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Pillole di EBM - Capitolo 14
Inserito il 07 giugno 2007 da admin. - scienze_varie - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

In questo capitolo si tratterà degli studi di equivalenza, un tipo di studi che desta più di una perplessità.

Gli studi possono essere disegnati con lo scopo di dimostrare che un trattamento è superiore ad un altro (studi di superiorità). Tuttavia i ricercatori spesso decidono di accontetarsi di dimostrare che un trattamento è equivalente ad un altro (studi di equivalenza). Ci sono anche gli studi di "non inferiorità" che non sono altro che un sottotipo particolare degli studi di equivalenza.
Mi direte: dove sta la differenza? La tabella sottostante definisce cosa si intende per studio di equivalenza.


Negli studi di equivalenza i ricercatori, nel protocollo, stabiliscono chiaramente di considerare equivalenti due trattamenti se la differenza trovata varierà entro un certo intervallo detto "intervallo di equivalenza", stabilito a priori e in modo arbitrario.


Spiegare come funziona la faccenda non è semplice, perchè la statistica e la tecnica la fanno da padroni, cercherò di farlo a costo di commettere delle inesattezze.
In uno studio di equivalenza si parte da questo assunto: voglio dimostrare che un determinato farmaco è "equivalente" ad uno di confronto e quindi stabilisco un "intervallo di equivalenza" per esempio + 8% e - 8%. In altre parole: ho un farmaco antipertensivo e voglio vedere se è equivalente al farmaco di rifermento nel ridurre l'ictus e se trovo che l' intervallo di confidenza al 95% del rischio relativo
(o di qualsiasi altra misura di efficacia considerata) cade entro l'intervallo di equivalenza che ho stabilito precedentemente dirò che i due trattamenti sono equivalenti. Così se troverò un IC95% dell'RR compreso tra - 6 e + 7 dirò che di due trattamenti sono equivalenti, perchè l'IC95% cade nell'intervallo di equivalenza che a priori ho stabilito essere compreso tra + 8 e - 8. E' interessante notare che se trovo un IC95% dell'RR compreso tra + 4 e + 7 posso sempre dire che i due trattamenti sono equivalenti perchè l'IC95% cade nell'intervallo di equivalenza prestabilito, però se si trattasse di uno studio normale si dovrebbe concludere che il farmaco testato rispetto al controllo provoca un aumento dell'ictus e che il risultato è statisticamente significativo perchè l'IC95% è sempre di segno positivo. Ora, questa cosa sarà anche accettata dagli studiosi, avrà tutti crismi e le benedizioni della statistica, e gli esperti mi daranno dell'ignorante, ma mi convince poco.
Di solito quando si stabiliscono i limiti dell'intervallo di equivalenza si scelgono delle differenze piccole che si ritiene clinicamente non rilevanti: sarebbe difficile far accettare che due trattamenti sono equivalenti con una differenza di esiti clinici in più o in meno del 50%!
Come si vede la questione diventa abbastanza complicata, pane per i denti di chi si dedica ai critical appraisal, tuttavia questo tipo di studi solleva numerose domande sia di tipo metodologico che etico. Bisogna che gli autori giustifichino il fatto di aver scelto uno studio di equivalenza con motivazioni cliniche ineccepibili, l'intervallo di equivalenza deve essere predefinito (in caso contrario lo studio non può essere considerato di equivalenza ma di superiorità), la numerosità del campione deve essere tarata su questa differenza, ecc. Un altro punto da considerare è come è stata effettuata l'analisi. Negli studi di superiorità l'analisi viene effettuata secondo l'intenzione a trattare dato che l'analisi per protocol (cioè limitata solo a chi ha seguito il protocollo dello studio) può accentuare differenze tra i due trattamenti. Negli studi di equivalenza e non inferiorità effettuare solo analisi secondo intenzione a trattare potrebbe allora non mettere in evidenze delle differenze tra i due bracci e far affermare erroneamente l'equivalenza o la non inferiorità. Perciò è necessario eseguire l'analisi con i due metodi ed i risultati devono coincidere.
Come fa notare un editoriale pubblicato sul Bollettino di Informazione sui Farmaci (BIF 2006; n. 3, pag 97 e seguenti) gli studi di equivalenza e non inferiorità presentano molti aspetti ambigui, vanno attentamente valutati per vedere se non si tratta in realtà di studi mascherati, cioè studi che all'origine erano di superiorità ma che, visti i risultati negativi, sono stati trasformati a posteriori in studi di equivalenza. Come dice Aristotele nella Retorica, si è oscuri se non si dice fin dall'inizio ciò che si vuole.
Un aspetto cruciale è poi la corretta informazione dei pazienti che partecipano al trial, i quali devono chiaramente sapere che stanno provando un farmaco che noi abbiamo deciso di dichiarare equivalente a quello di paragone anche se provoca un aumento degli eventi di una certa entità che abbiamo stabilito, in modo comunque arbitrario, essere clinicamente poco importante.
Mi domanderete: perchè tutte queste complicazioni, non sarebbe più semplice fare solo studi di superiorità? Qui casca l'asino. Intanto la dimostrazione di "equivalenza" viene accettata dalle autorità regolatorie per registrare un nuovo farmaco. Inoltre ormai la ricerca farmaceutica ha raggiunto un tal grado di perfezione che spesso è difficilissimo dimostrare la superiorità di un nuovo farmaco rispetto a quello di confronto in termini di riduzione degli eventi clinici. A dirla francamente però viene il sospetto che degli studi di equivalenza e di non inferiorità si tenda ad abusare, quasi si avesse il timore di confrontarsi "a viso aperto" con i concorrenti.
In conclusione consiglierei di considerare sempre con prudenza i risultati di uno studio di equivalenza o non inferiorità perchè è stato visto che in molti casi la loro qualità metodologica è discutibile.


Renato Rossi

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