752.BEv1


Commento di Luca Puccetti

“Donne: Troppo calcio può causare infarto! Troppi integratori alimentari a base di calcio aumenterebbero il rischio di infarto nelle donne in menopausa. Lo afferma uno studio di scienziati neozelandesi pubblicato nell'ultimo numero della rivista medica British Medical Journal. Lo studio, condotto da ricercatori dell'Università di Auckland durante un periodo di cinque anni, ha preso in esame un campione di 1,471 donne, sane ed entrate in menopausa. A 732 sono state somministrate pastiglie di calcio, e alle altre 939 placebo. Risultato: 31 donne contro le 21 del secondo gruppo che hanno riportato vari problemi relativi al cuore e infarti. Problemi che andavano aumentando con il tempo."Se i nostri risultati saranno confermati da altri studi, potrebbe essere meglio sospendere la somministrazione di calcio. Per adesso medici e pazienti dovranno scegliere tra i benefici del calcio alle ossa, soprattutto per pazienti più anziani, e quello del rischio di infarto", hanno commentato gli scienziati neozelandesi nell'articolo.”


Con queste parole è stata data la notizia circa i risultati di questo studio.

Questo è un tipico esempio di come un’informazione acritica possa generare confusione e persino allarme sociale. Cercheremo di dimostrare quanto sia importante fornire un’informazione indipendente, qualificata e rigorosa.

Lo studio in questione è una analisi a posteriori di un trial finalizzato a tutt’altro, ossia a valutare l’effetto della supplementazione calcica in donne anziane in post menopausa (età media 74 anni) sulla densità minerale ossea e sulla prevenzione dell’insorgenza di fratture correlate alla fragilità ossea (1) .

Studio originale

In uno studio randomizzato e controllato 1471 donne sane in postmenopausa (età 74+/-4 anni) sono state randomizzate a ricevere 1 gr. di calcio citrato al giorno o placebo per 5 anni. Il follow-up è stato completo nel 90% dei soggetti, e la compliance nei confronti dell’assunzione delle sostanze oggetto dello studio è stata del 55% - 58%. Nell’analisi con intenzione a trattare, rispetto al gruppo placebo, nel gruppo che ha ricevuto calcio è stato osservato un aumento della densità ossea del 1,8% a carico della colonna, del 1,6% a carico del femore in toto e dell’1,2% sul "total body". Sono state osservate 425 fratture in 281 donne. Gli hazard ratios, relativi al tempo alla prima frattura, sono stati 0,90 (95% CI, 0.71-1.16) per ogni frattura sintomatica, 0.72 (95% CI, 0.44-1.18) per le vertebrali, 3.55 (95% CI, 1.31-9.63) per il femore e 0.65 (95% CI, 0.41-1.04) per il radio. La la stipsi era più frequente nel gruppo calcio.

CONCLUSIONI: La supplementazione calcica provoca una riduzione prolungata del turnover osseo e rallenta la perdita di massa ossea, ma l’effetto sulle fratture rimane incerto; la scarsa compliance a lungo termine limita l’efficacia del calcio.


Questo era lo studio originale, che aveva come end point predefinito la riduzione della massa ossea.
E’ bene ricordare che quando si progetta uno studio la potenza statistica ed il campione necessario per verificare l’ipotesi sperimentale sono tarati sull’end point primario.

Utilizzando gli stessi dati alcuni degli Autori procedono a quella che viene chiamata “analisi a posteriori”, ossia un’analisi dei risultati di uno studio, che aveva finalità diverse, allo scopo di verificare una diversa ipotesi sperimentale.

Partendo dai risultati di un braccio dello studio originario qui recensito, gli Autori hanno trovato che la supplementazione calcica si associa ad un più favorevole rapporto HDL/LDL (2). La ratio biologica è che il calcio lega i grassi nel lume intestinale e ne limita l’assorbimento (3) pertanto una supplementazione calcica potrebbe contribuire a limitare la dislipidemia, che è un ben noto fattore di rischio cardiovascolare. Ancora, il calcio diminuirebbe la pressione arteriosa (4) e potrebbe favorire la perdita di peso (5).
Alcuni studi osservazionali sembrano confermare queste premesse biologiche.

