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Target dell'emoglobina glicata nel diabete tipo 2
Inserito il 22 maggio 2008 da admin. - metabolismo - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

L'American College of Physicians consiglia di personalizzare il valore di emoglobina glicata da raggiungere nel diabete tipo 2.



L'American College of Physicians (ACP) ha pubblicato delle linee guida che cercano di determinare quali dovrebbero essere i livelli ottimali di glicoemoglobina da raggiungere nel diabete tipo 2.
Gli autori hanno valutato la qualità di varie linee guida sull'argomento, adottando il sistema AGREE (Appraisal of Guidelines, Reserarch and Evaluation in Europe).
La maggior parte delle linee guida esistenti raccomanda di arrivare a valori di emoglobina A1c attorno al 7% (alcune a valori un po' inferiori), ma in molte si consiglia di personalizzare il target sulla base delle caratteristiche del singolo paziente (rischio di complicanze vascolari, aspettativa di vita, comorbidità).
L'ACP ha sintetizzato le sue raccomandazioni come segue: l'obiettivo del controllo glicemico dovrebbe essere il più basso possibile al fine di prevenire le complicanze microvascolari, evitando però rischi di effetti avversi; per molti il valore ottimale è inferiore al 7%, ma non per tutti (anziani, pazienti fragili, oppure pazienti a rischi di gravi crisi ipoglicemiche, pazienti con poca aspettativa di vita).
In ogni caso l'ACP raccomanda ulteriori studi per valutare quale dovrebbe essere il livello desiderabile di glicoemoglobina, soprattutto nei soggetti con comorbidità.
E' essenziale inoltre, nel diabetico, oltre al controllo glicemico, trattare l'ipertensione e la dislipidemia.


Fonte:

Qaseem A et al. for the Clinical Efficacy Assessment Subcommittee of the American College of Physicians. Glycemic Control and Type 2 Diabetes Mellitus: The Optimal Hemoglobin A1c Targets. A Guidance Statement from the American College of Physicians. Ann Intern Med 2007 Sept 18; 147:417-422


Commento di Renato Rossi

Il controllo dell'equilibrio glicemico è sicuramente un aspetto importante del trattamento del paziente con diabete tipo 2. Tuttavia il maggior studio randomizzato ad oggi disponibile, lo studio UKPDS, ha dimostrato che questa pratica può essere utile a ridurre le complicanze microvascolari, ma non quelle macrovascolari, per le quali è probabilmente più importante controllare gli altri fattori di rischio spesso presenti nel diabetico (ipertensione, dislipidemia). Anzi, a ben guardare, anche la riduzione delle complicanze microvascolari ottenute con una terapia ipoglicemizzante intensiva può essere messa in discussione, almeno dal punto di vista metodologico. Infatti nell'UKPDS era stato disegnato un end-point composto da 12 sotto-elementi. Solo a posteriori si aggiunse un 13° sotto-endpoint (interventi di fotocoagulazione laser) che, ad essere sinceri, poco aggiungeva all'end-point "cecità" già presente. Alla fine dello studio il trattamento intensivo ipoglicemizzante ridusse l'end-point composto del 12% (HR 0,88; 0,79-0,99), ma la significatività statistica (peraltro molto risicata) fu possibile solo grazie alla riduzione del 29% degli interventi di fotocoagulazione laser, sotto-endpoint inizialmente non previsto e aggiunto solo in seguito (una metodologia di lavoro che gli esperti di "critical appraisal" boccerebbero senza misericordia [1]): tutti gli altri 12 sotto-elementi non risultarono ridotti, compresi la morte per cause renali, l'insufficienza renale, la cecità, le amputazioni.
Ovviamente questo non significa che non si debba cercare di arrivare a valori di glicoemoglobina attorno al 7% o inferiori, perchè i benefici del controllo glicemico potrebbero aversi anche se lo studio UKPDS presenta errori metodologici. Tuttavia è esperienza comune come, in molti pazienti, arrivare a tali valori di emoglobina glicata sia molto difficile, talora non ci si riesce neppure con l'aggiunta di insulina oppure ci si arriva ma a prezzo di gravi ipoglicemie. Le linee guida dell'ACP hanno il merito di richiamare l'attenzione dei medici sul fatto che le raccomandazioni delle Società Scientifiche vanno interpretate con una buona dose di "giudizio clinico" e adattate al singolo paziente, tenendo conto dell'età, del rischio di complicanze micro e macro-angiopatiche, della comorbidità, ecc. Così mentre per un diabetico di 50 anni con retinopatia e nefropatia iniziali è probabilmente importante cercare di arrivare a valori di emoglobina glicata vicini alla norma, per un anziano con pluripatologie o con pochi anni di aspettativa di vita si possono benissimo accettare valori più elevati.


Referenze

Battaggia A. et al. Gli end-point composti. In: www.evidenzaqualitametodo.it



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