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Ancora su antidepressivi e suicidio
Inserito il 10 aprile 2008 da admin. - psichiatria_psicologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Secondo nuovi dati il trattamento con antidepressivi non comporterebbe un aumento del rischio di suicidio, anzi dopo l'inizio della terapia il rischio si riduce.



Tre studi pubblicati contemporaneamente sono ritornati sul tema "antidepressivi e suicidio".
Il primo [1] ha preso in esame oltre 70.000 depressi che sono stati trattati con un antidepressivo da medici di famiglia, oltre 7.000 trattati da uno psichiatra e oltre 54.000 che avevano iniziato una psicoterapia. I ricercatori hanno preso in esame i 90 giorni prima dell'inizio della cura e i 180 seguenti. In questo periodo si verificarono 715 tentativi di suicidio, più frequenti negli adolescenti e nei giovani adulti, nel mese antecedente ed in quello seguente l'inizio del trattamento. Dopo il primo mese di terapia la frequenza dei tentativi di suicidio, invece, diminuiva.
Nel secondo studio [2] è stato valutato il rischio di suicidio in quasi 227.000 pazienti con nuova diagnosi di depressione tra il 2003 e il 2004. Per i pazienti in trattamento con SSRI o con antidepressivi di nuova generazione non-SSRI (bupropione, mirtazapina, nefazodone, o venlafaxina) i tentativi di suicidio risultarono più frequenti prima dell'inizio della terapia (tempo medio di osservazione: 14 mesi) che dopo (tempo medio di osservazione: 10 mesi). Il rischio relativo di suicidio dopo l'inizio del trattamento rispetto a prima dell'inizio era di 0,338 per gli SSRI, di 0,397 per i non-SSRI e di 0,505 per i triciclici.
Nel terzo studio [3] gli autori hanno rivalutato i dati di 27 trials pediatrici, sui quali la FDA aveva basato le sue determinazioni per emettere un black-box warning sull'uso degli antidepressivi nei giovani, trovando che in realtà i tentativi di suicidio erano il 50% in meno di quanto calcolato dall'agenzia che controlla cibi e farmaci negli USA.


Fonte:

1. Simon GE and Savarino J. Suicide attempts among patients starting depression treatment with medications or psychotherapy. Am J Psychiatry 2007 Jul; 164:1029-34.
2. Gibbons RD et al. Relationship between antidepressants and suicide attempts: An analysis of the Veterans Health Administration data sets. Am J Psychiatry 2007 Jul; 164:1044-9.
3. Posner K et al. Columbia Classification Algorithm of Suicide Assessment (C-CASA): Classification of suicidal events in the FDA’s pediatric suicidal risk analysis of antidepressants. Am J Psychiatry 2007 Jul; 164:1035-43.