Nello Iowa women’s health study (6) le donne nel quartile più elevato di introito calcico presentano una riduzione pari ad un terzo rispetto a quelle nel quartile più basso. Nel Boston nurses health study (7) le donne nel quintile maggiore di introito calcico presentavano un rischio aggiustato di ictus ischemico pari a 0.69 (95% CI da 0.50 a 0.95) rispetto alle donne nel quintile minore.

Nello studio recensito gli Autori hanno pertanto analizzato i dati dello studio originariamente progettato per verificare l'effetto sulla densità minerale e le fratture, per verificare se la supplementazione di calcio influisse sugli eventi cardiovascolari aspettandosi un effetto positivo.

I risultati dello studio appaiono agli Autori assai interessanti e per aumentare l’interesse dei risultati gli Autori si “inventano” un’ arbitraria suddivisione in eventi autoriferiti dai pazienti o dai loro familiari ed eventi trovati nell’analisi delle schede di ammissione ospedaliera, procedendo ad un’analisi separata.

Anche se considerando tutti gli eventi non sussistono differenze significative, l’infarto miocardico autoriferito dalle pazienti o dai loro familiari è significativamente più frequente nel gruppo calcio rispetto a quello placebo (45 eventi in 31 donne vs 19 eventi in 14 donne, P=0.01). La forbice tra le curve di incidenza di infarto inizia ad aprirsi a 24 mesi e diverge progressivamente con il passar del tempo.

Dopo aver messo in risalto i risultati sugli eventi auroriferiti gli Autori, obtorto collo, riferiscono che, considerando tutti gli eventi (sia quelli autoriferiti che quelli trovati con l’analisi delle schede di dimissione), le differenze tra gruppo placebo e gruppo calcio non sono significative.

Ma oltre a questo le caratteristiche demografiche e cliniche dei due gruppi appaiono sbilanciate poiché nel gruppo calcio ci sono più fumatrici, più dislipidemiche, più donne con eventi cardiovascolari pregressi.

Invece di correggere questi sbilanciamenti considerandoli nell’insieme, utilizzando uno dei vari score di rischio cardiovascolare validati, gli Autori, applicano una regressione di Poisson per aggiustare per le singole covariate.

Non basta, i livelli di vitamina D sono stati controllati, a detta degli Autori, solo basalmente per escludere i soggetti con livelli al di sotto dei 25 nmol/l. In base ai risultati del Framingham Offspring Study (8), bassi livelli di vitamina D sono strettamente associaticon un aumento del rischio cardiovascolare e influiscono negativamente anche sull’assorbimento del calcio medesimo. Ebbene del comportamento dei livelli di vitamina D nei 5 anni dello studio nulla è dato sapere.

Più importante ancora è la mancanza del controllo per 2 ben noti, potenti fattori di confusione come l’esposizione a terapia ormonale sostitutiva e consumo di FANS.

Gli Autori nella discussione stressano il concetto che il calcio potrebbe non fare affatto bene al cuore, specialmente nelle donne più anziane, che potrebbero avere un maggior carico ateromasico, catalizzatore per una deposizione vascolare del calcio circolante.

Analizzando la letteratura gli Autori hanno trovato risultati simili a quelli osservati in uno studio su 1460 donne postmenopausali (età media 75 anni) randomizzati a calcio carbonato (600 mg * 2 /die) o placebo Lo studio in questione (9), che era stato anch’esso disegnato per verificare l’effetto della supplementazione calcica sull’incidenza di fratture, fornisce pochi dettagli in merito agli eventi cardiovascolari, tuttavia, lo hazard ratio per le diagnosi incidenti di malattia cardiaca sarebbe di 1.12 (95% CI da 0.77 a 1.64).

Lo studio più ampio in merito agli effetti della supplemetazione di calcio e vitamina D viene da una sotto-analisi dello studio WHI in cui 36282 donne in postmenopausa, di età compresa tra 50 e 79 anni, sono state randomizzate a calcio carbonato 500 mg e vitamina D 200 IU due volte al dì o a placebo. Durante 7 anni di follow-up non sono state osservate differenze per quanto attiene all’infarto miocardico, alla morte cardiaca (hazard ratio, 1.04; 95% CI, da 0.92 a1.18) o alll’ictus (hazard ratio, 0.95; 95% CI, da 0.82 a 1.10).

