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Un' epidemia di diagnosi per gli americani
Inserito il 19 agosto 2007 da admin. - scienze_varie - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Un articolo del New York Times sottolinea i rischi della eccessiva medicalizzazione di ogni aspetto della vita.


La salute degli americani è in pericolo ma non a causa dell'influenza aviaria o della mucca pazza: il pericolo viene dal loro sistema sanitario. E' quanto scrive il New York Times che stigmatizza l'eccesso di diagnosi che si sta verificando negli USA, tanto da configurare una vera e propria epidemia.
Paradossalmente gli americani non sono mai vissuti così a lungo e neppure hanno mai speso così tanto per la salute, eppure si continua a dir loro che sono malati.
Vi sono due metodi diversi per far sentire malate le persone.
Il primo metodo è la medicalizzazione di ogni aspetto della vita. Un tempo molte esperienze fisiche o emotive spiacevoli erano considerate normali, oggi vengono etichettate come malattie vere e proprie. L'insonnia, la tristezza, l'irriquietezza delle gambe, le difficoltà sessuali sono diventate i disordini del sonno, la depressione, la sindrome delle gambe senza riposo, la disfunzione sessuale. Se un bambino tossisce dopo un'attività fisica ha l'asma, se ha difficoltà a leggere è dislessico, se non è felice è depresso e se ha periodi alternati di umore felice e infelice ha un disordine bipolare. Queste diagnosi possono essere utili in caso di disturbi gravi ma la loro utilità è del tutto discutibile quando il sintomo è lieve o transitorio.
Il secondo metodo è la diagnosi precoce delle malattie. Siamo arrivati a diagnosticare come malati persone che non hanno sintomi ma sono predisposte ad ammalarsi o sono "a rischio di".
Questo processo viene accelerato dagli sviluppi della tecnologia grazie alla quale riusciamo a introdurre fibre ottiche in ogni orificio del corpo, e con immagini radiologiche sempre più sofisticate possiamo esaminare le parti più nascoste dell'organismo.
Inoltre sono cambiate le regole. Panel di esperti allargano sempre più la definizione di malattia, riducono la soglia per la diagnosi di diabete, ipertensione, osteoporosi, obesità, ipercolesterolemia.
Ne deriva che più della metà della popolazione sarebbe ammalata di qualcosa, e se non lo è lo sta per diventare.
Molti sono portati a pensare che queste diagnosi siano utili e in alcuni casi può essere così, ma se metà di noi è ammalato, cosa vuol dire essere sano? Molti di noi hanno delle "pre-malattie" che non diventeranno mai malattie e tutti siamo a rischio di qualcosa.
Etichettare come malate le persone le rende infelici, vulnerabili, ansiose. Inoltre questa epidemia di diagnosi porta con sè una inevitabile epidemia di trattamenti. Però non tutti i trattamenti sono utili, ma tutti possiedono degli effetti collaterali, che non sono sempre noti. Soprattutto quando si tratta di nuovi farmaci questi effetti saranno noti solo dopo che molte persone saranno state trattate. Nel caso di malatte gravi i benefici superano i pericoli ma nei casi di sintomi lievi i rischi delle terapie possono essere rilevanti. Per coloro che sono considerati "a rischio di" ma che rimarranno sani i farmaci sono solamente pericolosi.
Quali le cause? Anzitutto fare più diagnosi significa più soldi per le ditte farmaceutiche, per gli ospedali, per i medici, per le associazioni di malati. Inoltre mentre una diagnosi mancata può portare a procedimenti di tipo legale, una sovradiagnosi non porta a nessuna conseguenza di questo tipo.

Fonte:
Welch G, Schwartz L, Woloshin S. What’s Making Us Sick Is an Epidemic of Diagnoses
New York Times, 2 gennaio 2007


Commento di Renato Rossi

L'articolo del New York Times punta il dito su un problema reale: l'eccessiva medicalizzazione a cui stiamo ormai assistendo da alcuni anni. Il dr. Welch, che firma l'articolo, è autore di un libro che suona all'incirca così "Dovrei sottopormi a screening oncologici? Forse no e vi dico anche perchè". Ma quanto sostiene è innegabile e sotto gli occhi di tutti. Gli Stati Uniti spendono cifre colossali per la sanità: in termini di PIL una percentuale che è quasi doppia di quella spesa in Italia, eppure gli esiti non sono migliori, anzi. Da noi la tendenza è meno esasperata, ma la strada su cui ci si sta incamminando è quella. Eppure la storia dovrebbe pur insegnare qualcosa. Ricordo ancora le linee guida di alcuni anni fa quando si sosteneva che la terapia ormonale sostitutiva (TOS) era una specie di "pozione magica" in grado di riportare indietro le lancette dell'orologio e la menopausa veniva considerata alla stregua di una piaga biblica. Sappiamo poi come sono andate a finire le cose e ora quasi nessuno si sogna di consigliare la TOS per prevenire malattie croniche e l'uso rimane limitato a brevi periodi a scopo solamente sintomatico. Quali sono stati i danni provocati dalla prescrizione degli estrogeni per curare la menopausa negli USA? Nessuno lo sa con precisione ma i dati recenti secondo cui si sta assitendo ad una riduzione del tumore mammario [1], pur non essendo accertato se possa dipendere o meno dalla marcia indietro sulla TOS dopo la pubblicazione dello studio WHI, dovrebbero comunque portare a qualche riflessione.
Comunque gli esempi che si potrebbero portare sono numerosi, dagli screening esasperati alla riduzione delle soglie per la diagnosi di malattie come il diabete o di fattori di rischio come l'ipercolesterolemia. Gli americani si sono inventati addirittura la dizione di "pre-ipertensione", scritta nero su bianco nelle loro ultime linee guida, per individuare soggetti sani ma che "forse" si ammaleranno. Forse.
Tra tutti basti citare lo screening del cancro della mammella: secondo autorevoli esperti si dovrebbe iniziare a partire dai 25 anni, per proseguire poi con l'accoppiata mammografia/ecografia ad intervalli sempre più ravvicinati. Eppure, come ha fatto notare Stefano Ciatto [2], non vi sono evidenze di letteratura che giustifichino un approccio così aggressivo che, d'altra parte, corre il rischio, se messo in atto, di far fallire per mancanza di fondi anche i programmi di screening che hanno maggiori documentazioni di efficacia.
C'è poco altro da aggiungere a quanto scrive il New York Times (che evidenzia bene i rischi di un tale modo di intendere la medicina: dalle sovradiagnosi al sovratrattamento con tutto quel che ne consegue) se non che la tendenza appare inarrestabile: gli ambulatori e i Pronto Soccorso straripano di persone patofobiche non più in grado neppure di autogestire banali disturbi autolimitati che una volta ci si guardava bene dal sottoporre all'attenzione del "dottore". In questo quadro generale i primi a fare "mea culpa" dovrebbero essere i medici ma non sembra sia così, a parte qualche esigua minoranza di cassandre che, quando tutto va bene, viene stigmatizzata come "poco documentata".
Questo immenso leviatano che si autoalimenta in una specie di moto perpetuo finirà per implodere per mancanza di combustibile?


Referenze

1. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=2987
2. Stefano Ciatto. Tumore al seno: troppa prevenzione? Tempo Medico n. 810, 6 maggio 2006

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