Commento di Renato Rossi

Un editorialista, commentando questi studi, si chiede se gli antidepressivi siano la causa o la cura per il suicidio nel depresso e afferma che è molto più probabile che un tentativo di suicidio porti il paziente ad essere trattato con un antidepressivo che non viceversa.
In realtà la querelle circa il possibile aumento del rischio di suicidio associato all'uso degli antidepressivi, e in particolare degli SSRI (inibitori selettivi del reuptake della serotonina), non è nuova.
Nel 2005 il BMJ aveva cercato, con tre corposi studi, di mettere un punto fermo alla questione, ma non era stato possibile trarre conclusioni certe [1,2,3].
Sempre nel 2005 l'EMEA dava mandato ad un comitato di esperti di esaminare il profilo di sicurezza di SSRI ed SNRI. Il comitato concludeva che questi farmaci non devono essere usati nei bambini e negli adolescenti, eccetto che per le indicazioni approvate per queste età, in quanto vi può essere un aumento dei comportamenti aggressivi e di tendenza al suicidio rispetto al placebo [4].
Di tenore del tutto opposto una meta-analisi recentissima di RCT secondo la quale nei bambini il rischio di tentato suicidio degli antidepressivi è inferiore ai benefici ottenibili con il loro uso [11].
Uno studio norvegese su 1.500 pazienti, pubblicato sulla rivista elettronica BMC Medicine, evidenziava che la paroxetina aumentava il rischio di suicidio rispetto al placebo [5]. La ditta produttrice del farmaco contestò lo studio affermando che si trattava di dati vecchi di 15 anni mentre l'EMEA, dopo aver esaminato la documentazione disponibile sul farmaco, riaffermava il profilo favorevole di paroxetina nel trattare depressione e disturbi correlati all'ansia. Ma la storia non finiva qui perchè la ditta produttrice, nel marzo 2006, informava la FDA dei risultati di un'analisi sui dati a sua disposizione affermando testualmente. " Negli adulti con MDD (major depressive disease) vi è un incremento statisticamente significativo dei comportamenti suicidiari nei pazienti trattati con paroxetina rispetto al placebo" [6]. In seguito la stessa ditta inviava una lettera ai medici in cui si sottolineava che è difficile stabilire una relazione di tipo causa-effetto tra paroxetina e suicidio negli adulti a causa del numero esiguo degli eventi , della natura retrospettiva dell'analisi e della presenza di possibili fattori di confondimento associati ai sintomi stessi della malattia trattata.
L' EMEA nel 2006 autorizzava l'uso di fluoxetina nei bambini e negli adolescenti ma solo in caso di fallimento della psicoterapia (almeno 4-6 sedute), suggerendo che se non ci sono benefici clinici dopo 9 settimane il trattamento deve essere riconsiderato [9].
Uno studio caso-controllo [7] riapriva di nuovo la contesa (gli SSRI sarebbero associati ad un aumento del rischio di suicidio negli anziani), ma un altro contributo [8] rendeva ancora più intricata la questione: i dati epidemiologici sono a favore dell'uso degli SSRI perchè, dalla loro commercializzazione, la frequenza di suicidi non solo non era aumentata ma si era progressivamente ridotta, negli USA, mentre era rimasta sostanzialmente stabile nei 15 anni precedenti. E' possibile che questa riduzione sia dovuta non all'uso degli SSRI ma, per esempio, al miglioramento in genere dei servizi psichiatrici oppure a qualche altro fattore che non conosciamo? Difficile a dirsi, anche se non lo possiamo escludere. Sta di fatto che l'associazione tra riduzione dei suicidi e prescrizione degli SSRI è molto suggestiva. Gli autori comunque mantenevano una certa prudenza: anche se i loro risultati indicavano che l'introduzione di questi farmaci nel mercato aveva contribuito a ridurre la frequenza di suicidi negli USA non escludevano che in piccole sottopopolazioni di pazienti potevano invece aumentare tale rischio.
Non portava chiarezza neppure uno studio di coorte su oltre 15.000 soggetti: da una parte mostrava un aumento dei tentativi di suicido in chi usa antidepressivi ma dall'altra una riduzione significativa dei suicidi riusciti e della mortalità totale per riduzione delle morti cardio-cerebrovascolari durante la terapia con SSRI [10].
Arrivano ora gli studi recensiti in questa pillola che forniscono dati per molti versi tranquillizzanti e anzi lo studio di Posner e collaboratori avanza il dubbio che le stime effettuate dalla FDA nei trials sulla depressione pediatrica possano essere errate per eccesso.
In attesa di nuovi sviluppi che portino ulteriori elementi, come dovrebbe comportarsi il medico pratico?
Due potrebbero essere le regole a cui conformarsi.
La prima è quella di trattare con un antidepressivo solo chi ne ha effettivamente bisogno: spesso i pazienti visti nella pratica di tutti i giorni non soffrono di depressione maggiore ma di un disturbo sotto-soglia legato a momentanee difficoltà in famiglia o nel lavoro oppure ad eventi stressanti (un lutto, una separazione, ecc.) in cui una modesta reazione depressiva è del tutto normale; può essere allora sufficiente il counseling, la disponibilità all'ascolto ed un attento monitoraggio, in modo da cogliere subito eventuali peggioramenti che indichino la necessità di un trattamento farmacologico. La seconda regola è di seguire scrupolosamente i pazienti in trattamento con antidepressivi, soprattutto quelli più impegnativi e nei primi mesi. Questi soggetti richiedono un' attenzione particolare sia da parte del medico che dei familiari che possono essere chiamati a collaborare con i sanitari.



Referenze

1. Fergusson D et al. Association between suicide attempts and selective serotonin reuptake inhibitors: systematic review of randomised controlled trials. BMJ 2005 Feb 19; 330:396
2. Gunnel D et al. Selective serotonin reuptake inhibitors (SSRIs) and suicide in adults: meta-analysis of drug company data from placebo controlled, randomised controlled trials submitted to the MHRA's safety review. BMJ 2005 Feb 19; 330:385
3. Martinez C et al. Antidepressant treatment and the risk of fatal and non-fatal self harm in first episode depression: nested case-control study. BMJ 2005 Feb 19; 330:389
4. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=1709
5. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=1838
6. Jeanne Lenzer. Manufacturer admits increase in suicidal behaviour in patients taking paroxetine
BMJ 2006 May 20;332:1175
7. Juurlink DM, et al. The risk of suicide with selective serotonin reuptake inhibitors in the elderly. Am J Psychiatry 2006;163: 813-21
8. Licinio J et al. PLoS Med (Public Library of Science Medicine journal) 2006; 3:e190
http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=2525
9. Lynn Eatin. European agency approves use of fluoxetine for children and teens. BMJ 2006 Jun 17; 332:1407
10. Tiihonen J et al. Antidepressants and the Risk of Suicide, Attempted Suicide, and Overall Mortality in a Nationwide Cohort. Arch Gen Psychiatry. 2006 Dec; 63:1358-1367.
11. Bridge JA et al. Clinical Response and Risk for Reported Suicidal Ideation and Suicide Attempts in Pediatric Antidepressant Treatment. A Meta-analysis of Randomized Controlled Trials. JAMA. 2007 Apr 18;297:1683-1696.

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