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Servono dieci nuovi biomarkers per migliorare la valutazione del rischio cardiovascolare? |
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Inserito il 17 agosto 2007 da admin. - cardiovascolare - segnala a:
L'aggiunta di 10 biomarkers di rischio cardiovascolare migliora di poco il classico modello previsionale, che per il momento mantiene intatto tutto il suo valore.
Alcuni ricercatori si sono serviti dei dati di 3.209 soggetti partecipanti al Framingham Offspring Study (94% dei quali senza malattie cardiovascolari) per valutare il valore predittivo di 10 biomarkers di rischio cardiovascolare: proteina C reattiva, BNP, peptide natriuretico atriale N-terminale, aldosterone, renina, fibrinogeno, inibitore tipo 1 dell'attivatore del plasminogeno, D-dimero, omocisteina, rapporto albumina/creatinina nelle urine. Durante un follow-up medio di 7,4 anni morì il 6% dei soggetti arruolati e il 6% di coloro che non avevano una malattia cardiovascolare presentarono un primo evento cardiovascolare maggiore. Nel loro insieme tutti e dieci i biomarkers valutati risultarono associati a mortalità ed eventi cardiovascolari, cinque di essi (BNP, PCR, omocisteina, renina, rapporto albuminuria/creatininuria) erano buoni predittori di morte e due (BNP e rapporto albuminuria/creatininuria) lo erano per gli eventi cardiovascolari. Tuttavia con l'inclusione di questi cinque fattori aggiuntivi al classico modello di Framingham si otteneva un vantaggio marginale e si aumentava di poco la capacità di previsione.
Fonte: Wang TJ et al. Multiple biomarkers for the prediction of first major cardiovascular events and death. N Engl J Med 2006 Dec 21; 355:2631-9.
Commento di Renato Rossi
Un altro studio che dimostra come non sia molto vantaggioso aggiungere ulteriori paramentri ai classici fattori tradizionalmente usati per la valutazione del rischio cardiovascolare. Tra l'altro secondo lo studio di Wang e coll. solo due fattori (BNP e rapporto albuminuria/creatininuria) sarebbero dei buoni predittori di un primo evento maggiore cardiovascolare, così che la proteina C reattiva e l'omocisteina, da molti enfatizzate, verrebbero relegate a ruolo di comprimario. Tra l'altro questi risultati sono sovrapponibili a quelli ottenuti nello studio ARIC, in cui i ricercatori avevano valutato l'utilità di ben 19 fattori di rischio non tradizionali [1]. In conclusione, rimandiamo a quanto scrivemmo in quell'occasione: per il momento conviene che i medici pratici, quando devono procedere alla stratificazione del rischio cardiovascolare, si concentrino sui soliti e ben noti fattori di rischio, lasciando le novità ai ricercatori.
Referenze
1. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=2616
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