Ovviamente in questo caso le condizioni sperimentali erano diverse poiché si trattava di donne più giovani che assumevano estrogeni e vitamina D oltre al calcio.

Concludendo ci pare di dover sottolineare quanto possa essere fuorviante “torturare i numeri” che finiscono per dire ciò che si vuole, se si usano gli strumenti “giusti”. Non sappiamo se la supplementazione calcica favorisca o meno l’insorgenza di eventi vascolari, certamente nessuna prova convincente a tale riguardo può venire da un siffatto studio e pertanto sussiste un'ipotesi tutta da verificare mediante studi disegnati ad hoc, ma qualunque allarmismo in merito è, al momento, del tutto ingiustificato.

Commento tecnico di Alessandro Battaggia

Lo studio, come correttamente sottolineato nel commento di Luca Puccetti, è una analisi secondaria di un trial organizzato per motivi diversi e presenta quindi, sotto il profilo STATISTICO, tutti i gravi difetti interpretativi di questo tipo di approccio.

Però l' articolo riporta considerazioni di safety ed all'interpretazione dei risultati di safety si concedono molte deroghe.

La suddivisione degli eventi indesiderati in

a) Autoriportati dalle donne
b) Autoriportati dalle donne e validati dai ricercatori
c) Non autoriportati dalle donne, ma reperiti e validati dai ricercatori

appare alquanto macchinosa.


Parimenti ricco di insidie, come tutte le decisioni assunte ex post, è la definizione di un end-point composito addizionale (infarto, stroke e morte improvvisa) costruito dagli autori con dati di eventi già rilevati.

Gli autori in molte parti dell'articolo hanno insistito sulla presenza o meno di 'significatività statistica' nell'incidenza degli outcome indesiderati riportati, ma in questo studio di safety la valorizzazione della significatività non dovrebbe essere determinante in quanto, ovviamente, la numerosità del campione non era stata tarata su questi end-point.

Anzi, applicare ragionamenti inferenziali ad una analisi secondaria inserita in una ricerca organizzata per altri fini è metodologicamente opinabile in quanto il peccato originale di ogni analisi secondaria è rappresentato dall'aumento dell'errore alfa complessivamente accettato e, per molti confronti, anche da un aumento dei livelli di errore beta.

L' interpretazione delle analisi secondarie dovrebbe essere pertanto utilizzata solo a sostegno dei risultati primari o in alternativa per generare ipotesi di lavoro.

In quanto studio di safety, i risultati dell'indagine di Bolland e coll. dovrebbero essere in ogni caso interpretati alla luce di quest' ultimo aspetto.

Risulta infatti abbastanza inquietante a giudizio di chi scrive, indipendentemente da qualsiasi ragionamento inferenziale e quindi senza valorizzare i valori di P e gli intervalli di confidenza, la sostanziale coerenza clinica dei risultati espressi dalle stime puntuali, vale a dire di quanto riscontrato in quel particolare campione. Infatti i risultati riferiti agli outcome cardiovascolari con diagnosi validabile attraverso criteri oggettivi (tabella 1 e tabella 2) , fatta eccezione per l'outcome morte improvvisa presentano tutti la stessa direzione ed esprimono sostanzialmente una rilevante dimensione relativa dell' effetto (un eccesso di rischio assoluto dal 21 al 112% per le donne trattate con calcio).




