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Il follow-up nella paziente operata di cancro mammario
Inserito il 14 gennaio 2008 da admin. - oncologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Anche le ultime linee guida ASCO ribadiscono che nelle donne operate di cancro mammario non si dovrebbe attuare un programma intensivo di follow-up.


L'American Society of Clinical Oncology (ASCO) ha aggiornato le sue linee guida circa il follow-up della paziente trattata per cancro della mammella (le precedenti risalivano al 1998).
L'anamnesi, l'esame clinico e l'educazione della paziente circa i sintomi di recidiva rimangono le chiavi principali del follow-up. Il counseling genetico viene consigliato nei casi di storia familiare di cancro mammario oppure ovarico o ancora in caso di tumore mammario bilaterale nella paziente o in una parente. Tutte le donne dovrebbero effettuare mensilmente l'auto-esame del seno e una mammografia annuale a partire da un anno dopo la diagnosi (ma non prima di 6 mesi che sia terminato il trattamento radioterapico). Viene raccomandata anche la visita ginecologica con esame pelvico periodico e accertamenti in caso di sanguinamento vaginale in corso di assunzione di tamoxifene.
L'esame emocromocitometrico, i test ematochimici epatici, gli studi di imaging e il dosaggio dei vari marcatori tumorali non sono raccomandati di routine. Anche se la RMN e la PET con fluorodessoglucosio (FDG - PET) potrebbero essere utili nella ricerca di recidive non vi sono dati circa
il loro uso di routine nel follow-up delle donne asintomatiche.




Fonte:
Khatcheressian JL et al. American Society of Clinical Oncology 2006 update of the breast cancer follow-up and management guidelines in the adjuvant setting. J Clin Oncol 2006 Nov 1; 24:5091-7.

(!) http://jco.ascopubs.org/cgi/content/full/24/31/5091

Commento di Renato Rossi

Nulla di nuovo sotto il sole: queste nuove linee guida non fanno altro che ribadire quanto già era stato messo in evidenza più di una decina d''anni fa da due storici trial italiani [1,2] che avevano dimostrato che un follow-up intensivo non serve a migliorare la sopravvivenza in donne operate per cancro mammario. Il problema è che in circa 2 casi su 3 le recidive si rendono manifeste negli intervalli tra un esame programmato e l'altro e anche nei casi in cui vengono scoperte in fase asintomatica quello che riusciamo ad ottenere è solo una anticipazione diagnostica che non incide sulla sopravvivenza.
Un follow-up condotto fino a 10 anni ha confermato che l'impatto della strategia intensiva di follow-up sulla sopravvivenza è nullo [3]. Nello stesso tempo sottoporre le pazienti ad esami ed accertamenti ravvicinati porta ad aumentare i livelli di ansia e di stress. Bisognerebbe fare un passo indietro ed accettare i risultati degli studi, ma non tutti sembrano disposti a rinunciare e si assiste ancora a prescrizione di follow-up decisamente esagerati, che peggiorano la qualità di vita delle pazienti e aggravano inutilmente i conti della Sanità.

Referenze

1. GIVIO Investigators. Impact of follow-up testing on survival and health-related quality of life in breast cancer patients. JAMA 1994; 271: 1587.
2. Rosselli Del Turco M et al. Intensive diagnostic follow up after treatment of primary breast cancer. JAMA 1994; 271: 1593.
3. Palli D et al. Intensive vs clinical follow-up after treatment of primary brest cancer: 10 year update of a randomized trial. JAMA 1999 May 5; 281:1586.



