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Scompenso cardiaco con fibrillazione atriale: controllo del ritmo o della frequenza?
Inserito il 11 giugno 2008 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Secondo lo studio AF/CHF nei pazienti con fibrillazione atriale e scompenso cardiaco può bastare una semplice strategia volta al controllo della frequenza.




Lo studio AF/CHF, prospettico, in aperto, era stato disegnato per determinare se nel paziente con fibrillazione atriale e scompenso cardiaco sia preferibile una terapia volta a controllare il ritmo cardiaco oppure se sia sufficiente controllare la frequenza.
A tale scopo sono stati arruolati 1.376 pazienti con frazione di eiezione inferiore o uguale al 35% e sintomi di scompenso cardiaco (classe II-IV NYHA). Potevano essere reclutati anche soggetti asintomatici se avevano una frazione di eiezione inferiore o uguale al 25% oppure un precedente ricovero per scompenso cardiaco. Inoltre i pazienti avevano tutti una storia di fibrillazione atriale significativa (episodio durato più di 6 ore o trattato con cardioversione). Il follow-up dello studio è stato di 2 anni e più di due terzi dei soggetti erano in fibrillazione atriale persistente.
Nei pazienti randomizzati a controllo del ritmo veniva effettuata una cardioversione elettrica entro 6 settimane se la terapia antiaritmica non era sufficiente a ripristinare il ritmo sinusale. Se necessario veniva effettuata una seconda cardioversione elettrica entro tre mesi. Il farmaco antiaritmico di prima scelta era l'amiodarone, quelli di seconda scelta sotalolo o dofetilide. In caso di eccessiva bradicardia veniva impiantato un pace-maker mentre l'ablazione transcatetere veniva effettuata nei soggetti refrattari alle precedenti terapie.
I pazienti randomizzati a controllo della frequenza venivano trattati con beta-bloccanti e/o digitale; per ottenere la frequenza cardiaca desiderata si poteva ricorrere anche al pace-maker oppure alla ablazione del nodo AV.
Tutti i soggetti di entrambi i gruppi ricevevano inoltre la terapia standard per lo scompenso (aceinibitori e beta-bloccanti), oltre al warfarin.
L'end-point primario dello studio era la mortalità cardiovascolare; end-point secondari erano la mortalità totale, il peggioramento dello scompenso cardiaco, l'ictus, le ospedalizzazioni, la qualità di vita e il costo dei trattamenti.
L'analisi, effettuata secondo l'intenzione a trattare, non ha dimostrato alcuna differenza nei due gruppi, sia per l'end-point primario che per quelli secondari. La mortalità cardiovascolare fu del 26,7% nel gruppo controllo del ritmo e del 25,2% nel gruppo controllo della frequenza (HR 1,058; p = 0,59).
Durante il follow-up il 21% dei pazienti passò dal gruppo controllo del ritmo al gruppo controllo della frequenza a causa della impossibilità a mantenere il ritmo sinusale, mentre il 10% passò dal gruppo controllo della frequenza a quello controllo del ritmo a causa del peggioramento dello scompenso.
Le ospedalizzazioni furono più frequenti nel gruppo controllo del ritmo (46% vs 39% nel primo anno; P = 0,0063) così come le cardioversioni (39% vs 8%).

Fonte:

Studio AF/CHF. Presentato in anteprima ad Orlando (6 novembre 2007), al congresso dell'American Heart Association.

Roy D et al. for the Atrial Fibrillation and Congestive Heart Failure Investigators. Rhythm Control versus Rate Control for Atrial Fibrillation and Heart Failure. N Engl J Med 2008 Jun 19; 358:2667-2677