1-Pertanto le conclusioni da sintetizzare per i risultati rilevati nel campione (stime puntuali) sono:

A) il gruppo trattato con calcio presenta durante il follow-up un aumentato rischio cardiovascolare (eccezion fatta per l' outcome 'morte improvvisa')

B) la direzione dell' effetto è coerente per tutti gli end-point validati (eccezion fatta per l'outcome 'morte improvvisa')

C) l' intensità dell' effetto è ampia per tutti gli end-point validati (eccezion fatta per l' outcome 'morte improvvisa')

2- Circa la precisione di queste stime (applicando in tal caso ragionamenti inferenziali), gli autori riportano 'significatività statistica' per gli outcome 'infarto miocardico' (riferito e validato, tabella 1) e per l' outcome composito 'infarto+stroke+morte improvvisa' (riferito o non riferito ma validato, tabella 2). In quest' ultimo caso però la significatività era assente se l'outcome veniva misurato come rischio assoluto (n. donne con l' outcome /n. donne esposte al rischio) e il confronto tra i due bracci veniva espresso come rapporto tra i due rischi assoluti (Relative Risk= 1.21; P=0.32) ed era invece debolmente presente (tabella 3) quando l'outcome veniva espresso come tasso (n. eventi/n. anni-donna) ed il confronto tra i due bracci come rapporto tra i due tassi (Rate ratio = 1.43; P=0.043). In quest'ultimo caso gli autori hanno evidentemente utilizzato una una diversa unità di analisi (gli eventi al posto delle donne che hanno subito l' evento).

Che valore attribuire alla presenza o meno di significatività di questi risultati?

A giudizio di chi scrive nello studio di safety di Bolland e coll. i ragionamenti inferenziali dovrebbero rivestire un' importanza assolutamente marginale.

Da un punto di vista squisitamente statistico, come correttamente sottolineato nel commento di Luca Puccetti, il sample size non era stato infatti tarato su questi end-point. Ciò implica un aumento considerevole dei livelli di errore alfa complessivo per le conclusioni riportate e rende assolutamente aleatorio qualsiasi ragionamento inferenziale.


Tuttavia le osservazioni relative alla safety di un farmaco non possono essere analizzate alla stregua dei risultati primari di uno studio sperimentale.


Per problemi etici la sicurezza di un farmaco può essere messa in discussione anche in assenza di significatività statistica in quanto, nell' impossibilità per gli stessi vincoli etici di una verifica sperimentale ciò di cui ci si deve accontentare è rappresentato quasi sempre dal risultato estratto da quel particolare campione.

In sostanza quindi l' interpretazione dei risultati di safety non può (e non deve) essere vincolata dai limiti interpretativi dei risultati di un RCT.

Gli autori riportano per esempio gli NNH (calcolati in base alla differenza tra tassi di incidenza degli eventi CVD nei due bracci), ma non i rispettivi intervalli di confidenza. Ciò potrebbe essere fuorviante in uno studio sperimentale, ma non lo è in uno studio di safety, dove la visione etica ha una priorità sulle leggi della statistica inferenziale.


Gli autori hanno aggiustato i due bracci per fattori di confondimento attraverso un modello di regressone multivariata applicata ai tassi degli eventi (Regressione di Poisson) inserendo come covariate alcune caratteristiche demografiche e cliniche che potrebbero indicare leggeri sbilanciamenti tra le caratteristiche dei bracci a confronto.

Questo è l' unico elemento rassicurante di tutta l'analisi in quanto, aggiustata per il contributo delle altre covariate, la categorizzazione della casistica per trattamento ricevuto non sembra svolgere un ruolo determinante sull' end-pont composito infarto+stroke+morte improvvisa (non viene riportata la stessa analisi per gli altri end-point) . Inoltre, come correttamente sottolineato nel commento di Luca Puccetti, mancano in questo modello importanti covariate potenzialmente in grado di influenzare l' incidenza di eventi CVD, come il consumo di FANS e la TOS.

Ma il messaggio resta.

Pertanto le conclusioni degli autori , vale a dire la necessità di considerare attentamente il rapporto rischio-efficacia di tali trattamenti in attesa di ulteriori contributi della ricerca, appaiono giustificate.


Referenze

1) Am J Med. 2006 Sep;119(9):777-85.
2) Am J Med 2002;112:343-7
3) Gut 1993;34:365-70
4) Am J Hypertens 1999;12:84-92
5) J Clin Endocrinol Metab 2005;90:3824-9
6) Am J Epidemiol 1999;149:151-61
7) Stroke 1999;30:1772-9
8) Circulation Jan 2008 DOI 10.1161/CIRCULATIONAHA.107.706127
9) Arch Intern Med 2006;166:869-75

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