Commento di Marco Grassi

Il richiamo alle “evidenze” vale per end-point hard come la mortalità. In una patologia come quella neoplastica dai forti connotati emotivi, importanti sono anche il benessere psicologico delle pazienti o, più in generale, la qualità di vita.
Molti oncologi ritengono infatti che il follow-up , anche con indagini diagnostiche, sia “rassicurante” per le donne operate ed abbia un impatto favorevole sullo stato psicologico.
Solo recentemente è però stata rivolta attenzione alle preferenze delle pazienti operate per carcinoma mammario riguardo al follow-up, soprattutto dal punto di vista del loro benessere psicologico. Da un lato, infatti, l'essere sottoposte a visite frequenti può produrre nelle pazienti un senso di rassicurazione sulle proprie condizioni di salute, come riportato dallo studio GIVIO in cui più del 50% delle intervistate esprimeva la propria preferenza per controlli a scadenza ravvicinata [1]
Dall'altro, però, se il trattamento delle recidive in fase asintomatica non garantisce una sopravvivenza più lunga, un follow-up intensivo ha un effetto negativo, prolungando semplicemente il periodo in cui la paziente subisce un peggioramento della propria qualità di vita derivante dalla consapevolezza di avere una recidiva. Poiché in uno studio italiano (il già citato GIVIO) la qualità di vita di due gruppi di pazienti sottoposte a follow-up intensivo e follow-up "minimalistico" era simile, ad indicare che il contatto con il medico è più importante degli esami eseguiti, il secondo tipo di follow-up appare preferibile anche alla luce del minore impegno economico che comporta [2].
Nella realtà la maggior parte delle pazienti sono generalmente più propense a intraprendere un follow up intensivo, basato su un frequente accesso a visite ed esami strumentali. Ciò è dovuto ad una sottovalutazione dell’esame obiettivo e da una sovrastima del valore dei test strumentali e laboratoristici nel riscontrare recidive e metastasi. Sulla formazione di questi scorretti convincimenti pesa una informazione indubbiamente non semplice da comprendere ma anche approssimativa e incompleta.
Quando l’informazione sugli obiettivi, aspettative e limitazioni di un programma di follow up è presentata in maniera onesta, bilanciata e completa l’opinione sull’utilità di sottoporsi a periodici esami strumentali può cambiare in maniera drastica [3], così come iniziano a modificarsi anche le percezioni sul setting più opportuno dove le donne possono essere seguite: alcuni studi mostrano come le pazienti sono più soddisfatte se seguite dal proprio medico di medicina generale e mostrano un aumento di gradimento nei confronti del follow up fornito dal MMG rispetto a quello fornito nei centri specialistici [4] senza che ne siano modificati gli esiti clinici (aumento del tempo di diagnosi di recidive e/o metastasi) nè quelli “umanistici” ( aumento dell’ansia e/o peggioramento della qualità di vita)[5].


Referenze

1. Liberati A.The GIVIO trial on the impact of follow-up care on survival and quality of life in breast cancer patients. Interdisciplinary Group for Cancer Care Evaluation. Ann Oncol. 1995;6 Suppl 2:41-6.
2. Muss HB, Tell GS, Case LD, et al. Perceptions of follow-up care in women with breast cancer. Am J Clin Oncol 1991;14:55
3. Loprinzi C., Hayes D., Smith T. Doc, Shouldn’t We Be Getting Some Tests? Journal of Clinical Oncology, 2000, vol.18; 11: 2345-2348
4. Grunfeld E, Fitzpatrick R, Mant D, Yudkin P, Adewuyi-Dalton R, Stewart J, Cole D, Vessey M. Comparison of breast cancer patient satisfaction with follow-up in primary care versus specialist care: results from a randomized controlled trial. Br J Gen Pract. 1999 ;49(446):705-10.
5.Grunfeld E, Mant D, Yudkin P, Adewuyi-Dalton R, Cole D, Stewart J, Fitzpatrick R, Vessey M. Routine follow up of breast cancer in primary care: randomised trial.BMJ. 1996 14;313(7058):665-9.

Commento di Luca Puccetti

Nella revisione ASCO si afferma che il cancro della mammella non necessita di un follow up ad elevata tecnologia, ma di una sorveglianza coordinata tra il MMG e l’oncologo con la condivisione di alcune raccomandazioni.
E' quasi sempre il contrario di ciò che accade in Italia dove spesso le pazienti sono sottoposte ad un doppio e persino triplo follow-up da parte dell'oncologo, del chirurgo e del radioterapista. In base alle nuove linee-guida, il follow up può essere trasferito alle competenze del MMG, dopo un anno, in donne con uno stadio di malattia iniziale (tumore <5 cm e <4 linfonodi positivi), previa adeguata informazione da parte dello specialista oncologo del MMG e della paziente sulle modalità di una sorveglianza appropriata.
Un follow up intensivo non determina un vantaggio per la sopravvivenza o un miglioramento della qualità di vita rispetto ad una sorveglianza gestita nell’ambito delle cure primarie. Sarebbe dunque auspicabile anche in Italia la definizione di un follow-up condiviso tra i vari attori della filiera, con un trasferimento di alcune competenze (retribuite!) al MMG ed un sostanziale snellimento delle procedure che oggi sono enormemente ipertrofiche, ma con una particolare attenzione al tipo di tumore, alla prognosi, alle possibilità di cure. Non riteniamo corretto indicare una tipologia di follow-up standardizzata per tutti i tumori.

Referenze

1) Br J Gen Pract 2005; 96:741-2
2) Br J Gen Pract 1999;49:705-10

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