Commento di Renato Rossi

Già due importanti studi avevano dimostrato che nella fibrillazione atriale una strategia volta al semplice controllo della frequenza ottiene risultati clinici simili a quelli di un approccio più complesso di controllo del ritmo. Nello studio AFFIRM [1] vennero arruolati oltre 4.000 pazienti (età media circa 70 anni) con fibrillazione atriale, di cui circa un quarto con compromissione della funzione ventricolare sinistra. Dopo 5 anni l'end-point primario (mortalità totale) non differiva tra il braccio trattato con controllo del ritmo e quello trattato con controllo della frequenza (rispettivamente 23,5% vs 21,3%; p = 0,08). Anche nello studio AFFIRM la percentuale di ospedalizzazioni fu maggiore nel gruppo randomizzato a controllo del ritmo. In questo gruppo ci furono anche maggiori effetti collaterali dovuti ai farmaci.
Nel secondo studio [2], europeo, vennero reclutati 522 pazienti che, dopo una cardioversione elettrica, continuavano ad avere una fibrillazione atriale. I soggetti randomizzati al gruppo controllo della frequenza ricevettero warfarin e farmaci rate-slowing; i pazienti randomizzati a controllo del ritmo furono sottoposti ad una serie di cardioversioni e ricevettero farmaci antiaritmici e warfarin. Venne misurato un end-point composto da morte da cause cardiovascolari, scompenso cardiaco, complicanze tromboemboliche, sanguinamenti, impianto di pace-maker ed effetti collaterali gravi da farmaci.
Dopo un follow-up medio di 2,3 anni, il 39% dei 266 pazienti randomizzati a controllo del ritmo avevano un ritmo sinusale contro il 10% dei 256 pazienti randomizzati a controllo della frequenza. L'end-point primario si verifico' nel 17,2% (44 pazienti) del gruppo controllo della frequenza e nel 22,6% (60 pazienti) del gruppo controllo del ritmo.La distribuzione delle varie componenti dell'end-point primario era simile nei due gruppi.
Ora lo studio AF/CHF, presentato in anteprima al Congresso 2007 dell'American Heart Association, conferma che anche nel paziente con fibrillazione atriale e scompenso cardiaco può essere sufficiente una terapia semplice volta al controllo della frequenza perchè voler a tutti i costi ripristinare e mantenere il ritmo sinusale non porta a benefici maggiori; al contrario può aumentare il rischio di ospedalizzazione.
In effetti il mantenimento del ritmo sinusale sarebbe, teoricamente il goal terapeutico nella fibrillazione atriale, tuttavia la frequente recidiva e gli effetti collaterali dei farmaci antiaritmici sono spesso degli ostacoli insormontali: nello studio AF/CHF ben un paziente su 5 dovette passare dal gruppo controllo del ritmo al gruppo controllo della frequenza a causa di queste ragioni. Al contrario solo un paziente su 10 del gruppo controllo della frequenza passò all'altro braccio per il peggioramento dello scompenso.
Si può quindi concludere che è ormai tempo di abbandonare ogni tentativo di riportare a ritmo sinusale i fibrillanti? Va ricordato che nello studio AF/CHF i pazienti erano in condizioni relativamente stabili, per cui un tentativo di ripristinare il ritmo sinusale può essere ragionevale nei soggetti con condizioni cliniche instabili. Il dr. Roy, autore dello studio, ha affermato, durante la presentazione, che un punto da valutare sarà anche la qualità di vita dei pazienti: questo parametro sarà oggetto di un esame successivo, ma se si dimostrasse che il controllo del ritmo comporta una qualità di vita mgliore, allora anche le preferenze del paziente andranno considerate. Però c'è da dire che nello studio AFFIRM la qualità di vita non era diversa tra i due bracci. Da valutare sarà pure il costo della terapia che, ovviamente, con la strategia volta al controllo del ritmo, è maggiore.


Referenze

1. A Comparison of Rate Control and Rhythm Control in Patients with Atrial Fibrillation
The Atrial Fibrillation Follow-up Investigation of Rhythm Management (AFFIRM) Investigators
N Engl J Med 2002 Dec 5; 347: 1825-33
2. Van Gelder IC et al. for Rate Control versus Electrical Cardioversion for Persistent Atrial Fibrillation Study Group. A Comparison of Rate Control and Rhythm Control in Patients with Recurrent Persistent Atrial Fibrillation. N Engl J Med 2002 Dec 5; 347: 1834-40




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